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“Altri occhi ancora”

ROMA – Tecnica cinematografica e poesia nel libro “Altri occhi ancora” di Katia Simmi (giornalista e regista romana) autopubblicato anche in formato e-book con ilmiolibro.it e disponibile online su Lulu.comLo sguardo attivo dell’autrice indaga le emozioni, spostandosi dalla parola poetica al racconto in un movimento stilistico che ripete quello della macchina da presa. “ Se la poesia – spiega Simmi, nell’introduzione – è il primo piano di un tempo accertato, il racconto rappresenta il luogo in panoramica di quella stessa emozione”.

cms_290/o1__sinnijpg.jpgA dare il titolo alla raccolta il brano “So lonely”, che esplicita l’importanza della ricerca e dell’incontro dell’altro nella Weltanschauung dualista dell’opera: “Altri occhi ancora non serviranno a rispondere a certe domande, come altre risposte non serviranno per altrettanti amori”. Quaranta liriche e quattro racconti fanno vivere al lettore-spettatore la dialettica amorosa, non banalizzata da tradizionali clichè, ma resa realista dal confronto/scontro dei protagonisti, in un gioco a perdere: “Vincenti o perdenti/i contendenti ne usciranno/stremati/il prezzo comune per aver partecipato.” (“Contendenti”).Il periodare breve e concentrato, per immagini e fotogrammi, rende il libro dinamico e di immediata lettura, ma non scontato nel suo dipanarsi. Attesa e assenza, per quanto essenziali nel dar vita a un sentimento amaro del tempo, non sottraggono svolgimento all’azione: “Mi muovo in una quotidianità/ che non ho avuto il tempo di/ riorganizzare./Dopo te, infatti,/è rimasta muta, opaca./Mi appendo alla tua voce/che chiama dal rumore di un’altra/realtà./Veloci e duri, passano i treni verdi e gialli,/ma è solo l’inizio di un’altra giornata.” (“Tempo”), ma oggetti: “Ho perso tante cose/giorni, anelli/chiavi e cappelli.” (“Cose”), che acquisiscono un significato simbolico, mai metafisico.

cms_290/02_sinni_.jpgLe parole lasciano il verso, per diventare voci nelle trame dei racconti, nella ragnatela della quotidianità. Sugli esili fili di storie, che sembrano visioni, si muove l’autrice, equilibrista tra un inizio incerto e una fine da svelare: “Il gioco delle comparsate,/presenze e assenze come flash,/fantasmi in carne e ossa./Io perdo tempo, tu acquisti terreno./E mentre esplode,/come una eco lontana,/la pistola carica a salve,/tu sei già partita.” (“Flash”).Lo spazio poetico diventa avamposto: “Vorrei dare un nome, a questo ridicolo/avamposto umano,/fatto di quelli che negano,/quelli che confondono,/quelli che non possono dire ti amo/quelli che quando glielo dicono se ne/vanno,/quelli che lo dicono ogni volta che lo/fanno,/quelli che hanno aspettato troppo per/dirlo,/quelli che restano troppo,/quelli che ti pensano e non ti/chiamano,/quelli che vorresti chiamare ma poi basta/il pensiero,/quelli con cui non ti capirai mai,/quelli con cui faresti l’amore ma non ci/andresti a cena,/quelli con cui, ormai, a cena, non ci vai più,/quelli che prendono un treno qualsiasi,/basta che parta,/quelli che questo amore è troppo grande,/quelli che stanno per affogare e chiedono/ l’ora al bagnino che li salva,/quelli che il tempo è danaro/mentre tu paghi il conto,/quelli per cui tu sei sprecato e ti hanno conosciuto ieri.” (“Avamposti”).Perché, se “leggere – afferma la poetessa – può cambiare la visione che hai del mondo e delle cose”, “scrivere consente almeno un ulteriore tentativo, necessariamente umile, ma non silenzioso, di non permettere al mondo, alle cose, di farlo”.

Data:

1 Giugno 2014