“Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire si all’incontro e no allo scontro”. Lo ha detto Papa Francesco nel corso della giornata della “pace”. Una giornata storica per il futuro del Medio Oriente. Cosi come storico è stato l’abbraccio tra il Presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen.
Due presidenti e due autorità religiose, il Pontefice Romano e il Patriarca Ortodosso Bartolomeo I. Insieme, nei Giardini Vaticani per pregare per la Pace. Ognuno a modo suo. Si prega prima in ebraico, poi tocca ai cristiani e infine ai musulmani (prima volta nella storia in cui il Corano viene letto nello Stato Pontificio).
“La preghiera può, dove la politica non arriva”. La pensa cosi Bergoglio, ideatore e protagonista della giornata di invocazione per la pace in medio oriente. “Fratello è la parola con la quale “spezzare la spirale dell’odio e della violenza”, ma per farlo si deve pregare, dice il Papa. E allora eleva una preghiera, in cui chiede a Dio di “infondere in noi “il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace”, di essere “artigiani della pace” e di essere responsabili ad “ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono”.
Anche Shimon Peres condivide questo appello. A fine giugno termina il mandato da presidente, e pone fine a una carriera lunga 66 anni, che lo ha visto anche fondatore dello Stato di Israele. Voleva fortemente questo incontro, e ha trovato in Papa Francesco una sponda formidabile. Dice Peres: “Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace”. È un discorso denso di riferimenti biblici, quello di Peres. Che sottolinea: “La pace non viene facilmente. Noi dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici e compromessi”. E conclude con una preghiera: “Colui che fa la pace nei cieli faccia pace su di noi e su tutto Israele e sul mondo intero, e diciamo: Amen”.
Abu Mazen chiede di “rendere il futuro del nostro popolo prospero e promettente, con libertà in uno Stato sovrano e indipendente”, ma anche “sicurezza, salvezza e stabilità al popolo della Regione», perché «riconciliazione e pace sono la nostra meta”. Il Presidente Palestinese prega invocando “una pace comprensiva e giusta al nostro Paese e alla regione, cosicché il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente e il mondo intero possano godere il frutto della pace, della stabilità e della coesistenza”.
Nell’abbraccio tra i due presidenti, Papa Francesco ha colto con speranza una nuova “cultura dell’incontro” in grado di costruire un futuro di pace. Il simbolo della giornata storica è racchiuso poi dall’immagine del Papa, del Patriarca e dei due presidenti che piantano insieme l’albero d’ulivo, testimonianza della pace, gettando cosi un seme di speranza per il futuro di questi due grandi popoli.