Agli inizi del liceo mi imbattei in un 33 giri strano, su un lato era inciso un solo brano lunghissimo, come era lunghissimo il titolo: Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto.
L’artista era Alan Sorrenti.
Non ero proprio interessato a quel genere di “musica”, forse perché non la capivo.
Avevo dei gusti commerciali.
Ma quel nome irruppe poi nella mia vita quando interpretò una canzone classica napoletana in maniera piuttosto suggestiva: Dicintecello vuie
Colonna sonora di tante contorsioni amorose mie e dei miei coetanei, lo ascoltavamo come se facessimo propri quella specie di ‘lamento’.
Da quel momento quello strano personaggio continuò ad impazzare con un tormentone dietro l’altro per vari anni.
Figli delle stelle (con cui praticamente esplose), Donna Luna, Tu sei l’unica donna per me, Chissà che darei…
Poi un lungo silenzio che lo aveva riposto semplicemente tra i nostri ricordi.
Direi meglio una serie di lavori e di eventi, anche importanti, ma che non avevano avuto una grande copertura mediatica.
Per decenni non ho mai avuto l’occasione di incontrarlo, però nemmeno la cercavo.
Ma qualche anno fa, curando una rassegna di spettacoli vintage in Svizzera, vi ho fatto ricorso, con il sottile piacere di risvegliare in me certe emozioni e di conoscere quel tipo professionalmente così bizzarro.
Lo rintracciai telefonicamente e gli chiesi se volesse partecipare ad una serata dedicata a lui.
Accettò, specificando che avrebbe cantato con le basi solo pochi pezzi.
La mia curiosità, intanto, si era rinverdita e aspettavo con sempre maggiore piacere di incontrarlo.
Arrivò il pomeriggio per fare una prova e poi rimaneva solo da aspettare la sera per l’intervento.
Quindi sedemmo in un angolo del club per bere qualcosa.
Mi venne voglia di dirgli esattamente ciò che ho appena finito di scrivere qui e che ero emozionato ad incontrarlo proprio perché evocava un aspetto della mia giovinezza.
Il suo modo di parlare calmo rispecchiava anche la sua maniera di muoversi e mi sentii subito in confidenza.
Il tempo di attesa mi permetteva anche di toccare qualche argomento di conversazione che mi incuriosiva.
Gli rivelai che non avevo dimenticato quella sua peculiarità di passare, in breve tempo, dal rock progressivo ad un brano napoletano ad un altro pop che risultò essere il 45 giri più venduto nel 1979.
Per poi continuare su quella strada.
E che mi sarebbe piaciuto avere una sua risposta diretta.
“Il vero Alan era quello che aveva sperimentato musicalmente, che aveva avuto come musicisti Jean Luc Ponty e coloro che poi sarebbero diventati i Toto.
Ma anche il brano napoletano, trasfigurato da me, aveva un senso in questa prospettiva. Poi ho infilato una serie di pezzi pop che, si mi hanno dato successo e denaro ma mi hanno fatto perdere tutto il mio pubblico iniziale.
Praticamente io ho vissuto due passaggi che considero traumatici, quello dalla sperimentazione al successo e quello del cambio di stile e quindi della mia spersonalizzazione artistica.”
Ed io: “Però quei successi ti hanno reso immortale nella memoria della gente, hai ricevuto tantissimi riconoscimenti, ogni volta che incidi nuove versioni, vendi; la tua hit ‘Figli delle stelle’ ha dato il titolo ad un film dei Vanzina e hai inciso e venduto in mezza Europa…”
“… E sono felice per tutto questo, e che quando mi esibisco vedo la gente ballare e cantare con me. Ma tu mi hai fatto una domanda e io ti ho risposto la mia verità”.
(La foto che mi ritrae con Alan Sorrenti è di mia proprietà)