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Libia, catturati 128 uomini di Haftar

Libia, catturati 128 uomini di Haftar

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Uomini delle forze al comando del generale libico Khalifa Haftar sono stati fatti prigionieri nelle ultime ore nella “zona militare occidentale” dalle forze fedeli al governo di concordia nazionale di Tripoli. Lo confermano all’AdnKronos fonti libiche, precisando che sono in tutto “128 i combattenti della Brigata 106” catturati dalle milizie di Zawiya, che hanno sequestrato loro armi ed equipaggiamenti. Secondo le fonti, sarebbero “32 i mezzi” sequestrati alle forze di Haftar.
Intanto, caccia delle forze di Misurata hanno condotto all’alba due raid contro le forze del generale Haftar nella parte meridionale di Garian, la città ad un centinaio di chilometri a sud di Tripoli dove l’Esercito nazionale libico è entrato ieri. Lo riferiscono fonti libiche all’Adnkronos, precisando che al momento non si hanno notizie di vittime.

“Le forze di Haftar sono in seria difficoltà, la sua offensiva nell’ovest della Libia fallirà“, spiega all’Adnkronos Ashraf Shah, ex membro del dialogo politico che ha negoziato gli accordi di Skhirat. “Le notizie secondo cui le sue forze sarebbero a 30-40 chilometri dalla capitale sono pura propaganda – assicura – Non hanno speranze di entrare a Tripoli, dove la situazione è assolutamente tranquilla”.Secondo Shah, la “scommessa” del generale di conquistare l’ovest del Paese per presentarsi alla Conferenza nazionale in una posizione di forza “fallirà”.

Sul caso interviene Matteo Salvini, che si dice “molto preoccupato” per la situazione in Libia. “Sto avendo aggiornamenti ora per ora dalla nostra intelligence, bisogna gettare acqua sul fuoco. Non vorrei che qualcuno, per interessi economici e commerciali, stesse invogliando a una soluzione armata, sarebbe devastante”, ha detto il vicepremier a margine del G7 dei ministri dell’Interno. “Ogni riferimento a chi c’è dietro Haftar è puramente casuale”, ha aggiunto.

“Siamo profondamente preoccupati per l’escalation militare in corso in Libia, esortiamo tutte le parti coinvolte a ridurre la tensione e evitare ogni provocazione”. Maja Kocijančič, portavoce della Commissione Europea, nel briefing odierno risponde così ad una domanda sugli eventi in corso in Libia. “Non ci può essere soluzione militare alla crisi libica, la situazione attuale richiede che chi è nella posizione di decidere agisca in modo responsabile e ponga l’interesse nazionale davanti a tutto”, aggiunge.

Sui passaporti è già Brexit

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Rinviata già una volta, e destinata molto probabilmente a un nuovo rinvio, la Brexit sembra però essere già avvenuta sulla copertina dei passaporti britannici. Con britannica precisione infatti dal 30 marzo scorso – data che doveva segnare, all’indomani del fatidico 29 marzo, il primo giorno della nuova vita del Regno Unito fuori dall’Unione – i passaporti emessi non recano più la dicitura “European Union” sulla copertina.

Evidentemente la macchina burocratica – che prevede che dopo una prima fase di scomparsa della dicitura Ue per la fine dell’anno si ritorni ai vecchi passaporti britannici con la copertina blu scuro, a cancellare completamente la stagione comunitaria – non è stata avvisata o fermata in tempo dopo il rinvio dettato dalla sempre più caotica politica Gb.

“Io sono rimasta molto sorpresa, siamo ancora membri della Ue, sono rimasta sorpresa che abbiamo fatto questo cambiamento quando non siamo ancora usciti”, si è sfogata con i media Gb Susan Hindle Barone, la cittadina britannica che venerdì ha ritirato il suo nuovo passaporto scoprendo il cambiamento. Un cambiamento, ha detto ancora Barone svelando la sua posizione anti-Brexit, “che è un segno tangibile di qualcosa che ritengo completamente inutile”.

Dai migranti ai foreign fighters, prove di intesa Parigi-Roma

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(Marco Mazzù) – ’Per un mondo più sicuro’, avevano intitolato il summit del G7 dei ministri dell’Interno alla vigilia di una riunione che si preannunciava delicata perché, come hanno più volte sottolineato i protagonisti del vertice di Parigi, “le diversità di vedute esistono” su alcuni dei temi più caldi in tema di sicurezza. Alla fine, però, un sollevato Cristophe Castaner’, ministro dell’Interno francese e quindi ‘padrone di casa’ dell’evento, può brindare a una “riunione coronata da successo” nelle sue linee generali sui dossier principali in discussione, come il contrasto al traffico di esseri umani, le misure contro la diffusione in rete dei messaggi di propaganda del terrorismo, la gestione comune del fenomeno del ritorno dei ‘foreign fighters’ e la lotta alle ecomafie che si arricchiscono con la criminalità ambientale.

Protagonista del meeting il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che vede riconosciute alcune delle linee-guida che ispirano il suo mandato al Viminale, a cominciare dal contrasto all’immigrazione clandestina dalle coste dell’Africa. E per la prima volta, con grande soddisfazione del vicepremier italiano, il ruolo delle organizzazioni non governative viene messo in discussione a livello internazionale per le ambiguità di comportamento che in alcuni casi, come ha rilevato lo stesso Castaner, hanno fatto pensare a collusioni o complicità delle Ong con i trafficanti di esseri umani.

Gli ‘Impegni di Parigi’ scaturiti dal vertice dei ministri dell’Interno prevedono innanzi tutto il rafforzamento delle misure di contrasto alle organizzazioni attive nel traffico di migranti, con misure di aiuto e cooperazione a beneficio dei Paesi di origine e transito del fenomeno, il supporto alle dotazioni e all’equipaggiamento della guardia costiera libica, una decisa implementazione del meccanismo dei rimpatri, il miglioramento degli strumenti legali e giudiziari per colpire le attività di finanziamento delle organizzazioni (con possibili ripercussioni positive anche in chiave antiterrorismo), il sostegno a Unhcr e Oim per garantire il rispetto dei diritti umani.

Tutti d’accordo sul fatto che, con la cacciata dell’Isis dalla Siria e dall’Iraq, il fenomeno del ritorno dei ‘foreign fighters’ nei Paesi d’origine rappresenta “una seria minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”. C’è il rischio, rileva la dichiarazione comune diffusa al termine del G7, “che i combattenti si disperdano sul territorio” e si mescolino “ai flussi migratori in arrivo verso i Paesi europei”, cosa che “costituirebbe una seria minaccia terroristica per tutti i Paesi del G7 e oltre”. Nasce da qui la raccomandazione a “stabilire metodi per assicurare l’identificazione dei foreign fighters” con la condivisione di informazioni e database, oltre al rafforzamento dei controlli di confine.

Previsti anche maggiori controlli preventivi sul fenomeno della radicalizzazione, specie nelle carceri, mentre misure di sostegno psicologico e aiuto verranno adottate nei confronti degli ‘orfani di guerra’ e dei minori di ritorno dalle zone di conflitto.

Una sessione di lavoro specifica, aperta alla partecipazione dei rappresentanti dei giganti del web, è stata dedicata alla necessità di contrastare l’uso propagandistico della rete per veicolare il messaggio del terrorismo, ultimo esempio in ordine di tempo i video della strage del 15 marzo scorso a Christchurch, in Nuova Zelanda, scaricati milioni di volte nei giorni successivi all’eccidio. Le compagnie attive su Internet saranno quindi invitate a incrementare gli sforzi “per prevenire e contrastare l’uso del web per scopi estremisti”.

Da Parigi viene espressa chiaramente la richiesta ai gestori della Rete di “stabilire protocolli d’emergenza per rimuovere contenuti terroristici” e di “creare strumenti tecnici per indirizzare le procedure di esclusione con algoritmi dedicati allo scopo di impedire la diffusione di contenuti violenti”. I ministri dell’Interno del G7 chiedono poi di sostenere il lavoro dell’autorità giudiziaria facilitando l’accesso alle ‘prove digitali’ rintracciabili in Rete. In tema di criminalità ambientale, il G7 dei ministri dell’Interno lancia l’allarme sul fatto che le ecomafie che attentano all’equilibrio del pianeta lucrano ogni anno guadagni illeciti enormi: da 110 a 281 miliardi di dollari a livello globale, secondo la più recente indagine dell’Interpol e dell’Unep (United Nations Environment Programme).

Ambiente che viene “messo a repentaglio da attività come il taglio di legname e la deforestazione, la pesca illegale, il traffico di rifiuti, il commercio illecito di minerali e sostanze chimiche, la caccia di frodo e il commercio di specie animali e vegetali”. Di qui, sottolineano i ministri riuniti per due giorni a Parigi, la necessità di “rafforzare e migliorare le normative nazionali” e di “sviluppare la capacità di contrasto legale per portare a termine operazioni transnazionali allo scopo di smantellare le organizzazioni internazionali” attive nel settore.

La pubblicità di Facebook discrimina per razza e genere

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La pubblicità su Facebook può discriminare gli utenti per razza e genere, questo anche se gli inserzionisti vorrebbero che i messaggi venissero mostrati a un’audience più ampia. Lo afferma uno studio realizzato da 6 ricercatori della Northeastern University di Boston, della University of Southern California e di Upturn, organizzazione che promuove equità e giustizia nella progettazione, nella gestione e nell’uso della tecnologia digitale.

Nello studio, sono stati spesi 8500 dollari per pubblicare decine di inserzioni sulla piattaforma e hanno osservato se alcuni messaggi siano stati indirizzati verso determinati gruppi di utenti. In un caso particolare, è stato pubblicato un annuncio relativo ad abitazioni da acquistare o affittare in North Carolina. Secondo i ricercatori, i messaggi dedicati a case in vendita sono stati indirizzati a una platea formata al 75% da utenti bianchi. Le inserzioni per le case da affittare, invece, sono state mostrate a un pubblico più diversificato.

Un quadro degno di attenzione si delinea anche se si considerano le inserzioni relative all’offerta di posti di lavoro. Le proposte nel settore dell’industria del legname hanno raggiunto soprattutto uomini e in particolare bianchi. Le offerte per posti per addetti alla cassa nei supermercati, invece, sono state sottoposte soprattutto all’attenzione di donne, in particolare afroamericane.

Il team di ricercatori guidato da due ’computer scientist’ -Muhammad Ali e Piotr Sapiezynski della Northeastern University- ritiene che i sistemi di Facebook siano condizionati dalla razza e dal sesso degli utenti.

“Anche un inserzionista ben intenzionato potrebbe finire per raggiungere un pubblico prevalentemente bianco e/o prevalentemente maschile”, spiega Sapiezynski, riassumendo le sue ricerche. “Questo accade perché gli opachi algoritmi di Facebook, ’addestrati’ su dati storicamente distorti, prevedono che queste persone saranno più interessate“.

L’Economist ha sottoposto lo studio a un panel di esperti, che hanno definito l’analisi ’’solida’’. Il settimanale ha interpellato anche una portavoce di Facebook. “Siamo contrari alla discriminazione in qualsiasi forma. Abbiamo apportato importanti modifiche ai nostri strumenti di targeting degli annunci e sappiamo che questo è solo il primo passo”, ha detto Elisabeth Diana. “Abbiamo esaminato il nostro sistema di consegna degli annunci e abbiamo coinvolto esperti del settore, accademici e esperti dei diritti civili su questo argomento e stiamo studiando ulteriori modifiche”.

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6 Aprile 2019