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ARMI O SANITÀ?

Il focus della nuova inchiesta dell’Unità Investigativa di Greenpeace gira introno a questo interrogativo: “Per metterci “al sicuro” ha più senso spendere per l’acquisto di un carro armato o per decine di migliaia di tamponi?”, domanda la portavoce del progetto “Restart”, Chiara Campione. “Se gli ultimi mesi ci hanno insegnato qualcosa – continua la Responsabile Unità Corporate and Consumers di Greenpeace Italia – è che la sicurezza non si raggiunge con la potenza militare. La pandemia ci ha mostrato come non basti investire miliardi di fondi pubblici nella spesa militare per assicurarsi un futuro senza minacce globali. Il primo passo è quello di scardinare l’idea storicamente ancorata nella testa, che fa pensare che i pericoli esterni vadano affrontati con l’uso delle armi: tuttavia adesso più di prima, è il momento giusto per rendersi conto che le armi non sono il giusto mezzo per fronteggiare una minaccia. Per questo motivo, il Covid-19 ha reso evidente che la nostra incolumità e la nostra sicurezza non viene garantita dagli armamenti, ma dal rafforzamento del sistema sanitario e dei servizi pubblici, dal welfare, dall’istruzione e dalla salvaguardia dell’ambiente.

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In questi mesi abbiamo visto come i sistemi sanitari della maggior parte dei paesi siano collassati, e come il personale che ha lavorato in prima linea per salvare la vita a moltissime persone sia stato tremendamente messo sotto pressione, a causa di questo limite. Mentre continuiamo a essere in preda al panico per la mancanza di mascherine, posti in terapia intensiva, sistemi di ventilazione polmonare, l’industria bellica continua ad essere finanziata dai Governi perché percepita come necessaria per la sicurezza del Paese. Ecco le cifre che mostrano come sia necessaria un’inversione di rotta: “Tutto questo a fronte di un taglio alla sanità pubblica, tra il 2010 e il 2019, di 37 miliardi di euro. I dati dimostrano inoltre come la spesa militare sia del tutto improduttiva: in un momento in cui l’Italia ha bisogno di una grande spinta economica per ripartire, questo è un settore che non frutta né soldi né lavoro. Dei 14 miliardi di fatturato dichiarati nel 2019 da Leonardo S.p.A., azienda italiana che produce armi per conto dell’Italia, solo 25 milioni sono entrati nelle casse dello Stato, che pure ne è l’azionista di maggioranza. Il resto finisce all’estero”, dichiara Greenpeace.

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A quanto pare anche i numeri parlano chiaro: in seguito ad un cambio di rotta ci sarebbero moltissimi risvolti positivi, come sostenuto anche dalla Global Commission on Adaptation (GCA), creata nel 2018 dall’ex segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon: “Al fine di prepararsi in modo proattivo, con urgenza, determinazione e lungimiranza agli effetti dirompenti del cambiamento climatico, se i 1.800 miliardi di dollari della spesa militare globale del 2018 venissero investiti in cinque settori chiave per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici, in dieci anni si genererebbe un ritorno economico netto di 7.100 miliardi”. Con la speranza che si arrivi ad una seria decisione da parte del Governo Italiano per ripartire da zero, ripensando in primo luogo alla spesa pubblica per il vero benessere del Paese e di tutte e tutti, concludo con le parole di Chiara Campione: “La ripartenza dopo il Covid può essere un’occasione storica. Il Governo italiano si trova di fronte a un bivio: ripristinare il vecchio sistema economico fondato su attività inquinanti e distruttive o ripartire facendo tutte quelle scelte per consegnare alle future generazioni un Paese più sicuro, verde e pacifico. Riteniamo queste ultime non solo necessarie ma impossibili da rimandare”.

(Foto dal sito di Greenpeace – si ringrazia)

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Data:

1 Novembre 2020