Émilie aveva solo 17 anni quando ha deciso, il 19 dicembre 2015, di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra della casa di suo padre. Non sopportava più gli atti di bullismo a cui era sottoposta ogni giorno a scuola, l’istituto Notre Dame de la Paix, nel centro antico di Lille. I genitori, Virginie e Yann, dopo circa 8 mesi dal tragico episodio, hanno autorizzato il quotidiano locale La Voix du Nord e quello nazionale Libération alla pubblicazione del diario segreto della propria figlia, cronaca dell’inferno che stava vivendo silenziosamente.
“All’ora di pranzo mi dico: metà giornata è passata, ne resta solo l’altra metà. Ma poi un altro pensiero rovina tutto: domani si ricomincia. […] Mi sento addosso gli sguardi degli altri. Vedo i loro sorrisetti quando mi fissano, sento che guardano le mie scarpe da ginnastica vecchie, i miei jeans sfilacciati, il mio maglione con il collo alto e il mio zainetto. Ho sentito qualcuno dirmi «barbona»”. Queste alcune delle riflessioni messe nero su bianco dalla giovane. Tutto era diventato più difficile da sostenere per il suo animo sensibile: anche il semplice tragitto per giungere in classe era per lei un “percorso da combattente”, da affrontare a testa bassa, nascondendo le lacrime e schivando i calci e gli sputi. L’unico posto sicuro, durante la ricreazione, era la toilette.
Émilie trovava consolazione solamente nei libri, i suoi “tesori” e “unici amici”. Era la migliore della classe, una ragazza senza fronzoli, che non vestiva alla moda e non si dava arie da primadonna. Era semplicemente se stessa, con le insicurezze tipiche della sua età che i bulli hanno saputo trasformare in mostri pronti a tormentarla giorno e notte, a consumarle mente e corpo.
Inizialmente, non aveva riferito i motivi del suo malessere ai genitori, che pensavano fosse dovuto alla loro recente separazione. Lei stessa scriveva: “Non volevo che sapessero, che provassero pena per me. Non volevo che si preoccupassero. E non volevo che mi aiutassero parlandone con il preside: le cose non avrebbero potuto che peggiorare”. Poi ha ceduto, confidando il suo segreto alla madre. Ma nemmeno questo è servito: il preside della scuola, per tutta risposta, ha affermato che non si poteva fare niente contro il bullismo, un fenomeno “troppo complicato da fronteggiare”. Immediata la decisione dei genitori di iscriverla presso un altro istituto, nonostante la sua vita fosse ormai distrutta: era arrivata a pesare 42 chili e la sua depressione aveva assunto una forma talmente acuta che le cure, sia psicologiche che mediche, risultavano del tutto vane. Il suo cuore ha cessato di battere lo scorso 22 gennaio, circa un mese dopo il suicidio che, probabilmente, progettava da tempo. A febbraio Virginie e Yann hanno denunciato la scuola per omertà. Come si legge nelle memorie di Émilie, gli scherni e le violenze avvenivano spesso sotto gli occhi dei docenti, che non sono mai intervenuti in sua difesa. Le indagini sono attualmente in corso.
“Questo evento dovrebbe essere un’opportunità per la consapevolezza”, ha commentato l’arcivescovo di Lille. In effetti, il bullismo è una realtà più estesa di quanto si possa immaginare, una sorta di microcosmo che gli adolescenti creano all’insaputa di genitori e insegnanti. Secondo un sondaggio dell’Unicef in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, condotto in 20 Paesi del mondo tramite la piattaforma digitale U-Report, i due terzi dei teenager sarebbero vittime di atti di bullismo e, dato ancor più sconcertante, un terzo di loro ritiene che si tratti di episodi “normali”, che non necessitano l’intervento di un adulto.
I dati Istat confermano questo standard anche per il nostro Paese. Nel 2014, il 50% degli intervistati nella fascia 11-17 anni dichiarava di aver subito episodi offensivi e/o violenti, perpetrati assiduamente nel 19,8% dei casi; maggiormente a rischio sarebbero le ragazze tra gli 11 e i 13 anni, spesso vittime di una sottile e distruttiva violenza psicologica da parte delle coetanee, fatta di sguardi, pettegolezzi, emarginazione.
Come far fronte a una problematica tanto diffusa? Innanzitutto, agli adulti spetta il compito di prestare attenzione ai possibili “campanelli d’allarme”: dai più evidenti, quali abiti sgualciti o ecchimosi sul corpo al ritorno da scuola, fino agli impercettibili segnali di malessere psicologico. Una delle “spie” più frequenti è il rifiuto da parte del ragazzo di recarsi a scuola, che può culminare in scatti d’ira, sbalzi d’umore, mal di stomaco o mal di testa. E’ bene incoraggiare il dialogo con la potenziale vittima e, qualora decidesse di confidarsi, non minimizzare mai la situazione che sta vivendo, prestando piuttosto il proprio aiuto per risolvere al più presto il problema.
Tuttavia, come sottolineato da Ernesto Caffo, fondatore di Telefono Azzurro e docente di neuropsichiatria infantile all’Università di Modena e Reggio Emilia, l’unica tattica vincente per debellare il bullismo consiste nella prevenzione. In questo senso, è di fondamentale importanza la collaborazione tra genitori e insegnanti, che devono ergersi a validi punti di riferimento nel percorso di maturazione degli adolescenti, facendo ricorso, se necessario, a terapie psicologiche mirate che scoraggino la nascita di atteggiamenti di prevaricazione e violenza. Il contesto sociale in cui i giovani sono quotidianamente immersi, sia a casa che a scuola, deve promuovere la conoscenza e il rispetto reciproco, l’accettazione del “diverso”, il dominio sulle proprie emozioni, l’accrescimento dell’autostima.