Da qualche giorno il sottomarino indonesiano KRI Nanggala 402 risulta disperso nel mare delle acque a nord di Bali, tanto da destare timori fondati. Il supporto per il recupero del sommergibile giunge immediatamente da ogni parte del mondo, compresi Stati Uniti, Giappone e Australia, eppure le notizie sembrano più che preoccupanti. Ad un certo punto dalle ricerche emergono tracce di detriti dalle acque, insieme a una chiazza di gasolio e alcuni effetti personali dell’equipaggio.
Il sottomarino risulta affondato con circa 53 persone a bordo, vittime prive di speranza di un mare che non perdona; così come non perdona l’obsolescenza dell’attrezzatura, vecchia di oltre 40 anni e pertanto bisognosa di una manutenzione frequente. Il sommergibile di origini tedesche, costruito nel 1977, entra infatti in azione 4 anni dopo per scopi prettamente militari di raccolta di informazioni e per esercitazioni navali come quella che ne ha determinato la fine.
Lo scorso 21 aprile KRI Nanggala 402 scompare dalle rotte e, a causa dei ritrovamenti tangibili, il 24 diventa relitto marino dichiarato, ormai affondato dalle autorità. Così uno dei cinque sommergibili della flotta indonesiana scompare definitivamente dopo una esercitazione con i siluri al largo dell’Indonesia, al di sotto degli 800 metri; con una riserva d’aria di 72 ore, già ampiamente esaurita, e una profondità raggiungibile massima di 500 metri, le conclusioni sono inevitabili. Partendo dal presupposto che ogni fatalità dipende da una serie di concause collegate tra di loro, è evidente che tutti i fattori elencati purtroppo sono determinanti nella conclusione della vicenda.