«Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione» (art. 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nota come Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).
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Oggi festa. Nel calendario è celebrato come Festa internazionale del lavoro.
Oggi ho voluto cercare commenti e riflessioni sul lavoro. Ho rifuggito le pagine delle maggiori testate e ho preferito entrare nelle pagine degli amministratori della cosa pubblica, dei candidati a dedicare il proprio impegno per il bene comune. Con enorme piacere ho riscontrato che non esiste solo il silenzio ma una buona dose di uniformità nell’affermare l’importanza del lavoro per tutti.
Il lavoro, dunque, è importante e importante è che sia possibile per tutti. Il lavoro sarebbe importante anche per chi non riesce a trovare un posto di lavoro e per chi ha perso il posto di lavoro.
Alla domanda di lavoro avanzata dalla collettività come hanno risposto i decisori politici che con determinazione si consolidano nelle poltrone, forti degli ottimi risultati della diabolica oralità? Alle domande sul lavoro quanti hanno concretamente risposto?
Sarei felice di ricevere una risposta oggi, giorno dedicato al lavoro.
Le risposte ci sono sempre e quando non le si danno è solo per incompetenza o perché ci si asserve alla logica della decantazione. Il silenzio è affermazione di potere e il potere della politicanza si rafforza con il silenzio.
Le istanze della collettività sono scritte sul libro che un buon amministratore sa di dover tenere sempre aperto per leggervi le domande alle quali ha il dovere di dare risposta.
Le risposte ci sono sempre e quando non le si danno è solo per incompetenza o perché ci si asserve alla logica della decantazione. Il silenzio è affermazione di potere e il potere della burocrazia si rafforza con il silenzio.
Lavoro, rispetto della persona e grandi idealità sono i pilastri dell’Umanità e del futuro di questa nostra società alla ricerca di identità.
Il processo di costruzione dell’identità sociale, ne sono convinta, è possibile solamente con l’impegno di chi ha le abilità per realizzarlo attraverso piani concreti di fattibilità. Con l’eloquenza delle parole, con le invettive sciorinate, con i proclami della politicanza si disperde l’identità valoriale di un Paese. E grava sulla responsabilità collettiva il destino di povertà che sconterà la generazione a venire, condannata a scontare le incapacità e le stolte volontà di chi li ha preceduti, deliberatamente o incoscientemente volti a sostenere che, come affermava Hugo von Hofmannsthal “tutto ciò che è creduto esiste, e soltanto questo”.
E trovo oggi attualissimo il messaggio trasmesso dal dipinto che ho scelto come copertina. Il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo è una delle opere che notoriamente rappresenta il dramma dello sfruttamento dei lavoratori. L’ opera, un archetipo figurativo conosciuto universalmente, esprime, infatti, con potenza realistica ed espressiva il mondo del lavoro, richiamando tematiche legate alle lotte per i diritti e ai principi costituzionali.
Presentato al pubblico per la prima volta nel 1902 all’Esposizione internazionale di arte decorativa moderna di Torino non venne compreso, ma anzi decodificato come una scena di rivolta o sciopero e quindi ripugnato dai benpensanti e dalle autorità politiche.
Il dipinto, una risposta ai sanguinosi eventi milanesi del 1898 (quando, durante i moti popolari, il generale Bava Beccaris fece sparare sulla folla provocando una strage), pur risentendo profondamente del socialismo umanitario ed evoluzionistico maturato nel tempo dall’artista è, in questo nostro tempo, di una triste attualità.
Il “quarto stato”, cui fa riferimento il titolo dell’opera, è la classe lavoratrice che viene rappresentata attraverso lo scenografico realismo: le figure, studiate dal vero, simboleggiano la forza e lo spirito utopista del lavoro. Tra di esse vi sono anche donne, madri e bambini, a rappresentare la volontà di cambiare il futuro assegnando alla donna un ruolo altrettanto centrale nella rivendicazione politica e sociale. L’attenzione alla gestualità è evidente e profonda, la vicinanza dei corpi dà un valore di compattezza alla marcia e all’ideale che la muove. Pellizza, infatti, riuscì a combinare un’osservazione indiretta della massa dei contadini, trasfigurandoli secondo il modello precedente della Scuola di Atene di Raffaello la cui iconica espressività scopriamo nelle figure in prima linea.
L’opera è divenuta iconica in seguito all’associazione del grande dipinto a una rinnovata utopia sociale, spesso celebrata nel corso delle manifestazioni per il 1° maggio (e mi sovviene lo splendido lunghissimo piano-sequenza posto a sfondo dei titoli di testa del film Novecento di Bernardo Bertolucci.
Oggi, come allora, il messaggio di forza e speranza sprigionato dal capolavoro di Pellizza da Volpedo splende di luce nuova, all’insegna dei rinnovati valori di cooperazione e libertà.
E oggi accogliendo il messaggio de Il Quarto Stato buon 1° maggio:
Agli inoccupati, i disoccupati, i precari, i cassintegrati.
Alle madri ed ai padri di famiglia umiliati, mortificati, privati della Dignità, mandati a casa su due piedi.
Ai giovani precari, che vorrebbero costruirsi, una famiglia.
A chi è mobbizzato, vessato, molestato sul posto di lavoro.
A chi è morto, sul posto di lavoro.
A chi sogna un domani migliore, nonostante tutto.
A chi crede ancora nei Diritti sanciti da una Carta, chiamata Costituzione, costata il sangue di chi ci ha preceduti.
Il primo maggio e tutti i giorni del calendario, siano per noi.
Grazie ❤️
Reale, schietto, ineccepibile