Rohani contro Trump
Gli Stati Uniti si sono messi “contro 82 milioni di iraniani, non contro il governo” di Teheran, e “quello che gli Usa stanno facendo oggi non è solo una guerra (economica), non sono solo sanzioni, ma crimini contro l’umanità perché stanno bloccando i nostri acquisti di medicinali e generi alimentari e stanno impedendo ai malati di spostarsi all’estero” per cure mediche. Lo ha sostenuto il presidente iraniano, Hassan Rohani, intervenuto dalla provincia dell’Azerbaijan Occidentale.
Rohani, stando alle dichiarazioni diffuse dalla presidenza iraniana, ha evidenziato come “gli americani avrebbero potuto prevedere deroghe alle sanzioni per i medicinali e i generi alimentari”. Il presidente ha poi descritto gli Stati Uniti come “la più grande potenza arrogante” al mondo e l’Iran come il “simbolo della fede, della dignità e dell’indipendenza”.
“L’inaugurazione di grandi progetti in un periodo in cui gli Stati Uniti fanno del loro meglio contro di noi – ha incalzato Rohani – dimostra la forza del nostro popolo”. Secondo l’agenzia ufficiale Irna, il presidente si è recato nell’Azerbaijan Occidentale per inaugurare “27 progetti infrastrutturali”.
Haftar a Macron: “Non ci sono condizioni per cessate il fuoco”
“Non sussistono” al momento le condizioni per un cessate il fuoco in Libia. E’ quanto ha detto il generale libico Khalifa Haftar al presidente francese Emmanuel Macron nel corso dell’incontro, avvenuto a Parigi, secondo quanto riferito da una fonte dell’Eliseo. L’uomo forte della Cirenaica, sostiene la fonte citata dai media francesi, ha tuttavia riconosciuto la necessità della ripresa di un dialogo politico per portare la Libia fuori dalla crisi. “Quando la questione del cessate il fuoco è stata messa sul tavolo Haftar ha reagito chiedendo ’con chi devo negoziare un cessate il fuoco oggi?’ “, ha riportato la fonte, secondo la quale il generale ritiene che il governo di concordia nazionale guidato da Serraj sia “completamente fagocitato dalle milizie e che non debba negoziare con i rappresentanti di questi milizie”. Al termine del colloquio, davanti a Macron che lo ha sollecitato a fare “pubblicamente un passo verso il cessate il fuoco”, Haftar “ha riconosciuto che è necessaria una discussione politica inclusiva e che è d’accordo a parteciparvi quando le condizioni saranno soddisfatte”, ha aggiunto la fonte.
Venezuela, Merlo: “Maduro è stanco”
“Ho visto Maduro molto stanco. Guaidò invece è ancora molto carico e molto fiducioso”. Il sottosegretario agli Esteri Ricardo Merlo ha appena concluso la missione a Caracas. Il senatore in rappresentanza dell’Italia ha preso parte agli incontri che il Gruppo di contatto ha avuto con Nicolas Maduro e con Juan Guaidò.
“La posizione dell’Italia -dice all’Adnkronos- è e rimane chiara: vogliamo lavorare per favorire l’avvicinamento delle parti e arrivare all’elezione di tutti gli organi”. L’opposizione guidata da Guaidò ribadisce i propri obiettivi: fine dell’usurpazione di Maduro, governo di transizione e elezioni presidenziali libere e trasparenti.
“Maduro non è convinto in relazione alle elezioni. Ma l’ho visto veramente stanco, lui sta soffrendo molto le sanzioni. Il paese si sta isolando sempre più a livello internazionale”, dice Merlo. L’ambasciatore del Venezuela in Italia, Isaías Rodríguez, si è appena dimesso dal proprio incarico. “Anche questo -sottolinea il sottosegretario- è un sintomo di quello che sta succedendo. Caracas non ha mezzi finanziari per tenere in piedi un’ambasciata. La situazione del regime si sta complicando ogni giorno”.
Dall’altra parte, afferma il sottosegretario, Guaidò non perde spinta nonostante il ’forcing’ dell’opposizione duri da 4 mesi. “E’ molto carico, molto fiducioso”, afferma il sottosegretario. “Abbiamo parlato con organizzazioni che lavorano a contatto con tutte le fasce sociali, c’è un ampio sostegno per la richiesta di elezioni”, dice.
Il voto è l’obiettivo anche della comunità italiana: “Anche i nostri connazionali vogliono il cambiamento, non conosco nessuno che non lo voglia”. “Dal punto di vista sociale -osserva Merlo- la situazione è complicatissima, la gente non ce la fa più. Il Venezuela è un paese senza moneta, manca il minimo indispensabile per sopravvivere. Non esiste stato di diritto: due deputati dell’assemblea nazionale si sono rifugiati nella nostra ambasciata, uno è nell’ambasciata spagnola”.
“Il quadro è molto complesso, bisogna avere pazienza -prosegue- Il rischio” che la situazione precipiti “c’è. Noi siamo contrari come Ue a qualsiasi intervento militare. Gli attori sulla scena sono molti: c’è l’Ue, il Gruppo di Contatto, il Gruppo di Lima. E poi ci sono Usa, Russia e Cina che ricoprono un ruolo importante”.
Brexit, si dimette la ministra Leadsom
Si è dimessa Andrea Leadsom, ministra per i rapporti con il Parlamento. “Non credo più che il nostro approccio porterà dei risultati – ha scritto in una lettera alla premier Theresa May – E’ con grande rammarico e con il cuore pesante che ho deciso di dimettermi dal governo”. Nella lettera, la Leadsom, che nel 2016 aveva partecipato alla corsa per la leadership del Partito conservatore, motiva tra l’altro così il suo gesto: “Non credo che si sarà un Regno Unito veramente sovrano con l’accordo che è stato proposto. Ho sempre sostenuto che un secondo referendum sarebbe pericolosamente divisivo e non sostegno un governo che vuole facilitare una tale concessione. C’è stata un fallimento dei processi governativi per cui le proposte legislative sulla Brexit non sono state appropriatamente controllate o approvata dai membri del governo”.
“Andrea Leadsom ha servito con grande capacità e qualità come membro del governo ed è grata per tutto il suo lavoro” ha detto un portavoce di Downing Street. “Siamo delusi che abbia scelto di dimettersi e la premier resta concentrata sui risultati per i quali ha votato il popolo britannico”.
La May è sempre più isolata all’interno del governo e del partito conservatore. L’apertura della premier a un secondo referendum sulla Brexit ha avuto effetti dirompenti nell’ambito dell’esecutivo e dei Tory. Stamattina i ministri legati all’ala euroscettica, compresi Michael Gove e Andrea Leadsom, che poi in serata si è dimessa, si sono riuniti e hanno definito una linea che non prevede la presentazione, alla Camera dei Comuni, dell’attuale versione della legge destinata a definire la Brexit.
A minacciare la leadership di May contribuirebbe anche il meeting che il ’1922 Committee’, il Comitato del Partito conservatore del quale fanno parte tutti i deputati senza incarichi governativi, dovrebbe tenere in serata. I parlamentari potrebbero valutare la modifiche delle norme per consentire un immediato voto di fiducia.
Da Downing Street, intanto, un portavoce getta acqua sul fuoco e descrive una situazione sostanzialmente lineare. “Il primo ministro è concentrato sul proprio incarico, le ultime 24 ore hanno dimostrato che l’impegno è notevole”, ha detto il portavoce rispondendo a domande sull’ipotesi di dimissioni immediate della premier. May, ha aggiunto, secondo i programmi incontrerà il presidente del 1922 Comittee, per definire i passaggi che porteranno al previsto avvicendamento ai vertici del partito.
Sale la rivolta fra i Brexiteer del partito. L’ex ministro degli Esteri Boris Johnson, che si candida alla sua successione, ha già detto che voterà contro l’accordo di ritiro. “Il compromesso, particolarmente la promessa di una unione doganale post Brexit con l’Ue e una nota parlamentare sulla tenuta di un secondo referendum sulla Brexit, vanno contro il manifesto conservatore- ha twittato – Possiamo e dobbiamo fare meglio per realizzare quanto votato dagli elettori”. Altrettanto negativo è il giudizio dell’ultraconservatore Jacob Rees Mogg. “Le ultime proposte del primo ministro sono peggiori di prima e ci lascerebbero profondamente legati all’Ue”, ha tuonato su Twitter. La May ha superato un voto di sfiducia interno al suo partito in dicembre e secondo le regole in vigore questo la mette a riparo fino alla fine dell’anno.