Nonostante l’opposizione del governo centrale – l’Alta Corte spagnola ha dichiarato “incostituzionale” il referendum programmato dalla Catalogna per decidere sull’indipendenza della regione dal resto del paese iberico e i giudici del tribunale costituzionale hanno sentenziato che in base alla Costituzione della Spagna una regione “non può unilateralmente indire un referendum sull’auto-determinazione per decidere sulla sua inclusione in Spagna” – domenica 9 novembre, l’80,72 % dei catalani ha partecipato a quello che è stato il referendum (o pseudo-referendum) sull’indipendenza della Catalogna e ha votato Sì. Un voto simbolico, ovviamente. Perché per Madrid non ha alcun valore legale.
Gli organizzatori della consultazione hanno riferito che hanno partecipato circa due milioni di persone, con un’affluenza stimata al 35,9 per cento. Il referendum proponeva due domande: “Volete che la Catalogna sia uno stato?” e, in caso di risposta affermativa, “Volete che la Catalogna sia uno stato indipendente?”. Le risposte affermative a entrambi i quesiti sono state l’80,72 per cento, mentre il 10,11 per cento ha votato sì solo alla prima domanda. I voti negativi a entrambe le domande sono stati il 4,55 per cento.
Il progetto referendario sull’indipendenza era stato annunciato a dicembre scorso dal governatore della Catalogna, il nazionalista Artur Mas, che aveva fissato la data della consultazione il 9 novembre 2014, dopo l’accordo tra il suo partito, Convergencia i Uniò (CiU), e le altre forze regionali. Dopo che il tribunale costituzionale ha dichiarato “nullo e incostituzionale” il principio secondo il quale “il popolo della Catalogna ha, per delle ragioni di legittimità democratica, un carattere di soggetto politico e giuridico sovrano”, la data del referendum per l’Indipendenza della Catalogna è rimasta comunque fissata al 9 novembre 2014. Ed è diventata la giornata del voto simbolico.
Lo strappo tra Barcellona e Madrid si è consumato a partire dalla crisi economica del 2008, che ha messo a dura prova le finanze spagnole e catalane. E si è aggravato dal 2010, quando la corte costituzionale ha bocciato il nuovo statuto che attribuiva maggiore autonomia a Barcellona, spingendo milioni di catalani nelle piazze. Motore dell’economia spagnola, di cui rappresenta circa un quinto del pil, la Catalogna ha grande autonomia di spesa ma non ha potere di riscossione: a seguito della crisi, la regione ha dovuto attuare forti tagli a numerosi servizi – fra cui Sanità e Istruzione – ma continua a dover effettuare trasferimenti fiscali verso altre regioni spagnole per circa 16 miliardi all’anno. Proprio su quest’ultimo punto si è verificata la rottura con il governo di Madrid.
Se Artur Mas si dice soddisfatto del risultato e promette battaglia perché “la volontà è andare avanti, continuare alla guida di questo processo politico per ascoltare la voce dei catalani e rispettare il loro diritto a decidere sul loro futuro”, è piuttosto chiaro che, sebbene nella Costituzione Spagnola vengano preservati i diritti all’autonomia, l’indipendentismo, quanto meno a livello legislativo e normativo sembra, almeno per ora, alquanto improbabile
(il secondo articolo della Carta infatti recita: “La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime).