A centodue anni dalla sua nascita, torna ad essere protagonista in questi giorni Aldo Moro, altissimo esempio di uomo di grandezza morale. La sua vita è stata spesa al servizio del Paese: ha fatto parte di quella generazione di giovani che ha vissuto la violenza e l’ottusità della dittatura fascista, nonché gli orrori del secondo conflitto mondiale e del nazismo. Lo statista salentino ha reso possibile la creazione di un Paese democratico, in cui le donne e gli uomini potessero vivere un destino di libertà consapevole, mettendo al centro della sua azione politica il rispetto per la dignità umana.
Le Brigate Rosse, 40 anni fa, hanno voluto interrompere la sua opera, come anche hanno fatto con altre persone attivate a migliorare la nostra vita sociale, perché rappresentava l’immagine della chiesa cattolico-cristiana, che i sovversivi avevano in odio.
“Credo che la santità dello statista pugliese, possa essere ravvisata nello stile umile ed esemplare di una vita cristiana, vissuta senza compromessi, al servizio della politica e della società”. A proferire questo pensiero è padre Gianni Festa, postulatore generale dei domenicani, a cui è stata recentemente affidata la causa di beatificazione di Aldo Moro.
L’iniziativa parte alcuni anni addietro, con la raccolta di firme e la presa in carico da parte del cancelliere della Curia Metropolita Barese e della fondazione Centro studi di Bari. Una domanda ce la poniamo, indagando sulla motivazione che conduce proprio allo statista di Maglie, e non per esempio, a Martin Luther King, pastore protestante assassinato nel ‘68 a Menphis. Intanto in merito alla sua indiscussa fede e all’opera svolta nella politica. Infatti, quello della fede è un presupposto indispensabile per essere presi in considerazione. Ma il requisito che non lascia dubbi per accedere in questo meccanismo è, secondo la prassi, il miracolo. Monsignor Francesco Colasuonno di Grumo Appula, in uno dei suoi racconti, riferisce di aver organizzato, a suo tempo, l’incontro tra Wojtylia e Gorbaciov. All’epoca si trovava in Monzambico, quando subirono l’assalto di un gruppo di guerriglieri, che uccidevano qualunque individuo incontrassero. Il ministro religioso si ritrovò a pregare, dirigendo la sua supplica verso un quadro appeso al muro della stanza in cui si era barricato, raffigurante Aldo Moro. La stanza non fu assalita, e il sacerdote fu salvo, dichiarando di essere stato ascoltato dall’onorevole domenicano, dopo averlo pregato intensamente.
La causa di beatificazione è stata affidata ai domenicani perché Aldo moro era un laico domenicano e conseguiva una vita virtuosa praticando la fede, la speranza e la carità. Deportato il 16 marzo del 1978, venne ucciso a freddo in un assurdo delirio di proiettili. “Un martirio. Ma lo statista pugliese seppe perdonare i suoi aguzzini, e questo è già un esempio di santità” dichiara il postulatore della causa di beatificazione di Moro, il professor Nicola Giampaolo, in un’intervista rilasciata tempo addietro, aggiungendo che “un miracolo non è necessario per ottenere la santità, in quanto egli era uomo misericordioso per il fatto di aver perdonato i suoi aguzzini”. Aldo Moro ha vissuto ponendo al centro della sua azione politica il rispetto per la dignità dell’uomo. Paolo VI, durante la preghiera alle esequie ufficiali, accenna alla santità di Moro e lo descrive con queste parole: “Uomo buono, mite, saggio, innocente e amico. Fu un modello di fede, di speranza, e di carità per tutti”. Paolo VI sosteneva inoltre che la politica, se fatta bene, è la forma più alta di carità.