Non ci prova neanche, la Russia, a non recitare la parte del cattivo della storia. Nonostante la maggior parte dei media, inspiegabilmente, cerchino di non farla passare per tale. Però sospendere la propria partecipazione all’accordo sul grano, essendo esso uno dei beni più richiesi a livello mondiale, non trova il benché minimo senso nella sfera del razionale. Ma il razionale è stato abbandonato sin da quel 24 febbraio, quindi non bisognerebbe esattamente sorprendersi. Quando il 22 luglio l’ONU, con la grande partecipazione della Turchia, aveva annunciato il raggiungimento di un accordo sull’esportazione del grano dall’Ucraina si era acceso quel lumicino di speranza per l’Europa intera e per gran parte del terzo mondo. Meno fame da patire, prezzi che potevano iniziare a riequilibrarsi e un po’ di tranquillità da subodorare. Invece no, mai sia. Si parla dell’Ucraina, colei che deve smettere di ricevere aiuti militari nonostante si stia difendendo con le unghie e con i denti. Perché è troppo facile far passare le esplosioni a Sebastopoli come “attentato terroristico”, e non come risposta alle atrocità subite.
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Quello su cui bisogna auspicare ora, ma senza che ci siano elementi concreti per poterlo fare, è che senza la Russia si trovi un nuovo accordo per esportare un bene fondamentale nei Paesi che ne stanno soffrendo la mancanza. Quindi… niente più termini dell’accordo entrato in vigore il 1° agosto, qui di seguito elencati. Recep Tayyip Erdogan e Antonio Guterres avevano firmato il patto per il passaggio sicuro di tonnellate di grano attraversando il Mar Nero: dopo cinque mesi i porti ucraini, bloccati a causa della guerra, sarebbero stati riaperti. E dire che non era stato facile arrivare al dunque, e infatti era troppo bello per essere vero, visto che il ministro della Difesa russo Sergej Shoygu e il ministro delle infrastrutture ucraino Aleksandr Kubrakov si erano evitati il più possibile pure in fase di firma.
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Ma ormai il danno è fatto. L’accordo avrebbe avuto una durata di tre mesi e i silos coinvolti erano quelli di Odessa, Chernomorsk e Yuzhny. Istanbul sarebbe stato il centro di coordinamento, e avrebbe controllato che Kiev e Mosca non si sarebbero attaccate durante il trasporto. Tutto filava liscio, un patto tra “gentiluomini” e si poteva procedere. Tant’è che pure Erdogan stesso aveva lasciato intendere come l’accordo avrebbe potuto anche essere esteso. Invece niente rinnovo, contratto scaduto, e tutti di nuovo punto e capo. Con più di otto tonnellate di grano ucraino esportate, 363 navi partite e un’equa distribuzione avvenuta – 62% Europa, 19.5% Asia, 13% Africa e 5.3% Medio Oriente – il finale avrebbe potuto essere tranquillamente molto diverso da quanto raccontato.