LA TIELLA DI GAETA

La tiella è una particolare pizza ripiena nata per permettere di avere a disposizione un piatto nutritivamente completo che potesse conservarsi per almeno due o tre giorni. Ha origini antiche, era sicuramente conosciuta ai tempi del Regno Borbonico e probabilmente anche prima. Prende il nome dalla teglia circolare, rigorosamente di rame, in cui viene preparata e cucinata.
I ripieni delle tielle tradizionali sono: polpo, calamaretti, scarola, scarola e baccalà, cipolle, alici, sarde, spinaci, uova e formaggio fresco, cozze, peperoni, cavolfiore, lumache. Ultimamente hanno avuto notevole gradimento anche tielle dal ripieno non tradizionale come quella di broccoletti e salsiccia, di parmigiana, di cozze e zucchine, di melanzane e provola.
Con la pasta che avanza si possono preparare i caniscioni, dischi di pasta del diametro di una ventina di centimetri, ripieni con formaggio e uova, con polpo aglio e pomodori oppure più spesso con lo stesso ripieno utilizzato per la tiella. Chiusi a metà si cucinano preferibilmente fritti quelli di verdura ed al forno quelli di pesce.
Pulite e lavate bene il polpo, bollitelo e tagliatelo a pezzetti. Preparate il ripieno amalgamando il polpo con le olive denocciolate, i pomodori a pezzetti, l’aglio, l’olio, il prezzemolo, il sale ed il peperoncino. Impastate la farina con l’acqua, olio, sale e lievito di birra e fatela lievitare per circa un’ora avvolta in una tovaglia.
Dividete l’impasto in due parti e tirate con un mattarello due sfoglie sottili, di diametro superiore a quello della teglia circolare in cui verrà preparatala tiella. Stendete una sfoglia sul fondo della teglia e ponetevi sopra il ripieno. Coprite quindi con la seconda sfoglia, chiudendo lungo la circonferenza superiore della teglia ed eliminando il superfluo. Create con le dita delle rientranze di abbellimento sul bordo, dando ad esso la caratteristica forma sinusoidale e bucherellate con una forchetta la sfoglia superiore (per non far gonfiare la tiella durante la cottura).
Versate un leggero filo di olio e mettete in forno a 240° per circa mezz’ora. E’ possibile mettere un pizzico di zucchero nell’impasto, per far sì che la pasta venga dorata in modo uniforme.
Dal libro: “Gaeta – guida turistica” di Pasquale Di Ciaccio.
Ai gaetani la tiella evoca remote associazioni, magiche lontananze, dimenticate atmosfere familiari, golose impazienze infantili della settimana di Pasqua, allorchè i vichi del borgo erano ebbri del suo profumo. Più che una delizia del palato, più che un ornamento della mensa, ha il valore di un fatto dello spirito, di una istituzione sociale.
La si mangia a quarti senza aiuto delle posate. Non c’è gusto se non la si prende tra le dita. La prima verifica della riuscita si effettua sul requisito della compattezza. In un esemplare che si rispetti il lembo inferiore non deve essere gommoso da appiccicarsi ai denti o al palato, né spenzolare tra le dita come una lingua di un cane affannato, facendo snocciolare frammenti di ripieno. I nostri avi la preferivano condita abbondantemente. L’olio, dicevano, deve poter scorrere sulle avanbraccia. Difatti si rimboccavano le maniche prima di mettersi a tavola. Oggi che la fragilità del nostro apparato digerente impone problemi di linea e di dieta, il ricorso all’olio ed alle spezie si è fatto più moderato, senza che per altro ne abbiano sofferto il sapore e l’aroma.
La prodigiosa adattabilità ai mezzi che di volta in volta ci offre il progresso, ha consentito alla tiella di conservare le sue essenziali qualità originarie. La versione odierna è da considerare tutt’altro che definitiva. Voltate le spalle alla fiamma di frasche, la tiella ha recentemente imboccato con disinvoltura e senza rimpianti i lucidi sportelli del forno elettrico, uscendone più delicata, spigliata ed elegante, igienicamente monda di bruciacchiature e di residui fuliginosi.
Oggi si può parlare di rusticità soltanto come un dato di origine, di una suggestione, di un ricordo. Figlia della miseria, dell’ignoranza e dell’arretratezza, pur senza mai tradire le sue schiette inflessioni popolane, ha saputo faticosamente elevarsi a espressione di benessere e di cultura di tutta una comunità, di volta in volta registrandone simbolicamente le travagliate testimonianze di un millennio di storia.
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