Spigola alla dama

Il nome alla dama deriva dal tipo di preparazione, che dava alla pietanza un aspetto ed un sapore molto delicato e molto fine.
La spigola era considerato pesce particolarmente pregiato, sempre presente nei pranzi di corte. In genere si preparava lessa, condita con una salsa a base di vino, oppure cucinata nel brodo di pollo e condita con salsa di cappone.
Nei pranzi più importanti era servita farcita con carne di vitella, tartufi e spezie ed era ricoperta con caviale o salsa di aragosta.
Alcune tecniche di cucina del periodo borbonico sono in uso ancora oggi; altre invece non hanno riscontrato il gusto delle generazioni successive e sono ricordate solo come testimonianza della cultura culinaria del tempo. Ne ricordiamo alcune:
- Salsa alla persiana: Si amalgamavano gialli di uova con poco latte e qual-che goccia di rosolio di caffè, formando una salsa che veniva addensata a fuoco lento.
- Salsa Roberta: Si tritavano cipolle e capperi, si univano a burro, corian-dolo ed altre spezie e si faceva bollire il tutto nel vino moscato.
- Cacciagione al salpicon: i volatili venivano farciti con un trito di carne di vitella, di carciofi, funghi, prosciutto, cipollette e successivamente fatti bollire innaffiandoli spesso con vino bianco.
- Triglie alla delfina: erano cucinate al forno ricoperte da una salsa di aglio, prezzemolo, alici sotto sale, pangrattato e succo di limone.
- Minestra alla bisca: minestra di carne di volatili, cucinati in un culì di gamberi con l’aggiunta di vino bianco e panna fresca.
Lavate e pulite la spigola. Preparate un trito con le cipollette il sedano ed il prezzemolo ed unite olio, sale e pepe. Pulite le piante di scarola, legatele, lessatele fino a metà cottura e dividetele in due parti per la lunghezza.
Disponete la spigola in una teglia, versatevi sopra il trito preparato in prece-denza, il vino bianco, un bicchiere d’acqua, un mazzetto di odori ed aggiu-state di sale. Sistemate la scarola ai lati della spigola, coprite la teglia con un coperchio e fate cucinare a fuoco lento.
A cottura avvenuta, togliete il mazzetto di odori e servite il pesce in un piatto con intorno la scarola, bagnandolo con qualche goccia di succo di limone.
Un po’ di storia…
L’ORGANIZZAZIONE DELLA REAL CUCINA DI CORTE
I reali Offici di Bocca1 costituivano la struttura esecutiva di tutte le attività inerenti la reale cucina del palazzo. Rappresentavano il nucleo principale intorno a cui gravitavano gli altri offici, i cosiddetti: real riposto, real rama-glietto, real salseria, real forno, real cantina, real cereria. Ognuno di questi comparti era guidato da un responsabile, chiamato capo, che disponeva di una relativa autonomia concernente le spese del proprio officio.
La Real Cucina rappresentava il fulcro dell’intera struttura; alla comples-sità della sua funzione corrispondevano ampi locali ed attrezzature ubicati strategicamente ed in posizione favorevole.
Nel reale palazzo di Napoli, la cucina principale (esistevano altre minori: quella del Duca di Calabria, il futuro Francesco I e quella della Regina) era ubicata nei locali contigui che delimitavano lo scalone di marmo. I locali erano diversi e divisi per funzioni: oltre a quelli destinati alla vera e proprio lavorazione e cottura dei cibi, esistevano quelli destinati agli spogliatoi, al riposo, alle scritture, etc. Le pareti erano variamente attrezzate con piani di cottura, credenze, rastrelliere per gli utensili (quelli in ferro e quelli in rame), mentre al cen-tro erano sistemati tavoli con il piano di marmo; uno di questi era destinato alla preparazione della mensa del Re.
Gli altri offici dipendenti dalla real cucina erano: il real riposto, una sorta di credenza destinata alla preparazione delle colazioni, di gelati, di rinfre-schi ed al deposito della neve; il real ramaglietto, che svolgeva la funzione di officina per la riparazione e stagnatura delle attrezzature in rame, la real salseria, destinata alla conservazione dei vari servizi in porcellana, dei vetri, degli argenti, e della biancheria, dotato di apposite vasche per la loro puli-zia;il real forno, per la preparazione delle varie qualità del pane e delle pizze, dei biscotti e dei dolci; la real cantina per la conservazione dei vini ed infine la real cereria, nella quale venivano custoditi i combustibili per l’illumina-zione, riscaldamento e materiale per la pulizia.
Le attività dei comparti erano sottoposte alla sorveglianza del controloro, che, a sua volta, aveva quale referente il Maggiordomo Maggiore, deposita-rio dei regolamenti e responsabile della loro applicazione. Per quanto con-cerne la compilazione dei menù quotidiani della famiglia reale, era lo stesso Maggiordomo Maggiore a dare le relative disposizioni al controloro.
L’organizzazione interna dei vari offici prevedeva una gerarchia composta di ufficiali, aiuti, apprendisti, mozzi, facchini, scrivani, la cui composizione variava in funzione dell’importanza dell’officio stesso.
All’interno della Maggiordomia Maggiore, svolgevano compiti ausiliari il “maggiordomo della Regina” e quelli cosiddetti “di settimana” che, a rota-zione, facevano da corollario al sovrano in rappresentanza della nobiltà fe-dele alla corona. La loro era tra le nomine più ambite perché assistevano il sovrano nelle cerimonie pubbliche in vita ed in morte. Tuttavia l’autentico potere era delegato nelle mani del Maggiordomo Maggiore, vero alter ego del sovrano e suo consigliere nelle pratiche riservate di palazzo. Il suo pa-rere era determinante nell’istruttoria che seguiva la supplica per le ambite iscrizioni negli esclusivi elenchi del Baciamano e degli inviti alle feste e gale di corte.
Oltre ai compiti di rappresentanza, il M. M. era designato a quelli non meno essenziali riguardanti la programmazione economica delle entrate e uscite di Casa Reale e della gestione degli Offici di Bocca […].
Il suo compenso, naturalmente, era il più elevato in assoluto nella gerarchia degli iscritti nel registro delle spese per il personale della Casa. Il principe di Cassaro, Maggiordomo Maggiore di Ferdinando I negli anni della restaura-zione, percepiva 500 ducati mensili, ed altri 400 per le tavole che era “obbli-gato” a tenere; nessun altro funzionario poteva aspirare a tanto. Da: “La tavola del re” di D’Arbitrio - Ziviello.
Per avere qualche confronto con altri dignitari di alto rango, si può fare rife-rimento al barone don Carlo Falco, a quel tempo capo della real tappezzeria, che di ducati ne percepiva 150; don Antonio de Simone, apprezzato archi-tetto del real palazzo di Napoli e dei Reali Siti di Capodimonte, Caserta, Carditello e S. Leucio, ne riscuoteva 150.
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