Ci sono due movimenti artistici che gli storici dell’arte, più che gli artisti che ne sono stati protagonisti, hanno codificato con dei termini precisi, quasi a voler dare dei confini, dei limiti che, per antonomasia, un artista non sente o non dovrebbe mai percepire. Uno dei meriti della Filosofia Estetica moderna unita ai Linguaggi visivi è stato quello di porre una analisi diversa da una certa critica dell’arte che, a mio parere, ha talvolta dato una lettura personalistica piuttosto che storico – artistica, oggettiva e contestuale degli artisti e del loro fare arte. È il caso, ad esempio, degli artisti del periodo del Romanticismo e dell’ Espressionismo. Nel primo caso l’artista già verso la metà del XVIII secolo rivaluta la sfera del sentimento, della passione ed anche della irrazionalità. L’artista “romantico” rivaluta l’ispirazione ed il genio individuale. Questo pone il Romanticismo non come uno stile, ma bensì come una vera e propria poetica in quanto più che alla omogeneità stilistica, tende alla omogeneità dei contenuti.
Una caratteristica questa che ci aiuta a comprendere la qualità della filosofia storico – artistica ed estetica del linguaggio visivo di Carmen Arena. Gli artisti del XIX secolo si dividono tra coloro che inseguono l’armonia dell’uomo nella natura prerogativa degli artisti neoclassici più legati alla poetica del “Pittoresco”, e quelli che della natura sentono, invece, la radice del “Sublime”. La loro ispirazione è nei sentimenti di stupore, quasi di “paura” suscitati dall’infinito, dalla dismisura, da tutto ciò che è evidenza di un cosmo infinitamente grande e che si riflette nell’infinitamente piccolo dell’uomo. Kant dirà: sono sublimi le alte querce e belle le aiuole; la notte è sublime, il giorno è bello. Nelle opere di Carmen Arena c’è questa sorta di maturazione della poetica del Sublime. Quando dà figura alla Terra, al Fuoco e all’Acqua, lei ne percepisce l’essenza cosmica. Non è rappresentazione la sua, ma raffigurazione dei moti dell’anima che nell’elemento naturale prende forma, colore e definizione. È come se in ogni sua opera la sua passionalità di donna, il suo femminile che ha l’aura eterna delle donne elleniche, trovassero il loro specchio e si mostrassero all’osservatore. Terra, Fuoco e Acqua; ogni sua opera è finestra su di un universo che solo una donna, consapevole della scintilla infinita e immaginifica, può immaginare, concepire e infine creare.
Geniale è il suo modo di porre le tonalità cromatiche che si armonizzano sul supporto come veri e propri flussi energetici, quasi che tutto il suo cosmo interiore, le pulsioni, le rabbie, i desideri, la tenerezza di madre e donna a un certo punto possano, consapevolmente, prendere vita tramite i pennelli e la materia dei colori. Sono canti, urla e melodie dell’anima quelli che Carmen mette in scena in ogni sua opera. Ma se prediamo quest’assunto e analizziamo le opere in cui il suo genio concorda, nel senso vero ed etimologico del termine, i colori nelle loro complementarietà, i toni freddi con quelli caldi creando così un’esperienza percettiva, emozionale immediata, allora potrei affermare che ella rielabora il concetto stesso del vero espressionista, di chi cioè, nella seconda metà del XIX secolo, analizzò la propria anima, sentendone le tensioni più intime, percependone gli aneliti, le fatiche, il soffio come il respiro, le gioie come i dispiaceri, le delusioni come le speranze e tutto poi esorcizzò col fare arte dando ad ogni demone figura e visibilità.
È questa la grandezza di Carmen Arena: un gran talento espressivo che, come solo una donna sa fare, diviene espressività, voce e colore degli elementi dell’anima. Ogni sua opera è un vero racconto, un inizio; l’osservatore ha due scelte o rimanere a guardare, oppure lasciare che la poetica sublime di Carmen diventi una sorta di ponte perché dell’anima si possa infine trovare la via.
Alberto D’Atanasio
(Docente di Storia dell’Arte, Filosofia Estetica, Teoria della Percezione e Psicologia della forma)