Le graphic novel adattate su schermo sono sempre lavori ambiziosi, ma, spesso e volentieri, risultano in prodotti molto interessanti dal punto di vista culturale, oltre che dal puro intrattenimento. “5 è il numero perfetto”, film diretto da Igor Tuveri (Igort), autore dell’omonima graphic novel del 2002, non fa eccezione a questa massima. Aver dato all’autore originario la possibilità di vegliare sulla produzione della pellicola, infatti, è stata una grande garanzia per il rispetto dell’idea iniziale dello stesso. Con l’inizio del film, ci troviamo catapultati nella difficile Napoli degli anni ‘70, dove Peppino Lo Cicero, un “guappo” (sicario camorrista di second’ordine) in pensione, passeggia sotto la pioggia per andare a comprare una nuova arma a suo figlio Nino (Lorenzo Lancellotti), che ha ereditato il mestiere da lui. Mentre cammina, Peppino riflette sui tanti dolori che gli ha riservato la vita. Un monologo avvolgente, che porta lo spettatore completamente all’interno della storia e dell’ambientazione sin dalle primissime battute. Subito dopo aver ricevuto il dono, però, il figlio viene ucciso nel corso di una missione-trappola. Giunto a conoscenza della notizia, Peppino decide che è arrivato il momento di riprendersi tutto ciò che l’esistenza gli ha tolto, o non gli ha nemmeno concesso. Torna così in attività, a fianco del suo storico amico e collega Totò o’macellaio (Carlo Buccirosso), da soli contro tutta la malavita della zona, per rendere giustizia a Nino. Da questo momento, una serie di colpi di scena, incastrati abilmente grazie ad una minuziosa cura dei dettagli, mostrerà la dura realtà della camorra, in un film d’azione ed a tratti crudo, in cui non manca il sangue. Non si pensi, però, che lo stile sia quello di “Gomorra”: nell’opera di Igort c’è poesia, anche grazie ad una fotografia meravigliosa e alla voce narrante dello stesso Toni Servillo, che sono capaci di portare l’osservatore direttamente all’interno della realtà raccontata, non solo tramite le immagini e le parole, ma anche con la vera e propria fantasia, come di solito solamente i libri sanno fare.
Lo sguardo spento, ma contemporaneamente espressivo, dell’attore protagonista sembra calzare a pennello sul personaggio di Peppino Lo Cicero, e permettono a chi guarda di raggiungere livelli di comprensione della storia e delle emozioni che vanno ben oltre ciò che viene raccontato esplicitamente. Una domanda che chiunque non conosca la trama si porrebbe è: ma perché questo titolo? Risparmiando “spoiler” sgradevoli, possiamo dire che si riferisce ad una frase pronunciata durante il film: “La mia casa è questa: due gambe, due braccia, e questa faccia. Due, più due, più uno: cinque”, espressione metaforica per dichiarare la propria indipendenza e non appartenenza a nessuno che non sia l’io medesimo. Non a caso, il film è stato suddiviso in 5 capitoli con 5 differenti titoli, ognuno dei quali introdotto da un piccolo siparietto con un fermo immagine che richiama evidentemente alla graphic novel, aggiungendo un tassello a quell’ambizioso lavoro di fusione tra due generi artistici apparentemente così separati. Proprio quando, poi, la pellicola sembrerà avviarsi alla sua conclusione, dopo la classica sparatoria finale, ci saranno delle svolte da mettersi le mani nei capelli per l’incredulità. Il film, unico italiano che è stato in concorso alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia, però, non è sicuramente una trovata commerciale, ed infatti al Box Office non ha sbancato, pur non risultando in un disastro economico: l’incasso totale sfiora i 450mila euro. Nel cast c’è anche Valeria Golino, nei panni di Rita, amante di Peppino Lo Cicero La visione è sicuramente consigliata, e con essa, magari, anche la lettura del relativo fumetto.