Traduci

ABUSO DA SOCIAL, UNA BATTAGLIA IMPARI

Secondo i dati forniti dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù, in Italia vi è stato un aumento del 75% dei tentativi di suicidio tra i giovanissimi nel periodo della pandemia; una stima dell’OMS rileva come in Italia vi siano circa 3500 ragazzi all’anno tra i 15 ed i 29 anni che decidono di mettere in pratica azioni suicidarie legate ai social media, utilizzando per esempio il web come palcoscenico per togliersi la vita; secondo il rapporto “Deadly by Design” entro 2 minuti e mezzo TikTok ha consigliato contenuti suicidi. Le ricerche e i relativi numeri ci stanno sbattendo in faccia una triste verità, ovvero che gli smartphone hanno portato gli adolescenti ad assumere comportamenti spesso pericolosi se non addirittura mortali. Ospedali, cliniche specializzate, istituti di sanità e anche l’autorevole CDC (Centers for Disease Control and Prevention) sono tutti d’accordo nel certificare casi in aumento tra i ragazzi di patologie legate alla tristezza e alla disperazione. Una tendenza sempre più condivisa nel considerare la diffusione degli smartphone il fattore più importante nell’incremento dei casi di suicidio, ansia e depressione tra gli adolescenti, non soltanto negli Stati Uniti ma ormai anche in Europa. Non bisogna tuttavia, tout court, porre sul banco degli imputati i device come i soli e unici responsabili di stati di malessere tra i più giovani, ma è necessario considerare un trend ormai in crescita che collega l’utilizzo degli smartphone e l’aumento dei problemi di salute mentale tra i giovani, fenomeno di per sé complesso e comunque condizionato da molte altre variabili allo stato attuale difficili da isolare. Vi sono sempre più studiosi che però tendono a non escludere l’ipotesi, sostenuta da ricerche ad hoc sempre più attendibili, che attestino come gli smartphone siano la variabile di cui tener conto e dunque la più importante tra tutte.

Vi è, per esempio, un grafico tratto da uno studio della psicologa statunitense Twenge, docente alla San Diego State University, che mostra un aumento costante dei casi di suicidio e dei sintomi di ansia e depressione tra le adolescenti statunitensi a partire dal 2012. La Twenge punta l’indice contro lo smartphone, vera causa dell’isolamento sociale dell’individuo, in particolare l’adolescente; avere sempre con sé uno smartphone ci renderebbe schiavi di notifiche pronte a rubarci attenzione e tempo, incrementando fenomeni come il phubbing e, nel peggiore dei casi, l’aumento dei tassi di depressione, ansia e autolesionismo, conseguenza dell’aumento dell’utilizzo e della popolarità dei social media. Un discorso analogo poi è utile farlo anche intorno all’influenza che ha la sovraesposizione a notizie negative e deprimenti, per la capacità di attirare di più l’attenzione proprio perché sempre più numerose e accessibili. Si prenda a titolo di esempio la piattaforma TikTok; essa si basa su un loop di video brevissimi a schermo pieno, molto più immersivi degli altri social e con un algoritmo che non chiede agli utenti (di cui la maggior parte è composta da giovani e giovanissimi) di far nulla se non di scrollare all’infinito sul proprio smartphone le pagine con filmati che durano al massimo un minuto. Lo specialista di comunicazione digitale Chris Stokel-Walker, intervistato qualche tempo fa dalla trasmissione Rai “Presa Diretta”, ha spiegato come l’algoritmo di TikTok scansiona i vari elementi di un video per poi suggerirci e farci vedere, video attinenti agli elementi scansionati. È il trionfo non solo dell’algoritmo ma di un’intera intelligenza artificiale altamente sofisticata, nota come computer vision, in grado di apprendere alla velocità della luce i comportamenti online degli utenti. Nulla però a confronto di ciò che Imran Ahmad, Ceo del Center for Countering Digital Hate, ha illustrato sempre nella trasmissione Rai, ovvero i risultati del Rapporto “Deadly by Design” nel quale è stato mostrato che TikTok veicola contenuti dannosi che promuovono disturbi alimentari e autolesionismo fino al suicidio nei feed dei giovani utenti. Se il fine giustifica i mezzi, allora lo scopo di TikTok, ma potrebbe benissimo essere quello di tutte gli altri social, è di impedirci di abbandonare la piattaforma, a costo della nostra salute mentale.

Negli ultimi anni, di fronte alla sempre maggiore incisività dei social nelle vite delle persone e a fronte di sempre maggiori disagi comportamentali, vi sono state numerose campagne di sensibilizzazione per favorire un utilizzo più responsabile dei social network e a proteggere la privacy nelle loro relazioni online. Nonostante ciò, la maggior parte delle persone, soprattutto i giovani, continuano a riempire la rete di selfie e di informazioni che li riguardano senza curarsi troppo di proteggere la propria sfera privata. Conta solo la rappresentazione visiva che facciamo di noi stessi, senza tener di alcun conto il resto della realtà circostante. Con questo modus facendi si asseconda però sempre più la sfrontatezza di certe aziende che di fronte alla possibilità di continuare a fatturare cifre stratosferiche, sfruttando la nostra ignoranza e irresponsabilità, rende la battaglia con i social network una battaglia impari. Melvin Kranzberg, con la prima legge della tecnologia, affermò che la tecnologia di per sé non è né buona né cattiva, ma non è nemmeno neutrale. Si trattava evidentemente di una provocazione se, d’altra parte, nella realtà dei fatti le dipendenze tecnologiche, IAD e SNS Addiction, sono ancora disturbi esclusi dal DMS-5, ma non si sa per quanto tempo ancora. Le parole di Kranzberg potrebbero forse essere interpretate e considerate differentemente, rimarcando invece come gli strumenti digitali non fanno né bene e né male, tutto dipende invece da chi, come e per quali scopi vengono utilizzati. Poi però resta un dato incontrovertibile: le tecnologie digitali sono strumenti dotati di potere.

Data:

2 Aprile 2023