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ALASDAIR MACINTYRE, O L’ETICA DELLA VIRTU’ – (III Parte)

La pratica del bene comune come fondamento dei principi morali

L’approccio filosofico di MacIntyre – e quella di Charles Taylor -, ci permette di mettere a fuoco il problema principale in termini etici e politici, della nostra epoca: la mancanza di un criterio condiviso per l’individuazione di ciò che è bene e quindi l’assenza di un motivo persuasivo.

Mentre fioriscono etiche procedurali liberali, esse pretendono di poter risolvere la questione senza fare riferimento a un’idea condivisa di bene. Ma questo modo di intendere l’etica è a sua volta figlio dell’Illuminismo ed è perciò destinato a reiterare un fallimento che Taylor e MacIntyre ritengono già compiuto.

cms_27424/1.jpgMacIntyre sostiene che la filosofia morale di Kant non fu altro che un’elaborazione di questo fallimento: constatata l’impossibilità di fondare con coerenza una teoria morale sulle passioni o sugli istinti, occorreva allora fondarla sulla ragione, e proprio questo egli tenta di fare. L’imperativo categorico è un principio formale che ingiunge al soggetto morale di agire sempre e soltanto in base a principi che potrebbero essere coerentemente universalizzati.

Tuttavia, come mostra MacIntyre, potrebbero essere universalizzate senza contraddire l’imperativo categorico anche “molte massime immorali e futilmente amorali”, come ad esempio “perseguita tutti coloro che sostengono false credenze religiose”. MacIntyre individua in Kierkegaard l’erede di questi fallimenti, il quale ha cercato di fondare l’etica sulla libera scelta dell’individuo. Le opzioni che si presentano al soggetto stanno tutte tra loro in una relazione logica disgiuntiva: “Aut-aut” è il titolo della sua principale opera di etica.

Ciò che viene sostenuto in questo testo è che i principi che definiscono la vita etica devono essere adottati senza alcuna ragione, ma in base a una scelta che trascende la ragione, appunto perché è la scelta di ciò che per noi deve valere come una ragione. L’etica, così, viene esplicitamente destituita di qualsiasi fondamento.

Nietzsche appare come colui che ha riconosciuto con esattezza la vanità di tutti questi tentativi illuministici e post-illuministici di fondare la morale. Egli è dunque l’epilogo della modernità, ma secondo MacIntyre non è il nostro destino: abbiamo infatti la possibilità – e il compito – di riabilitare l’etica delle virtù, che appartiene a una tradizione di ricerca morale alternativa all’Illuminismo, che ha origine dal rifiuto dell’etica delle virtù, che ha i suoi rappresentanti in Aristotele e Tommaso d’Aquino.

Mentre la modernità conta numerosi tentativi di fondare l’etica, storicamente Hume, Diderot, Kant e Kierkegaard vanno considerati quasi come “idealtipi”, dal momento che possono essere considerati i maggiori filosofi che hanno tentato una fondazione dell’etica rispettivamente sulle passioni, sugli istinti, sulla ragione e sulla scelta.

Tornando al liberalismo, di cui MacIntyre, come abbiamo visto, e’ fortemente critico, per i liberali, la vita pubblica non può e non deve essere informata da alcuna specifica visione del bene, perché questo significherebbe imporre a tutti i cittadini dello Stato una visione etica che essi potrebbero anche non condividere e che perciò percepirebbero inevitabilmente come oppressiva. Nel peggiore dei casi, quest’idea del bene potrebbe giungere a essere imposta con la forza, a impoverirsi fino a divenire maschera ideologica di un regime dittatoriale.

Occorre, allora, che lo Stato sia neutrale nei confronti di rivali concezioni del bene, le quali possono essere liberamente scelte da ogni cittadino, che avrà la facoltà di decidere quale vita sia per lui la migliore. Naturalmente dovranno essere posti dei limiti all’arbitrio individuale, ma questi, anziché avere una base etica sostanziale, avranno una base formale nell’idea di giustizia espressa dalle istituzioni.

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Se fra le diverse anime del liberalismo esistono motivi di discordia sulle regole della giustizia distributiva, tutti sono concordi nel ritenere che i principi fondamentali che devono informare la vita pubblica sono quelli espressi già dai primi teorici del liberalismo, secondo i quali lo Stato deve assicurare a ciascun cittadino la libertà di perseguire i propri scopi, purché questa non comprometta la possibilità altrui di fare lo stesso.

Naturalmente, questa libertà non dovrà rivolgersi contro le istituzioni dello Stato medesimo, poiché altrimenti sarebbe minata la base stessa della sua validità. Gli individui sono considerati titolari di specifici diritti in quanto individui e non in quanto membri di una comunità politica: lo Stato non li conferisce ai cittadini, i quali possono anzi rivendicare questi contro le ingerenze del potere, ne è solamente il garante.

cms_27424/3v.jpgI critici comunitaristi del liberalismo – e MacIntyre concorda pienamente – hanno sostenuto che questa posizione sia ideologica, in quanto escludere qualsiasi concezione del bene non è possibile. Ciò è dimostrato dal fatto che proprio la libertà che essi intendono difendere è l’idea di bene che informa la loro dottrina. La contraddizione balza agli occhi quando, ad esempio, lo Stato deve prendere una decisione legislativa in materia di aborto: qualunque soluzione esso scelga non potrà che essere informata da una specifica concezione del bene (è bene che la vita del feto venga tutelata in quanto vita umana; oppure è bene che la donna abbia la libertà di gestire in autonomia la gravidanza). In realtà, John Rawls ammette che vi sia un’idea di bene alla base dello Stato liberale, tuttavia ritiene che essa sia una concezione non controversa e che lasci spazio alla libera scelta morale dei cittadini.

In “Giustizia e razionalità” MacIntyre legge il liberalismo come una tra le molte tradizioni sociali e di ricerca che presentano concezioni rivali del bene. La forma accettata di ragionamento pratico, presuppone specifiche concezioni di che cosa è “bene”, poiché è sempre ciò che è ritenuto bene a fungere da scopo dell’azione e quindi da premessa del ragionamento pratico.

cms_27424/4v.jpgE’ solo il concetto di tradizione che ci permette di comprendere come la filosofia possa rivendicare la verità, dato che ogni filosofia esiste all’interno di una tradizione. Questa implica una concezione di bene e uno specifico modello di ragionamento pratico che giustificano una specifica idea di giustizia. Ma ogni tradizione nasce in uno specifico contesto sociale e ha carattere di ideologia.

Ciò significa che il contesto sociale è determinante e che queste possono essere ritenute vere soltanto se riescono a dimostrare la loro validità indipendentemente dalla loro genesi particolare. Lo Stato liberale e l’economia di libero mercato sono specifiche strutture sociali che determinano la prevalenza dell’idea che il “bene” sia ciò che ciascun individuo ritiene tale, nell’ambito di una teoria sociale della giustizia, che si basa su principi di giustizia distributiva. La conseguenza dell’accettazione di una determinata idea di “bene” e di ragionamento pratico avrà come conseguenza una specifica concezione di giustizia. Quest’ultima, infatti, è ciò che permette a ogni uomo di perseguire il bene.

La giustizia presupposta da questa concezione non implica nulla a livello sociale, ma sostiene semplicemente che nessuno deve interferire con l’altro nel perseguimento dei propri scopi. Questa concezione “debole” di ”bene” convive con il fiorire di idee divergenti su cosa sia “Bene”. Con il termine maiuscolo, si indica ciò è considerato essere adatto allo sviluppo della vita buona per l’uomo, nel senso aristotelico del termine.

In una società liberale, potremo trovare coloro che ritengono che il perseguimento dell’interesse privato sia il “bene”, accanto a coloro che ritengono che quest’ultimo sia individuabile dal calcolo sociale volto a determinare la maggiore utilità per il maggior numero, con quelli che sostengono che il “Bene” sia l’azione disinteressata, compiuta unicamente per rispetto al dovere morale.

Il fatto che nessuna concezione sostanziale di “bene” prevalga, per un liberale non è affatto un problema. Anzi, egli è liberale proprio perché valuta positivamente questi aspetti. I contenuti della giustizia sociale, secondo lui, non possono essere derivati da una concezione di “Bene”, ma devono essere determinati dalla preferenza espressa dalla maggioranza.

Questa è una tesi che può essere sostenuta da un politico liberale, ma non da un filosofo liberale. Ogni filosofo è infatti impegnato a sostenere la verità delle sue tesi, a meno che non sia totalmente relativista, ma questo non è certo il caso di Rawls o Nozick, né di Locke, né di Kant, né di tanti altri filosofi liberali.

Se la critica di MacIntyre si è mossa su un terreno puramente filosofico, sarà sul medesimo campo che i liberali dovranno rispondere. Ma se, secondo MacIntyre, una filosofia liberale esente da dibattito non potrà mai esistere, il liberalismo come tradizione di ricerca ha fallito. Che conseguenze ha per la politica il fallimento filosofico del liberalismo? Lasciamo aperta la domanda a chi vorrà riflettervi ulteriormente.

Fine

Bibliografia

Alasdair MacIntyre, A Partial Response to my Critics, in John Horton, Susan Mendus (eds.), After MacIntyre: Critical Perspectives on the Work of Alasdair MacIntyre, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1994

Alasdair MacIntyre, The end of ideology and the end of the end of ideology, in Id., Against the Self-Images of the Age. Essays on Ideology and Philosophy, Duckworth, London 1971

Alisdair MacIntyre, Précis of Whose Justice? Which Rationality? (1991), in Kelvin Knight (ed.), The MacIntyre Reader, Polity Press, Cambridge 1998 University of Notre Dame Press, Notre Dame 1998

Alasdair MacIntyre, Moral relativism, truth, and justiication (1994), in Id., The Tasks of Philosophy. Selected Essays, vol. 1, Cambridge University Press, Cambridge 2006

6Alasdair MacIntyre, Giustizia e razionalità cit., vol. 1 e vo.2. Dopo la virtù (1981), Armando, Roma 2007, L’eredità complessa della modernità.

Michael Sandel, Il discorso morale e la tolleranza liberale: l’aborto e l’omosessualità (1989), in Alessandro Ferrara (a cura di), Comunitarismo e liberalismo. Il fallimento della tradizione liberale.

Puntate precedenti:

https://internationalwebpost.org/contents/ALASDAIR_MACINTYRE,_O_L%E2%80%99ETICA_DELLA_VIRTU%E2%80%99_(I%5E_parte)_27276.html#.Ywg_IHZByR8

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Data:

7 Settembre 2022