LA CEDU CONTRO LE INDAGINI FARLOCCHE
Violato diritto alla vita se impuniti gli assassini di Stato

Sembra proprio che non ci sia bisogno di affacciarci al di là dell’angolo di casa propria per scovare abusi di potere nelle infinite declinazioni in cui si può presentare. E non ci sono solo governi apertamente conniventi con i “metodi” usati condurre indagini che non portano a scoprire nulla di significativo, come nel caso del giovane Giulio Regeni, colpevole solo di avere il cervello pensante che mancava ai suoi aguzzini, perché il meccanismo che fa scattare la difesa dei carnefici è di un intero sistema che si allarma quando l’abuso rischia d’essere scoperto. Depistaggi iniziali, singolari dimenticanze, tempi infiniti. Le azioni e le omissioni per giungere a un nulla di fatto a carico dei colpevoli che il sistema vuol coprire sono infinite e rodate, probabilmente perché gli abusi fanno parte della prassi di molti e, se scoperta, farebbe cadere troppe di quelle teste che invece vogliono restare proprio lì dove sono sempre state. E così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con l’occhio fino di chi conosce i suoi polli e forte di regole codificate invero semplici ed essenziali, non intende cadere nelle trappole lasciate sparse da inquirenti poco zelanti (diciamo così) e guarda al sodo del risultato finale per sancire un principio che non lascia scampo. Quale? Il caso che ha portato al deposito del provvedimento datato 19 novembre 2020, “Shavadze / Georgia”, riguarda un militare ritenuto un traditore dalla polizia Georgiana durante il conflitto del 2008 con la Russia, durato qualche giorno. Il militare, ufficialmente arrestato col pretesto di essere invischiato in traffici di stupefacenti, dopo l’arresto e durante il trasferimento nella capitale, tentava la fuga ma veniva ucciso dai poliziotti. Sul corpo si trovavano gli immancabili segni di tortura, tra cui profonde ferite, dita rotte e tutto il triste elenco degli inumani trattamenti che si possono immaginare ma che forse anche il peggior mostro alieno avrebbe difficoltà ad infliggere ad un essere umano. Le indagini per arrivare a individuare i colpevoli, guarda caso, non avevano portato a nulla. I fatti però erano che il prigioniero, in “custodia” dei poliziotti, era stato picchiato, torturato ed era stato ucciso durante la fuga. Con questi elementi oggettivi la Corte europea ha ritenuto che la indagini georgiane fossero state condotte inevitabilmente in modo insufficiente e tali da aver così violato il diritto alla vita, sancito dall’art. 2 della Convenzione. Insomma, il principio, non detto ma giusto, è che non sei credibile se dici che non sei riuscito a scovare assassini liberi di fare ciò che vogliono, specie se in divisa, sicché lo Stato che ha consentito che ciò accadesse è responsabile. Non sappiamo se, al di là di un probabile risarcimento a favore dei familiari della vittima, si apra una fase di verosimile riapertura delle indagini in quel Paese per individuare gli impuniti torturatori assassini e chi li ha coperti con indagini farlocche, perché non è compito della Corte Europea arrivare a tanto. Resta quindi forse la necessità che di Europa ce ne voglia di più, e non certo di meno.
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