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Addio dottor Frankenstein. “It could work!”

Gene Wilder è morto a 83 anni a Stamford, nel Connecticut, in seguito alle complicazioni dovute all’Alzheimer, malattia di cui soffriva da diverso tempo. La notizia è stata confermata ad Associated Press da uno dei nipoti di Wilder.

Nasce a Milwaukee, negli Stati Uniti, l’11 giugno 1933, in una famiglia di ebrei russi immigrati.

Terminata l’università in America, decide di trasferirsi in Inghilterra, dove inizia a studiare recitazione alla “Bristol Old Vic Theatre School”, e ad imparare a tirare di scherma, passione che si rivelerà determinante nei primi tempi del suo ritorno in patria dove si manterrà proprio impartendo lezioni di tale disciplina. I suoi inizi sono in piccoli teatri di periferia, in spettacoli di secondo livello, nei quali però comincia ad imparare il mestiere di attore.

Riuscirà ad entrare all’Actors Studio, che gli aprirà la strada per la carriera. Il suo primo piccolo ruolo cinematografico in “Gangster Story”.

Nel 1963 Wilder viene scritturato nel ruolo principale dello spettacolo teatrale “Madre Coraggio e i suoi figli” al fianco di Anne Bancroft, che gli presenta il futuro marito, Mel Brooks, dando inizio a un sodalizio artistico che raggiungerà la vetta più alta intorno alla metà degli anni settanta.

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Wilder ottiene il primo ruolo da protagonista nel film “Per favore, non toccate le vecchiette”, del 1968, anche per Mel Brooks prima opera da regista e sceneggiatore che mostra a pubblico e critica le grandi doti di Wilder. Per l’interpretazione riceve la nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista, mentre il film si aggiudica la statuetta per la miglior sceneggiatura originale.

In questi anni Wilder interpreterà i ruoli più importanti della sua carriera. Tanto per citarne qualcuno tra i tanti nel 1971 è protagonista del film “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato”, di Mel Stuart, tratto dal romanzoLa fabbrica di cioccolato” di Roald Dahl. Pellicola in origine rivelatasi un flop commerciale, ma che col tempo è diventata un film di culto. Ancora un anno dopo, nel 1972 in “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere)” di Woody Allen nel quale interpreta uno degli episodi più esilaranti.

Ed è immediatamente dopo che Wilder inizia a lavorare a un copione intitolato Young Frankenstein nel mentre Mel Brooks è impegnato nelle riprese di Mezzogiorno e mezzo di fuoco, chiamando proprio lo stesso Wilder a interpretarvi Waco Kid nel ruolo di protagonista.

I due film usciranno a distanza di pochi mesi, nel 1974, e sono due successi commerciali incredibili.

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Frankenstein Junior regala a Wilder e Brooks una nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.

Frankenstein Junior è indubbiamente una delle parodie più riuscite del romanzo Frankenstein e dei cineclassici di James Whale: Frankenstein, (1931) e La moglie di Frankenstein, (1935), dai quali Brooks riprende lo stile e persino gli stessi attrezzi di scena.

Allo stesso tempo, Frankenstein Junior finisce per diventare un’opera originale, tanto da essere considerata essa stessa a sua volta un classico più che una parodia, in sostanza “una rivisitazione critica del romanzo di Mary Shelley” (Il Morandini 2010).

Il film si rivelò un successo clamoroso e nei paesi non anglofoni lo fu in modo particolare in Italia, in quanto oggetto di un lavoro di traduzione e adattamento “creativo”, che rese assolutamente divertenti e congeniali al racconto giochi di parole e assonanze non traducibili. In alcuni casi inventando battute non presenti nella versione originale, merito tra l’altro di un doppiaggio semplicemente strepitoso entrato nella storia.

Nel 1975 recita di nuovo in coppia con l’amico Marty Feldman ne “Il fratello più furbo di Sherlock Holmes”, suo debutto alla regia.

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Un anno dopo nasce la coppia comica con Richard Pryor per il film “Wagons-lits con omicidi” che si protrarrà con alterne vicende fino alla fine degli anni Ottanta.

Così proseguirà nel suo cammino artistico questa piccola grande icona dei nostri tempi entrata nell’immaginario collettivo per il suo modo di essere “svampitamente rassicurante”.

Chissà magari col suo spirito di eterno giovane scanzonato mi piace pensare che, parafrasando una sua celebre battuta, quando ci ha lasciato abbia potuto esclamare:” It – could – work!”, come direbbe il dottor Frankenstin, “Si – può fare!”.

Gene, grazie delle sane risate che ci hai regalato.

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Data:

30 Agosto 2016