Huawei fa causa agli Usa
Il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei ha fatto causa al governo americano contro il bando all’uso dei suoi prodottida parte delle agenzie dell’amministrazione di Washington per motivi di sicurezza. “Il bando non è soltanto illegale, ma impedisce alla Huawei di impegnarsi in una competizione equa con danno per i consumatori americani”, ha dichiarato il presidente di turno della Huawei, Guo Ping, dal suo quartier generale di Shenzen. L’azione legale è stata avviata presso la corte distrettuale americana di Plano, in Texas. Gli Stati Uniti, ha detto Guo, “non hanno finora prodotto prove per giustificare le restrizioni ai prodotti Huawei. Siamo costretti ad intraprendere questa azione legale”.
La causa si rivolge contro la sezione 889 del National Defence Authorisation Act firmato in agosto dal presidente americano Donald Trump, che vieta alle agenzie del governo di Washington di usare prodotti Huawei. Secondo la compagnia cinese, il bando viola la costituzione americana perché le accuse di violazione della sicurezza non sono provate.
Secondo Washington, la Huawei è legata al governo cinese e l’uso dei suoi prodotti rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale. L’amministrazione Trump ha fatto pressione su diversi governi perché non affidino alla compagnia la realizzazione delle infrastrutture della rete di telecomunicazione 5G.
Lo scontro con la Huawei s’inserisce in quello più ampio fra Usa e Cina sui dazi commerciali e non si limita soltanto al bando ai suoi prodotti. La giustizia canadese sta attualmente valutando la richiesta americana per l’estradizione di Meng Wanzhu, responsabile finanziario di Huawei e figlia del fondatore della compagnia, arrestata a Vancouver in dicembre e accusata di violazione delle sanzioni contro l’Iran. In un’altra vicenda, gli Stati Uniti hanno accusato in gennaio la Huawei di frode, ostruzione della giustizia e cospirazione per spionaggio commerciale ai danni dell’americana T-Mobile.
Prima top gun Usa rivela: “Stuprata da un superiore”
Prima donna top gun dell’aviazione americana, la senatrice repubblicana Martha McSally ha suscitato forte emozione negli Stati Uniti raccontando in aula di essere stata stuprata da un suo superiore dell’Air force ma di non aver avuto allora il coraggio di denunciarlo. Le sue parole sono state riprese dai principali media americani.
“Anche io sono stata vittima di un assalto sessuale militare, ma a differenza di altre persone coraggiose, non l’ho denunciato. All’epoca non avevo fiducia nel sistema. Mi incolpavo. Ero piena di vergogna e confusa. Pensavo di essere forte ma mi sentivo impotente”, ha raccontato la senatrice dell’Arizona, durante un’audizione alla Commissione forze armate, dedicata alla prevenzione degli abusi sessuali in ambito militare.
Senatrice dell’Arizona nel seggio che fu di John McCain, la 52enne McSally non ha fornito dettagli su quando accadde lo stupro. Ma ha detto di aver lasciato l’aviazione quando, anni dopo, cercò di confidarsi su quanto accaduto mentre emergevano primi scandali nelle forze armate. “Fui inorridita per come venne gestito il mio tentativo di condividere la mia esperienza”, ha raccontato. La senatrice, che è stata anche comandante di uno squadrone di aerei d’attacco A-10, è entrata all’accademia militare negli anni Ottanta ed ha fatto parte dell’Air force fra il 1998 e il 2010.
Coprì abusi, condannato arcivescovo di Lione
Uno dei maggiori prelati della chiesa cattolica francese, il cardinale di Lione Philippe Barbarin, è stato condannato a sei mesi con la condizionale per non aver denunciato i casi di presunti abusi sessuali sui minori da parte di un sacerdote della sua diocesi. Il legale di Barbarin, Jean-Félix Luciani, ha preannunciato appello contro la sentenza, emessa dal tribunale di Lione.
Dopo la condanna, Barbarin ha annunciato di voler presentare le sue dimissioni al Papa. “Ho deciso di recarmi dal Santo padre per consegnargli la mia lettera di dimissioni”, ha detto il 68enne secondo quanto riporta Le Figaro, parlando di “terremoto nella chiesa di Francia”.
Il processo contro il cardinale, 68 anni, arcivescovo di Lione, che si è sempre detto innocente, ha sollevato grande emozione in Francia, anche per le testimonianze in aula delle presunte vittime. Al centro della vicenda vi sono le accuse di nove ex scout che hanno denunciato di essere stati vittime di abusi sessuali perpetrati prima del 1991 da un sacerdote di Lione, padre Bernard Preynat. L’affare era scoppiato nel 2015, ma una prima inchiesta giudiziaria si era conclusa con una archiviazione.
Sostenuti dall’associazione ’La parole liberée’, i nove si sono allora rivolti in tribunale contro la diocesi per non aver denunciato i fatti, mentre il sacerdote è rimasto a contatto con i minori fino al 2015. Oltre al cardinale erano imputati altri 5 membri della diocesi, che non sono stati condannati perché le accuse nei loro confronti sono prescritte. Barbarin afferma di essere venuto a conoscenza delle accuse contro Preynat solo nel 2014, quando una delle presunte vittime si confidò con lui. Ma le parti civili sostengono che il cardinale era al corrente dei fatti fin dal 2010, quando convocò il sacerdote per discutere delle voci che correvano sul suo conto.
Nell’annunciare il ricorso, l’avvocato Luciani ha sottolineato che il tribunale è stato sottoposto a forti pressioni dell’opinione pubblica. La vicenda ha anche ispirato un film, “Grace a Dieu”, del regista Francois Ozon.