Mercoledì scorso, la Camera ha dato il via libera alla riforma del Codice Antimafia (281 voti a favore, 66 contrari e due astenuti) che ridisegna le misure di prevenzione e le regole sulle confische di beni. E così il rischio che beni confiscati alla criminalità organizzata possano tornare nella disponibilità delle cosche attraverso “prestanome” viene cancellato. La riforma si compone di 30 articoli ed entra, tra questi, la “norma Saguto”, dal nome dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, sospesa dalle funzioni e indagata per corruzione con l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e il marito di lei, Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni.
Un emendamento quest’ultimo che impedisce la nomina ad amministratore giudiziario di beni confiscati non solo ai parenti ma anche ai “conviventi e commensali abituali” del magistrato che conferisce l’incarico. L’emendamento del Governo, riferito all’articolo 13, relativo all’amministrazione dei beni sequestrati, prevede che “non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario nè di coadiutore o diretto o collaboratore dell’amministratore giudiziario il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico”.
Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, afferma che “il provvedimento raccoglie il grande lavoro fatto dalla Commissione Antimafia che fin dall’avvio della legislatura aveva individuato questo settore come una priorità.” “Era necessaria una revisione profonda del Codice antimafia- prosegue – per superare in primo luogo un eccesso di logica del diritto fallimentare che ha condizionato in questi anni l’effettivo recupero di troppe aziende, immobili, terreni, attività commerciali di mafiosi o loro prestanome”.
Il provvedimento allarga inoltre la cerchia dei possibili destinatari di misure di prevenzione. Oltre a chi è indiziato per aver aiutato latitanti di associazioni a delinquere, la riforma inserisce anche chi commette reati contro la pubblica amministrazione, come peculato, corruzione – anche in atti giudiziari – e concussione. Nel testo si propone anche di introdurre misure di contrasto al fenomeno del caporalato: confisca obbligatoria “delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. La confisca – che sarà operativa dopo la condanna definitiva – potrà riguardare anche il prezzo o il profitto del reato o anche beni diversi del colpevole per un valore equivalente. Se il reato è commesso da un dipendente nell’interesse dell’impresa, ne risponderà anche la società, con una sanzione pecuniaria. L’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali sarà resa più veloce e tempestiva attraverso la previsione di una “trattazione prioritaria” dei procedimenti. Verranno infatti istituite sezioni o collegi specializzati nei tribunali del capoluogo dove ha sede la corte d’Appello chiamati a trattare in via esclusiva i procedimenti previsti dal Codice antimafia.
Una riforma che – si spera – rende più organica ed efficace la lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione e all’odioso fenomeno del caporalato e che si muove su un doppio binario: da una parte con misure di contrasto sistematico alle organizzazioni criminaliper colpirle dritte al cuore, cioè nelle imprese illecite; dall’altra con misure economiche di sostegno alle imprese stesse affinché continuino la propria attività anche dopo la confisca o il sequestro. E si pone inoltre l’obiettivo di velocizzare e rendere più efficaci le misure di prevenzione patrimoniale come sequestro, controllo giudiziario delle aziende o confisca, e di rendere più trasparente la scelta degli amministratori giudiziari.