Mi auto-scatto dunque esisto. Nell’epoca della comunicazione globale per testimoniare la propria presenza basta un click ed è subito “selfie”.La fenomenologia legata alla propria immagine web-trasmessa è stata certificata e premiata nientepopodimeno che dal prestigioso Oxford Dictionaries che ha nominato, appunto, “selfie” come parola dell’anno, essendo cresciuta di una popolarità addirittura del 17mila%. Cosa vuol significare questo neologismo derivante dalla onnipresenza tecnologica nelle nostre vite? È l’auto-scatto che gente famosa e meno famosa punta su di sé per poi proporlo al popolo del web che, come un giudice supremo e inappellabile, ne certificherà il successo o meno attraverso i “mi piace” disponibili sui social. L’etimo sarebbe australiano e risalirebbe a un post in un forum online nel 2002 in cui l’autore si scusa per avere fatto riferimento ad un evento personale, appunto “selfie”. La popolarità e il successo della parola è però arrivato tardi, quasi dovesse subire un periodo di incubazione.
Con la diffusione su larga scala dei social network e degli smartphone, l’auto-scatto fotografico è divenuto fenomeno di massa e, come spesso succede per le nuove pratiche di costume, ha avuto bisogno di un nome. Celebrities e non hanno iniziato questa pratica trasmessa su tutte le piattaforme: da Facebook a Twitter passando soprattutto per Instagram, social quest’ultimo che invita esplicitamente sin dalla sua homepage a immortalare e condividere i momenti più belli ritratti attraverso foto e video. Dalle star del pop a quelle del calcio, dai presentatori del mondo dello spettacolo ai personaggi della politica, nessuno si è risparmiato nella pratica virale dell’auto-scatto, neanche il Papa, coinvolto assieme ad un gruppo di studenti a condividere la moda del selfie. Si tratta molto probabilmente di una nuova forma culturale che tende a una normalizzazione delle icone dello spettacolo a partire dal basso. La celebrità ieri irraggiungibile dello star system cinematografico, immortale e perfetta nella celluloide, oggi è disponibile a piene mani e in più copie diffuse in un contesto globale e immediato per la gioia dei fan. Niente più luci, niente più scenografie e trucco.I divi si offrono nella loro “spontanea” intimità e nella bassa risoluzione e cattiva qualità di un’immagine normale, senza filtro, attraverso il grandangolo ottenuto dalla distanza permessa (e studiata appositamente dalla case produttrici di smartphone) attraverso l’allungamento del proprio braccio.
Il trionfo del retroscena svelato porta al ribaltamento dei ruoli di un tempo: non più il pubblico che imita nei comportamenti e nella way of life le star, ma le star che imitano il proprio pubblico. Ma questa nuova tendenza non è una novità nel panorama mediatico. Il suo precedente storico tardo ottocentesco si chiama autoritratto, pittorico o fotografico. Del resto si sa, la vanità non conosce il passare del tempo. Nuova pratica narcisistica o solo fenomeno di costume che, come tale, tenderà ad affievolirsi e piano piano a scomparire appena se ne presenterà un altro? Per ora sappiamo che solo che tutto dipende dall’uso che si vuole fare della propria immagine “auto scattata”. Il selfie è direttamente collegato alla promozione e diffusione della propria immagine a uso e consumo del popolo del web e non è certamente finalizzato ad attestare la bellezza del soggetto che si auto immortala. Quindi attenzione agli autoscatti, facciamone un buon uso, evitando di apparire troppo impostati e seriosi.
In questo senso il sito del quotidiano Il Secolo XIX detta un decalogo su come ottenere il “selfie” perfetto: essere il più naturali possibile, fare attenzione allo sfondo (qualcuno potrebbe rubarvi la scena), no a pose provocanti (per le donne) che potrebbero ritorcersi contro. Bisogna puntarsi addosso lo smartphone, scattarsi una foto, pubblicarla sul web ed attendere i “mi piace” e i commenti del pubblico. Sarà quest’ultimo a decretare il nostro successo tra i nostri amici e fan.