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Navigator verso il taglio, da seimila a tremila unità

Navigator verso il taglio, da seimila a tremila unità

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Verso una riduzione del numero dei navigator da 6mila a 3mila unità. Questo quanto emerso nel corso dell’incontro tra il governo e le Regioni, come riferito dal presidente della Regione Liguria e vicepresidente della Conferenza dei governatori Giovanni Toti. Il ’dimezzamento’ del numero dei tutor del reddito di cittadinanza, hanno spiegato i governatori, è stata una proposta messa sul tavolo dal governo.
“Riteniamo che in questa fase le strutture regionali siano in grado di assorbire e utilizzare al meglio un numero fino a 3mila navigator”, ha spiegato Toti. “In fase definitiva – ha continuato – quando le Regioni faranno i concorsi e verrà assunto in via definitiva personale dei centri per l’impiego, il numero tornerà a salire“. La riduzione del numero è un’ipotesi che “ha messo sul tavolo il governo e che ci è sembrata equa”, ha concluso Toti.

La definizione di un piano nazionale per il potenziamento dei servizi per il lavoro e il rafforzamento dei centri per l’impegno sul quale arrivare a “un’intesa forte” tra governo e Regioni; la definizione del ruolo dei navigator che dovranno fornire supporto e assistenza tecnica, il loro ’dimezzamento’, unità e stipula di convenzioni bilaterali tra governo e singole Regioni per dare attuazione al piano. Su questi punti ruota la proposta, messa a punto all’unanimità dalla Conferenza delle Regioni e inviata al ministro del Lavoro.

Il testo condiviso dalle Regioni punta a “un piano, su cui le Regioni dovranno dare un’intesa forte, da condividere con il governo sull’ingresso dei navigator, il ruolo dei navigator come supporto all’assistenza tecnica dei centri per l’impiego delle Regioni”, ha spiegato Toti sottolineando che inoltre, attraverso la riduzione del numero dei navigator da 6mila a 3mila, si libereranno “ulteriori risorse da usare nelle politiche attive del lavoro”. “L’esigenza è di procedere alla prima fase definitiva in tempi stretti e poi alla stipula di convenzioni dirette tra il ministero e le singole Regioni – ha spiegato Toti riguardo all’inserimento dei navigator – che tengano conto della prerogativa regionale di specificità di ciascuno”. “Ora aspettiamo che il governo si pronunci sul testo – ha detto Toti facendo riferimento alla proposta unanime delle Regioni – ma credo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda“.
Lo stesso vicepresidente della Campania Fulvio Bonavitacola ha sottolineato che “si è rimarcata la necessità di sostituire a questa figura indefinita dei navigator un servizio di assistenza tecnica che sarà regolato con un piano nazionale sul quale si chiede vi sia una intesa forte tra governo e Regioni”. Secondo Bonavitacola la figura dei navigator era finora troppo “equivoca e indistinta”.

Se arriverà il via libera del governo al testo messo a punto dalle Regioni, da recepire in un emendamento, i governatori domani daranno parere favorevole nell’Unificata, fissata per le 10, al decretone sul reddito di cittadinanza.

Sono senza deleghe”, giallo nel governo

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Giallo nel governo a proposito della titolarità delle deleghe del ministero degli Affari europei, dopo le dimissioni di Paolo Savona, designato alla presidenza della Consob, e l’assunzione dell’interim da parte del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Durante la discussione alla Camera della legge europea, infatti, il sottosegretario agli Affari europei Luciano Barra Caracciolo ha spiegato di trovarsi in una “strana situazione” in quanto non possiede le relative deleghe.

“Poco prima di venire qui, gli uffici del segretario generale di Palazzo Chigi – ha sottolineato in Aula – mi hanno comunicato che mi considerano senza deleghe e di fatto anche senza incarico a seguito delle dimissioni di Savona, che a mio parere sono del tutto autonome. Per cui, finché non ho un chiarimento da parte di tali uffici, perché sembrano aver deciso in questo senso non ben chiaro, ho chiesto di accertare questo aspetto preliminare, perché in tal caso non potrei essere il rappresentante del governo, meno che mai agli Affari europei”.

Il vicepresidente della Camera e presidente di turno, Ettore Rosato, ha replicato, rivolto al sottosegretario, che “il governo ha delegato lei a seguire questo provvedimento, quindi evidentemente la considerano ancora in carica e questioni di carattere più politico le risolviamo in altri luoghi e in altre sedi”. Posizione ribadita anche di fronte alle richieste di Piero De Luca, che, a nome del Pd, ha chiesto che “il governo manifesti quale è la situazione legata al dicastero, perché ancora oggi non c’è chiarezza e non c’è certezza sulla titolarità del ministero. Una cosa così non l’avevamo mai vista“.

In precedenza Rosato, in apertura di seduta, aveva comunicato che, con lettera dell’8 marzo scorso, il premier Conte aveva annunciato al presidente della Camera, Roberto Fico, che “il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dal professor Paolo Savona dalla carica di ministro senza portafoglio”.

“Casaleggio in conflitto interessi”, atto costitutivo spiazza eletti

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(Antonio Atte e Ileana Sciarra) “Delusione” e “sorpresa”. Sono i due sentimenti che in queste ore prevalgono in una parte del gruppo parlamentare 5 Stelle dopo la diffusione dell’atto costitutivo dell’associazione M5S del 2017, che vede Luigi Di Maio e Davide Casaleggio nelle vesti di fondatori. L’atto è stato depositato presso il Tribunale di Genova nell’ambito del processo che vede contrapposta l’associazione del 2009 e quella creata a fine 2017, e non figurava nella lista dei documenti pubblicati sul Blog delle Stelle nel post del 30 dicembre 2017, con cui Di Maio annunciò la ’rivoluzione’ pentastellata dando notizia della costituzione del nuovo organismo.

“Senza la causa di Genova non l’avremmo mai saputo. Gutta cavat lapidem”, commenta Lorenzo Borrè, l’avvocato ’spina’ nel fianco del Movimento 5 Stelle. Ed è un pensiero che rimbalza anche all’interno del M5S tra gli eletti, ignari, al momento della candidatura alle ultime politiche, di chi fossero i fondatori dell’associazione 2017. Tranne i pochi menzionati in quello stesso documento, coloro che hanno dovuto accettare per iscritto (tramite mail inviata allo stesso Di Maio) la loro carica: oltre a Beppe Grillo, garante della nuova associazione, Vito Crimi, Roberta Lombardi e Giovanni Cancelleri – in qualità di membri del comitato di garanzia – e i probiviri Nunzia Catalfo, Paola Carinelli e Riccardo Fraccaro.

Nel mirino c’è il ruolo, sempre più determinante, di Di Maio: da un lato capo politico e dall’altro fondatore della ’nuova’ associazione. Ma anche, e soprattutto, la doppia veste di Casaleggio jr, anche lui ’padre’ della neonata associazione nonché presidente di Rousseau, la piattaforma legata a doppio nodo con il M5S anche per questioni economiche. E qualcuno parla senza mezzi termini di ’’conflitto di interessi’’.

“Chi stabilisce la durata del mandato di Di Maio, capo politico del M5S? Lo statuto dell’associazione da lui fondata”, ragiona un parlamentare. Nello statuto infatti si legge che “il capo politico è eletto mediante consultazione in rete secondo le procedure approvate dal comitato di garanzia, e resta in carica per 5 anni. E’ rieleggibile per non più di due mandati consecutivi”.

Altra questione, non di poco conto per gli eletti 5 Stelle che guardano con fumo agli occhi la nuova associazione, la possibilità per lo stesso Di Maio di “modificare e/o integrare” con allegati l’atto costitutivo dell’associazione fondata nel 2017. Nel documento registrato da Valerio Tacchini, il notaio milanese del reality l’’Isola dei famosi’ considerato molto vicino al M5S, a Di Maio viene riconosciuta questa possibilità pur “senza alterare il significato sostanziale” del documento stesso: “ma chi può stabilire che eventuali modifiche siano solo marginali? – ragiona un parlamentare -. Se Di Maio intervenisse cambiando i ’connotati’ del Movimento che facciamo, andiamo da un giudice per fargli chiarire se si tratta di modifiche sostanziali o da niente? E’ tutto surreale. Qui siamo nel M5S chiavi in mano a Di Maio, altro che ’uno vale uno’”.

Piovono critiche anche nei confronti di Casaleggio jr. “Davide – dice Elena Fattori all’Adnkronos – aveva sempre detto di non avere ruoli nel Movimento quando era il socio fondatore di una nuova associazione di cui era stato accuratamente tenuto nascosto l’atto fondativo. Quindi doppia amarezza: di non aver saputo di questo cambiamento e di aver creduto alle parole di Davide Casaleggio”.

Per la senatrice ’ribelle’ si tratta di un “evidente” conflitto di interessi: “Il socio fondatore dell’associazione Movimento 5 Stelle 2017 è anche membro dell’associazione Rousseau che riceve soldi dai parlamentari. Ma il conflitto di interessi non è reato e dubito avremo presto una legge”, rimarca Fattori.

Certo non tutti la pensano allo stesso modo. “Non vedo la notizia – taglia corto piccata la ’pasionaria’ Roberta Lombardi con l’Adnkronos, lei che in quel documento viene menzionata come membro del comitato di garanzia – parliamo di un documento risalente a un anno e mezzo fa, ogni volta che c’è di mezzo il M5S soffiate sul fuoco. Basta”.

La previsione di Silvio

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Sono convinto che questo governo sia destinato a cadere per le sue divisioni interne, ma soprattutto perché sta portando l’Italia alla paralisi, alla recessione, a una crisi di una gravità assoluta”. L’affondo all’esecutivo arriva da Silvio Berlusconi ai microfoni di ’Radionorba’. “Ogni voto dato a Forza Italia – dice il Cavaliere – è un voto che non solo darà un futuro diverso ai cittadini, ma avvicinerà anche la fine di questo governo che è il peggiore della nostra Repubblica“.

Secondo il leader di Forza Italia “esiste nel governo una componente di sinistra, questi 5 stelle, che sono peggio della vecchia sinistra comunista, e loro si definiscono comunisti di strada per distinguersi da quelli che chiamano comunisti da salotto che sono quelli del Partito democratico, ma non hanno la competenza dei quadri del vecchio Partito comunista che uscivano da una scuola politica di prim’ordine e poi molti di loro avevano governato province, comuni e regioni e sapevano cos’era l’amministrazione pubblica”.

Riguardo al Carroccio, “sono convinto che prima o poi gli elettori di centrodestra chiederanno conto anche alla Lega degli errori e dei fallimenti di questo governo, mi auguro davvero che Salvini cambi strada al più presto”. “La Lega – continua il Cav – dovrebbe essere espressione di una visione economica diversa, opposta a quella dei 5 stelle: gli elettori della Lega, che sono anche i nostri elettori, ci avevano votato un anno fa sulla base di un programma che prevedeva quell’equazione dello sviluppo e del benessere che si concentra su meno tasse, meno burocrazia e su più infrastrutture. Questo governo sta facendo esattamente l’opposto, la politica economica è stata appaltata tutta a Di Maio e Toninelli, due persone su cui preferisco non dare giudizi, mi chiedo sino a quando la Lega potrà permettersi di andare avanti in questa coabitazione innaturale”.

BASILICATA – Quanto alle elezioni regionali in Basilicata, Berlusconi le considera “non un test politico nazionale ma un’occasione che i lucani meritano per riappropriarsi del proprio futuro, un futuro per troppo tempo compromesso dall’incapacità, dall’immobilismo e dal fallimento delle giunte di sinistra. Tuttavia non mi sfugge il significato politico di una tornata elettorale che confermerà ancora una volta, ne sono certo, che il centrodestra è la maggioranza naturale degli italiani, come d’altronde è stato dimostrato dal 4 marzo in poi ogni volta che gli italiani si sono recati alle urne: Forza Italia rappresenta i liberali, i cattolici, i moderati, quell’altra Italia, come a me piace definirla, che dalla politica si aspetta serietà, onestà, operatività, competenza e fatti”. E “il generale Bardi, candidato del centrodestra alle elezioni regionali in Basilicata, sarà un simbolo di legalità in una Regione che negli ultimi anni è stata turbata da troppi scandali”.

Per il leader di Forza Italia bisogna “azzerare il cuneo fiscale al Sud coprendolo con il fondo sociale europeo, dimezzando la spesa per le imprese le quali saranno molto invogliate a investire e ad assumere nelle regioni che noi governeremo e potranno permettersi a fronte di un risparmio di lasciare qualche centinaio di euro in più nella busta paga del nuovo assunto”.

EUROPEE – Poi le elezioni europee. “Mi candiderò in tutta Italia con l’esclusione dell’Italia centrale – dice il Cav – perché lì candideremo il nostro Antonio Tajani, che è considerato in Europa il miglior presidente nella storia del Parlamento europeo”. “Mi candido – sottolinea – perché sento ancora dentro di me il senso di responsabilità per cui sono sceso in campo 25 anni fa, sono molto preoccupato per il futuro dell’Italia, dell’Europa e del mondo, sono molto preoccupato del futuro dei miei figli, dei miei nipoti e di tutti i cittadini”. “Mi candiderò al Sud – spiega ancora – anche perché sono convinto che il Sud sia condizionato in misura decisiva da quello che succede in Europa, Europa che oggi non funziona. E’ diventata un’Europa burocratica, ragionieristica, lontana dal progetto dei suoi padri fondatori, assolutamente è un’Europa da cambiare e comunque l’Italia non ha mai neppure saputo sfruttare le opportunità che le sono state offerte da questa Europa così com’è, e questo per responsabilità dei governi nazionali ma anche dei governi regionali della sinistra che per esempio hanno usato molto poco e male i diversi fondi europei a disposizione”.

Dal loft di Veltroni al patto con Silvio, Nazareno addio

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(Giuseppe Maria Greco) – Nazareno addio. Il Pd chiude un’epoca, quella della sede di sant’Andrea delle fratte 16. Ancora un trasloco per i democratici, che dal 2007 a oggi di scatoloni ne hanno dovuti fare parecchi. A cominciare da quelli, anche dolorosi, dei partiti fondatori. Uno su tutti, l’addio dei Ds nel 2000 alla sede storica di Botteghe Oscure per il trasferimento, anche allora per motivi di bilancio, al ’Botteghino’ di via Nazionale.

Sempre sull’onda di un trasloco, il Pd era arrivato al Nazareno, dopo un primo periodo al loft. Per la prima sede del Pd l’allora segretario Walter Veltroni aveva fatto una scelta fortemente simbolica: un open space, pareti di vetro al posto dei tramezzi, spazi comuni. Il tutto a debita distanza dal Palazzo e dai luoghi simbolo del potere: al Circo Massimo. Con la ’chicca’ di essere al fianco della basilica di santa Anastasia, l’unica aperta anche di notte a Roma.

“Un luogo bellissimo”, disse un allora entusiasta Romano Prodi che con l’ala cattolica del nascituro Pd (Beppe Fioroni, Paola Binetti) il giorno dell’inaugurazione (il 19 ottobre del 2007) si raccolse in preghiera nella chiesa famosa, ’en passant’, anche perché vi si praticavano gli esorcismi. Sede dichiaratamente provvisoria (Veltroni spiegò subito che il Pd aveva bisogno di “altri spazi”) il loft durò poco. Ad affossarlo fu anche la simbolica collocazione lontano da Camera e Senato: il primo a farne le spese fu Goffredo Bettini, che già il primo giorno rischiò di ’bucare’ l’inaugurazione arrivando in ritardo per un voto a palazzo Madama.

Così, nel Pd si (ri)cominciò a fare gli scatoloni. Formalmente, l’era del Nazareno viene inaugurata nel 2010, dopo un periodo in cui i dem figuravano nella sede di sant’Andrea delle fratte come ’ospiti’ della Margherita, che nel 2004 aveva preso in affitto dalla società Immibilfin Srl la sede. Come si legge nella relazione dei liquidatori della Margherita, “l’utilizzo di tali spazi da parte del Pd era conseguente alla stipula di un contratto di sub-locazione sottoscritto in data 16 giugno 2010 con Democrazia è Libertà – La Margherita, con durata prevista fino al 30 giugno 2019”. L’annuncio di Zingaretti, quindi, arriva a regolare scadenza.
Spaziosa, prestigiosa, disposta su tre piani con tanto di terrazza panoramica (ma con lentissimi ascensori e priva di scale con accesso diretto ai piani alti), il Nazareno è sempre stato trattato con distacco dai suoi vari inquilini. Già la coabitazione Dl-Pd non è sempre stata facile, come testimonia la vicenda della targa ’Dl Margherita’ sparita dall’ingresso della sede senza preavviso. Poi riapparsa e poi sparita di nuovo. Secondo la leggenda, si consumò una sorta di ’guerra del cacciavite’ tra i tesorieri di allora per svitare a riavvitare la targa.

Già l’allora tesoriere di Pier Luigi Bersani, Antonio Misiani, attentissimo agli equilibri di bilancio, si rese subito conto nel costo non indifferente che aveva la nuova sede. La Margherita e il suo tesoriere, Luigi Lusi, avevano “sub locato” ai dem un contratto stipulato dal 2004 al 2019. Una voce che ancora oggi è iscritta al bilancio del Pd per circa 600mila euro l’anno, un costo enorme nella stagione del 2Xmille, quella senza finanziamento pubblico.

Con la segreteria Bersani si iniziò anche un primo, timido, tentativo di sganciamento dal Nazareno. Per la campagna per le primarie del centrosinistra, l’allora leader fissò il quartiere generale della coalizione ’Italia bene comune’ a via Tomacelli. Ma poco dopo si tornò ancora al Nazareno. Matteo Renzi è stato il segretario che ha mosso critiche anche ’logistiche’ alla sede. Come il fatto che le stanze del segretario fossero collocate al secondo piano, in mezzo a tutte le altre, con poca ’privacy’. Sia come sia, è con Renzi che la ’war room’ del Pd viene trasferita al terzo piano, dietro una porta con apertura a codice.
Però è stato proprio Renzi a dare fama ’politica’ all’allora tutto sommato anonima sede del Pd, quando nel 2014 aprì le porte a Silvio Berlusconi per lo storico incontro sulle riforme registrato come ’patto del Nazareno’. Prima di allora, nessuno aveva mai osato tanto. Solo Dario Franceschini, segretario eletto in Assemblea dopo l’addio di Veltroni, aveva l’abitudine di ricevere Gianni Letta che, di corsa e gentilissimo ma senza mai dire una parola, entrava nella sede del Pd percorrendo i pochi passi che lo separavano dalla sede di Mediaset dall’altra parte di largo del Nazareno.

Il ’count down’ del Nazareno in realtà era iniziato da tempo. Con la sconfitta del 4 marzo le voci dell’addio della sede erano tornate a farsi sentire con più forza. Del resto, per un Pd passato dal 40% delle europee al 18% delle politiche una sede da 600mila euro l’anno non era più sostenibile. Adesso, l’addio ufficiale annunciato da Zingaretti, la ricerca di una nuova ’casa’ e un nuovo trasloco per i democratici.

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12 Marzo 2019