Elezioni,alta tensione tra regioni e governo su data voto
Incontro dai toni accesi, in qualche momento vicino alla rottura, quello tra i governatori e la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Tema del contendere la data del voto. Ai presidenti delle regioni che devono andare al voto non va giù la data del 20 settembre, indicata dall’esecutivo. Le regioni si sono presentate all’appuntamento con un fronte compatto, pur con diverse sfumature. Puntando a ’riaprire’ l’ipotesi di una finestra elettorale a luglio.
Vincenzo De Luca e Michele Emiliano sono descritti da alcuni partecipanti alla riunione come i più barricaderi, “furiosi” con il governo. Toni duri anche da Luca Zaia e Giovanni Toti, mentre l’emiliano Stefano Bonaccini pur sposando le ragioni dei governatori ha cercato di gettare acqua sul fuoco. Lamorgese si è mostrata, a quanto si riferisce, “disponibile” e “propositiva” ad approfondire la questione. La ministra dell’Interno ha anche assicurato che parlerà del tema col premier Giuseppe Conte. E con ogni probabilità il dossier sarà sciolto proprio sulla scrivania del presidente del Consiglio.
Nonostante il pressing dei governatori (cinque di loro sono arrivati a rivolgersi al capo dello Stato Sergio Mattarella) sembrerebbe ormai da escludere che si possa votare a luglio. Restano aperte le possibilità, invece, che il governo possa aprire a un’altra data in settembre, precedente al 20. E già si fanno le ipotesi alternative. Il 6 settembre è un giorno che potrebbe convincere tutti. C’è chi fa notare però la contemporaneità con una festa ebraica. E allora, si potrebbe ricadere sul 13 settembre. La parola, adesso, passa a Conte. I governatori aspettano la chiamata di palazzo Chigi.
Open Arms, D’Incà: “Non voto di Iv? Vedremo cosa faranno in Aula”
“Nessuna conseguenza ci sarà per il governo, noi stiamo andando avanti’’. Lo assicura il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, ospite di ’Circo Massimo’, parlando della non partecipazione al voto di Italia Viva in Giunta al Senato per il caso Salvini-Open Arms. ’’Sono scelte fatte da Iv, noi come 5 stelle invece abbiamo deciso di votare per il processo a Salvini, poi verrà in Aula e vedremo cosa succederà. Vedremo cosa farà Iv con Renzi”. Per D’Incà, quella su Open Arms “è stata una scelta unilaterale di Salvini e non concordata all’interno del governo come era stata fatto per il caso Diciotti”.
A chi gli chiede se ritiene che il premier Giuseppe Conte sia “corresponsabile” D’Incà replica: “No, è una difesa della scelta di Renzi, secondo me malfatta. Salvini non ha condiviso in Cdm, è stata una sua scelta unilaterale. Per questo motivo se ne deve prendere la responsabilità, anche davanti ai magistrati. Dopo 19 giorni che queste persone erano sulle imbarcazioni, anche mia madre era a conoscenza della problematica della Open Arms, quindi mi pare normale che Conte si fosse espresso sui minori, ma questo non vuol dire che in Cdm Salvini si fosse espresso sulla Open Arms. Ripeto, è una scelta unilaterale di Salvini. Se non avrà nessuna responsabilità, la magistratura farà il suo percorso e sicuramente Salvini ne uscirà pulito”, conclude D’Incà.
Csm, riforma presto in Cdm: maggioranza d’accordo su “intervento tempestivo”
Una riforma “che non può più attendere”, che non è nata sull’onda emotiva del momento buio che stiamo vivendo” e non è “punitiva contro la magistratura”. E’ il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, a mettere un punto fermo sul progetto di riforma del Consiglio superiore della magistratura, parlando al Question Time alla Camera, prima del vertice di maggioranza per riprendere il confronto sul testo, già messo a punto nei mesi scorsi, prima dell’emergenza coronavirus, e sul quale c’era una sostanziale convergenza delle forze di maggioranza. Sintonia confermata stasera dopo tre ore di riunione, al termine della quale, per dirla con le parole del ministro “siamo tutti perfettamente d’accordo sul fatto che bisogna intervenire con tempestività”.
Una risposta che va data subito al “vero e proprio terremoto” che ha travolto la magistratura italiana, ormai da un anno, con lo scandalo sulle nomine, e poi nelle ultime settimane per effetto delle nuove conversazioni nelle chat di Luca Palamara, emerse dagli atti dell’inchiesta di Perugia. “Una pagina dolorosa che ha fatto emergere dinamiche, nell’assegnazione di ruoli e incarichi, che possiamo definire inaccettabili”, ha detto in aula Bonafede.
Il ministro ha illustrato “tre pilastri” su cui si fonda il progetto: “L’introduzione di oggettivi criteri meritocratici nell’assegnazione degli incarichi da parte del Csm; un meccanismo elettivo che sfugga alle logiche correntizie; il blocco, definitivo, delle cosiddette porte girevoli fra politica e magistratura: chi sceglie di entrare in politica deve essere consapevole che non potrà tornare a fare il magistrato”. L’obiettivo è arrivare la prossima settimana in Consiglio dei ministri.
Dunque, norme stringenti che, sostanzialmente, impediscono al magistrato di tornare in ruolo dopo aver ricoperto cariche politiche elettive o di governo, anche a livello territoriale. Nuove regole anche per i magistrati fuori ruolo, quelli che ricoprono incarichi presso i ministeri e altre istituzioni, per evitare che quella esperienza diventi per loro un’occasione di carriera: non potranno fare domanda per accedere a incarichi direttivi per un determinato periodo di tempo successivo alla cessazione dell’incarico. Questo vale anche per i componenti del Consiglio superiore della magistratura.
Nessun intento punitivo, ma al contrario, assicura il ministro, una “tutela” per la “stragrande maggioranza” dei magistrati, che “non merita di essere trascinata, come sta avvenendo, nelle squallide paludi delle polemiche”. Sono quei magistrati “che meritano e pretendono di operare in un contesto normativo e strutturale che deve assicurarne l’autonomia e l’indipendenza, garantendo trasparenza in ogni aspetto che attiene alla loro vita professionale”, perché “l’autorevolezza e il prestigio che merita alla magistratura italiana è un obiettivo imprescindibile per la salvaguardia dello stato di diritto e la pienezza delle tutele di tutti i cittadini”.
Recovery Fund, Meloni: “Proposta Ue insoddisfacente”
“Siamo stati i primi ad auspicare un Recovery Fund cospicuo, immediato, con una quota maggioritaria di contributi a fondo perduto e senza condizionalità. Prendiamo atto che qualcosa si è mosso in questa direzione ma la proposta della Commissione Ue non è soddisfacente. Peraltro, siamo all’inizio di un lungo negoziato e il rischio concreto è che la proposta sia rivista al ribasso in seno al Consiglio Ue, che dovrà necessariamente tenere conto delle posizioni dei rigoristi Olanda, Danimarca, Austria e Svezia. Il diavolo è nei dettagli e sappiamo bene come l’Europa ci abbia spesso riservato brutte sorprese”. È quanto dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Per la leader di Fdi “le risorse rischiano di essere troppo poche, condizionate a riforme dettate da Bruxelles, e soprattutto di arrivare troppo tardi: se non si concentra la potenza di fuoco di questi interventi subito nei prossimi mesi e su pochi capitoli, il rischio è che questi fondi si rivelino inutili a salvare le nostre imprese. Speriamo di essere smentiti”.
“Il tutto accade mentre con gli aiuti di Stato sta aumentando le disparità tra le diverse economie. Senza trasferimenti immediati, alla fine della pandemia ci ritroveremo il nostro tessuto produttivo sempre più debole e quello di alcuni competitor, Germania in testa, sempre più forte. Fratelli d’Italia chiede al presidente del Consiglio Conte di farsi carico di queste preoccupazioni e di esplorare anche strade complementari da aggiungere agli strumenti Ue come i Bond patriottici, i Bond perpetui o a lunghissima scadenza acquistati dalla Bce e l’utilizzo dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del Fondo Monetario Internazionale”, conclude la Meloni.
Inps, Salvini vede Tridico: “Da noi soluzioni”
Il leader della Lega Matteo Salvini ha incontrato il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, ribadendo alcune proposte già avanzate al governo ma non recepite. Lo sottolineano fonti della Lega. All’incontro erano presenti anche il capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo, e i parlamentari Alberto Bagnai e Claudio Durigon. “Proponiamo soluzioni per tagliare burocrazia ed evitare che le famiglie restino senza stipendio e senza cassa integrazione”, ha detto il leader della Lega.
In particolare, la Lega propone di accorciare i tempi per staccare gli assegni prima del mese previsto come tempo minimo. Il governo ha infatti stabilito che si possono presentare domande per la cig a trenta giorni dalla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale, dilatando così i tempi. La Lega ha anche suggerito di erogare un anticipo del 100% anziché del 40% per la prima mensilità di cassa integrazione.