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AHMADREZA DJALALI PROSSIMO ALL’ESECUZIONE

A più di tre anni di distanza la questione Ahmadreza Djalali, medico e docente iraniano naturalizzato svedese, classe 1971, continua a tenere banco. Lo scienziato rischia seriamente di veder porre fine alla sua esistenza: sarebbe prossimo al trasferimento nel carcere dove dovrebbe avvenire la sua annunciata condanna a morte. Dettaglio a dir poco agghiacciante: a rivelarlo sarebbe stato lo stesso Djalali, in una telefonata alla moglie. La pesante accusa che pende sulla sua testa è di spionaggio e collaborazione con Israele (praticamente “alto tradimento”…). E per uno con la sua carriera è a dir poco bizzarro: ha lavorato in diverse università europee (l’Istituto Karolinska dove ha anche frequentato il suo programma di dottorato, l’Università degli Studi del Piemonte Orientale e la Vrije Universiteit Brussel) nonché sparse per il mondo (Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele) e ha collaborato con istituti iraniani.

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Il quarantanovenne era stato arrestato con l’accusa di spionaggio nell’aprile 2016 ed è stato condannato a morte l’anno successivo. Come accennato prima, è attualmente in programma il suo trasferimento da Evin (a Teheran) a Rajei-Shahr (a Karaj). Ovviamente la confessione venuta fuori nel dicembre 2017 – in cui ammetteva di lavorare per il Mossad israeliano – era stata bollata come falsa dalla famiglia di Djalali. Le reazioni alla possibile esecuzione sono state molteplici: “Ci adopereremo affinché la condanna contro Djalali non venga eseguita” twitta il ministro degli Esteri svedese Ann Linde, mentre Teheran ha già asserito di non tollerare “inferenze nell’esecuzione di condanne”, definendole “inaccettabili”.

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A questo punto può essere utile un breve ripasso dell’intera vicenda: dal 2017 è stata lanciata una petizione sul famoso sito change.org, diretta anche dall’ex presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Tra il 2018 e il 2020 si sono susseguite varie campagne per la liberazione, tra cui quella di Amnesty del 10 ottobre, la Giornata Mondiale contro la pena di morte. Emblematica è stata la reazione di Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha espresso profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei difensori dei diritti umani, degli umani e dei prigionieri politici. E non ha tutti i torti.

Data:

25 Novembre 2020