Trump: “Cina e Europa giocano con moneta”
“Cina e Europa stanno giocando a manipolare in maniera massiccia la moneta e pompano denaro nei loro sistemi per competere con gli Stati Uniti. Dovremmo riequilibrare le cose o continueremo ad essere gli scemi che educatamente guardano mentre le altre nazioni continuano a fare i loro giochetti, come accade da anni”. Donald Trump, su Twitter, torna a criticare la condotta di Cina e Europa che penalizzerebbe gli Stati Uniti.
Il presidente, nella consueta raffica mattutina di messaggi, si sofferma anche sulle imminenti celebrazioni per l’Independence Day. “Il nostro Saluto all’America il 4 luglio, al Lincoln Memorial, sarà davvero enorme. Sarà uno spettacolo indimenticabile”, twitta ancora. “Abbiamo la più grande economia del mondo, abbiamo le più grandi forze armate di tutto il mondo. Non male!”.
A chi critica lo spreco di soldi pubblici per l’evento, Trump replica: “Il costo del nostro grande Saluto all’America di domani sarà irrisorio rispetto al suo valore. Abbiamo gli aerei, i piloti, l’aeroporto di Andrews è dietro l’angolo. Ci serve solo il carburante. Abbiamo i carri armati e tutto il resto. I fuochi d’artificio vengono donati da due dei più grandi” produttori.
Putin e la maledizione dei sommergibili
(Marco Liconti) – L’incidente al sommergibile russo AS-12 Losharik ha inevitabilmente riportato alla mente la tragedia del Kursk, che si consumò quasi 19 anni fa nel Mare di Barents, e quella forse meno nota del K-152 Nerpa, del 2008. E ancora una volta tocca a Vladimir Putin assistere a un nuovo fallimento della Marina russa, della quale con ingenti sforzi finanziari sta tentando di ripristinare la perduta ’grandeur’ sovietica. Sulla vicenda del ’Losharik’ e dell’incendio che ha ucciso 14 marinai, è stato imposto il segreto di Stato . Ufficialmente, le autorità non confermano nemmeno il nome dell’unità, rivelato da alcuni media russi.
Sul Kursk e sul Nerpa si sa invece molto, se non quasi tutto. Era certamente un Vladimir Putin diverso, con una presa assai meno salda sul potere russo, quello che nell’agosto del 2000 affrontava la prima, difficilissima prova, della sua presidenza. E non ne uscì bene. La contestazione subita in patria e la riprovazione suscitata all’estero per i ritardi (e le bugie) con la quale venne affrontata l’emergenza del Kursk rischiarono di travolgere la sua presidenza, inaugurata pochi mesi prima.
Le diverse versioni fornite dalle autorità sulle circostanze e i tempi delle due esplosioni che causarono la morte dei 118 membri dell’equipaggio, l’iniziale rifiuto di accettare gli aiuti offerti dall’estero, l’impreparazione con la quale la Marina russa dell’epoca affrontò l’emergenza, costarono al neo presidente una clamorosa contestazione da parte delle famiglie delle vittime.
Le cronache parlano di un durissimo faccia a faccia durato ore, nella base navale di Vidyayevo, tra Putin e centinaia di famigliari dei marinai del Kursk, che chiedevano notizie sui loro cari. Al presidente era già stato contestato il ritardo di giorni con il quale aveva lasciato la residenza estiva di Sochi, per recarsi a Mosca a gestire l’emergenza. “Probabilmente sbagliai”, ammise a denti stretti in un’intervista qualche mese dopo.
Il giornalista Andrey Kolesnikov, presente all’incontro, raccontò successivamente quei momenti in un documentario del 2015 dedicato a Putin. “Sinceramente pensai che lo avrebbero fatto a pezzi. C’era un’atmosfera pesantissima, una cappa di odio, disperazione e dolore. Non avevo mai assistito a nulla di simile in tutta la mia vita. Tutte le domande erano indirizzate a quest’unico uomo”.
Putin sopravvisse a quella tragedia e ai passi falsi compiuti. Otto anni dopo, nel novembre del 2008, l’alternanza al potere con Dmitry Medvedev, imposta dal limite di mandati dettato dalla Costituzione, vide Putin assistere nel ruolo di primo ministro ad un altro grave incidente a un sommergibile nucleare. L’attivazione accidentale del sistema antincendio a bordo del K-152 Nerpa, impegnato in alcuni test nel Mar del Giappone, causò la morte per asfissia di 20 persone e l’intossicazione di altre 41.
A bordo del Nerpa si trovavano numerosi tecnici civili per partecipare ai test. Lo sviluppo del progetto, accantonato dopo il crollo dell’Urss, era stato finanziato dall’India, che in seguito cancellò gli ordinativi, per poi ripristinarli. Toccò a Medvedev in quell’occasione gestire l’emergenza, con Putin sullo sfondo. Un po’ per via del ruolo che esercitava in quel momento, un po’ forse per non essere nuovamente accostato ad un incidente di quel tipo.
Stavolta, con il Losharik, Putin non ha voluto ripetere gli stessi errori fatti 19 anni fa. Immediata riunione di emergenza a Mosca, annullamento di ogni evento in programma, priorità assoluta al recupero dell’unità. Basterà a far dimenticare il Kursk
Raid su centro migranti: “E’ crimine di guerra”
Strage in un centro di detenzione di migranti alla periferia orientale di Tripoli, in Libia. Sono almeno 44 le persone rimaste uccise in un bombardamento aereo: la maggior parte delle vittime sono migranti africani. Secondo quanto diffuso dalla missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), inoltre, sono almeno 130 le persone rimaste ferite in modo grave. E’ la seconda volta che un centro di rifugio viene colpito, fa notare l’Unsmil. L’Alto commissario per i diritti delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha definito il raid un crimine di guerra: “Questo attacco, dipende dalla precise circostanze, equivale ad un crimine di guerra”. Bachelet ha ricordato che “è la seconda volta che questo centro è stato colpito”. “Sono sconvolta per la morte ed il ferimento di decine di migranti e rifugiati nel Centro di detenzione di Tajoura – ha detto in una nota -. Il fatto che le coordinate di questa struttura e che ospitasse civili era stato comunicato alle parti in conflitto indica che questo attacco, dipendendo da precise circostanze, equivale ad un crimine di guerra”.
“Questa è la seconda volta che il centro di detenzione, che ospita circa 600 persone, viene colpito durante queste ostilità. Esorto tutte le parti in conflitto – ha sottolineato l’Alto commissario per i diritti umani – a rispettare i loro obblighi internazionali sulla base del diritto umanitario e di prendere tutte le misure possibili per proteggere i civili e le infrastrutture civili, tra cui scuole, ospedali e centri di detenzione”.
Bachelet, infine, ha ricordato di aver “ripetutamente chiesto la chiusura di tutti i centri di detenzione in Libia, dove lo staff per i diritti umani dell’Onu ha documentato grave sovraffollamento, torture, maltrattamenti, lavori forzati, stupri, malnutrizione e altre gravi violazioni dei diritti umani”. “Rinnovo la mia richiesta per il rilascio dei detenuti e dei rifugiati detenuti con urgenza – ha concluso – e il loro accesso alla protezione umanitaria, a rifugi collettivi o altri posti sicuri, lontano dalle aree che possono essere coinvolte dalle ostilità”.
Il governo di unità nazionale del primo ministro Fayez al Serraj ha intanto accusato le forze Lna del generale Khalifa Haftar del raid aereo su Tajoura. In una dichiarazione ha parlato di attacco “premeditato” e “preciso” e denunciato “il crimine odioso”. L’autoproclamato Esercito nazionale libico del generale ha però negato la responsabilità del bombardamento, riferisce ’al-Jazeera’ dopo l’accusa di al-Serraj.
Intanto l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati, si è detta ’’estremamente preoccupata’’ per il raid ’’e per il numero di rifugiati e migranti uccisi’’. “I civili non devono mai essere un obiettivo” ha scritto l’Agenzia su Twitter. L’Unhcr aveva chiesto che il centro di detenzione di migranti fosse evacuato. ’’Questa orribile tragedia non sarebbe mai dovuta accadere’’, ha dichiarato ad al-Jazeera Charlie Yaxley, portavoce dell’Unhcr per il Mediterraneo e l’Africa. L’Unhcr, ha spiegato da Ginevra, un paio di mesi fa aveva messo in guardia dal rischio che correvano i detenuti del centro di Tajoura, già colpito da un raid aereo che aveva danneggiato la struttura e ferito due persone. “Si tratta di rifugiati, la maggior parte di loro è fuggita dalla guerra e dalle persecuzioni. Sono scappati nei Paesi vicini con la speranza di trovare sicurezza e invece si sono ritrovati in condizioni terribili all’interno di questi centri di detenzione – ha proseguito – Ma ora non hanno nemmeno più garantita la loro sicurezza. Abbiamo bisogno di evacuare le persone da questi centri di detenzione, è una questione urgente’’.
Sul raid è intervenuto anche il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi: “Occorre garantire, immediatamente, misure di seria protezione per i civili e in particolare, trasferire i migranti che si trovano nelle strutture di raccolta in luoghi al sicuro dai combattimenti e sotto la tutela delle Nazioni Unite”. A quanto si apprende da fonti della Farnesina l’Italia, su istruzione del ministro degli Esteri, ha proposto all’Unione Europea un’immediata presa di posizione unitaria dei 28 Stati membri che sostenga l’apertura di un’inchiesta da parte dell’Onu su quanto accaduto e condanni con fermezza il gravissimo e tragico bombardamento.
Kamala Harris ’tallona’ Biden nei sondaggi
Non si ferma l’avanzata, nei sondaggi di Kamala Harris dopo l’exploit della senatrice californiana ai dibattiti democratici della scorsa settimana. Secondo il sondaggio pubblicato dalla Quinnipiac University, infatti ora è seconda con il 20% dei favori, ad appena due punti dal favorito Joe Biden al 22%. Un cambiamento drastico rispetto al sondaggio diffuso sempre dallo stesso istituto nelle scorse settimane, che dava l’ex vice presidente saldamente in testa con il 33% e la senatrice appena al 7%.
Non solo Biden ma anche Bernie Sanders, che nelle scorse settimane era costantemente secondo, registra un netto arretramento nei sondaggi. Forse ancora più preoccupante perché tre diversi poll danno il senatore del Vermont ormai in quarta posizione, dietro non solo ad Harris ma anche ad Elizabeth Warren, l’altra senatrice dem che è stata considerata vincitrice delle serate dei dibatti di Miami.
E dalla Warren arriva per l’anziano senatore, che è stato nel 2016 l’artefice dello sdoganamento di posizioni ’socialiste’ che ora sono rivendicate da un’ala crescita del partito, la minaccia più insidiosa, soprattutto perché l’ex consigliera economica di Barack Obama gli contende il ruolo di leader dall’ala liberal dei dem,.
“Nel 2016 Bernie ha tratto vantaggio dall’essere l’unica alternativa alla candidata dell’establishment – spiega Jon Reinish, stratega democratico, ricordando come 3 anni fa Sanders fino all’ultimo fu un avversario insidioso per Hillary Clinton – nel 2020 l’intero mondo politico è cambiato, tranne lui. Il suo più grande problema è che ora appare come un candidato del passato”.