Un nuovo test per prevedere l’insorgenza dell’Alzheimer con largo anticipo

Nuove speranze per la prevenzione

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I ricercatori statunitensi dell’università di Saint Louis di Washington hanno trovato un nuovo modo per identificare le prime minacce di Alzheimer con largo anticipo, quasi dieci anni prima che si manifesti nel paziente. Si tratterebbe di un’analisi del sangue volta ad individuare la proteina beta-amiloide, che segnala la presenza della suddetta malattia nei pazienti.

Questo test si serve di una spettroscopia che permette di individuare le quantità di beta-amiloide, la quale, come sostenuto già da anni, aggregandosi darebbe vita a placche cerebrali, determinando così l’insorgenza dell’Alzheimer.

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Alla sperimentazione si sono sottoposte più di 140 persone con un’età prossima ai 50 anni, che non hanno contratto alcuna malattia neurologica.

Tutti i soggetti esaminati dapprima si sono sottoposti alla PET (tomografia a emissione di positroni) - il metodo diagnostico più utilizzato per individuare in prima battuta i segni cerebrali dell’Alzheimer - e poi ad alcuni test di memoria.

Ricordiamo che la PET prevede la somministrazione endovenosa di un composto radioattivamente tracciato, contenente diverse sostanze, tra cui il glucosio. Il referto scaturisce proprio dalla distribuzione del radiotracciante nelle differenti strutture cerebrali: l’accumulo di glucosio in corrispondenza di determinate aree segnala l’elevata attività metabolica delle relative cellule, che si verifica in presenza di disfunzioni e lesioni.

Dopo aver raccolto i campioni di sangue dei soggetti sperimentali, i fautori del nuovo test hanno accertato che è possibile prevedere con quasi dieci anni di anticipo quali individui saranno più vulnerabili alla comparsa di placche cerebrali senili.

Inoltre il test ha preso in esame anche altri fattori, tra cui l’età e i geni che favoriscono l’insorgenza dell’Alzheimer, come l’Apo-E4.

Nonostante l’azione preventiva resa possibile da questo test, non tutti gli studiosi della patologia degenerativa sono d’accordo sul fatto che esso possa essere davvero efficace come sembra, anche perché non è ancora del tutto chiaro se alla base della formazione della malattia vi sia davvero la proteina beta-amiloide. Tra l’altro, il trattamento farmacologico volto a debellare la proteina in questione sembra non aver fornito i risultati sperati.

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La sperimentazione del nuovo test ha posto, infine, un quesito etico: a cosa serve diagnosticare con largo anticipo una malattia contro cui non esiste cura?

D’altro canto, anche gli stessi ricercatori che lo hanno messo a punto hanno dichiarato che per ora il nuovo test è solo allo stato embrionale, ma che sono molte le potenzialità future, soprattutto per testare l’efficacia di alcuni farmaci su pazienti in cui l’Alzheimer è solo al primo stadio.

Infatti, fino ad oggi la maggior parte delle sperimentazioni sono state condotte su pazienti in cui l’Alzheimer aveva già raggiunto uno stadio troppo avanzato per programmarne prevenzione e cure. Bisogna sottolineare anche che molti esami clinici, tra cui la stessa PET, sono molto costosi, dunque i ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di mettere a punto tecniche più economiche ed efficaci nella prevenzione dell’Alzheimer.

Francesco Ambrosio

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