RACCONTO
Nel silenzio parlano le emozioni

Non è facile raccontare dopo aver vissuto. Non è facile, non è scontato, non è immediato il proprio racconto. Il tempo del racconto è frutto dell’ascolto, del riconoscimento, della comprensione. Si può vivere e non comprendere; vedere, ma non riconoscere; parlare e non comunicare; avvicinare e non accogliere dentro.
C’è bisogno di silenzio per raccontare, per dire ciò che è nato nel segreto di emozioni o di sensazioni che, per prime, sono state capaci di scrivere l’alfabeto della comprensione.
Occorre lasciare che le acque di una timida custodia si muovano con libertà e spazio, fino a bagnare, solo un po’ alla volta, ogni angolo di vita, di pensiero, di desiderio, con quella oscillazione instancabile, continua, fedele, propria delle grandi acque, esclusiva del grande mare.
Quell’ondeggiare, appunto, consente di portare dentro ciò che stava fuori, di chiarire ciò che appariva oscuro, di accarezzare ciò che appariva inavvicinabile, di ammorbidire ciò che si mostrava arido.
Diamo uno sguardo al nostro passato, a quando eravamo giovani. La vita allegra ci sorrideva. Una vita intessuta di passi di danza, di brividi cutanei, di effusioni sentimentali. Una dolce vita insomma.
Eppure… Eppure non ci siamo mai abbandonati completamente, fino in fondo, a quella gioia, non abbiamo riconosciuto e afferrato la bellezza acerba di quei giorni: una delusione, un capriccio, un mancato appuntamento, un nonnulla è bastato a far crollare l’incanto dei nostri sogni.
Le relazioni sono tutto nella vita: sono quelle che ti fanno star bene o male e che ti motivano nelle cose che fai; sono quel turbine di schiaffi e di carezze che ti spingeranno a chiuderti in difesa o ad aprirti con coraggio. E non c’è dubbio che, anche se non si ha paura degli scontri, tutti cerchiamo gente che ci vuole bene.
Quando… non ero “vecchio”, ho avuto amici molto diversi tra loro. C’è stata la stagione delle grandi avventure e dei tiri da matto, e quella del grande impegno e dei valori.
Gli amici per le fughe in vespino “ai Castelli” e quelli per organizzare le partite di calcio o pallavolo a scuola, quelli per studiare gli interi pomeriggi a casa, e quelli per ascoltare musica.
Ma se mi chiedete quali sono stati gli amici più importanti, quelli che mi hanno portato ad essere ciò che sono, non saprei rispondere.
Indubbiamente il periodo degli ideali e delle passioni liceali è stato bello tosto, però, alla fine, tre erano le cose che contavano più di altre: sentirmi accettato, accolto e coinvolto. Per fare cosa, forse, era poco importante in quei momenti; “essere amici”, questo mi prendeva.
Altro discorso è stato il rapporto con gli adulti. Non saprei dirvi che pensavo esattamente di loro. Di fondo li dividevo in due grandi gruppi: i simpatici e…quegli altri, con il costante pericolo per i primi di finire nel gruppo dei secondi. Rarissimo il caso contrario. Il fatto che loro fossero quelli che comandavano e giudicavano lo sentivo più come una seccatura. Quello che mi pesava era come ne uscivo dal rapporto con loro. Se mi lasciava triste ed insicuro li odiavo, se mi rendeva carico e felice, allora non era più neanche una seccatura.
La sobrietà, anche nelle relazioni, resta ancora oggi una buona regola di vita, una disciplina che aiuta a vivere con libertà la drammatica attualità, a misurare con realismo le esigenze effettive, ad affrontare le ristrettezze senza cedere alla depressione.
Di diverso, rispetto al passato – e anche a tempi più recenti – c’è però il venir meno della fiducia nel futuro. Negli anni della ricostruzione, ma anche nei decenni più recenti, si riteneva che il futuro sarebbe stato comunque migliore.
Ora questa fiducia è venuta meno in moltissime persone, e ciò influenza negativamente anche la valutazione del presente, per cui l’area del disagio è più ampia di quanto i dati obiettivi – peraltro preoccupanti – non documentino.
Se si crede di andare verso il peggio, già l’oggi è incrinato.
A proposito di incrinature, non so se sia vero, ma si dice che Denver, in Colorado, si stia avvicinando un po’ alla volta a San Francisco in California: un centimetro ogni cinque anni.
A volte avvengono violenti terremoti perché si crei uno spostamento geografico, ma più spesso pare che i cambiamenti avvengano adagio.
E’ vero, è in questo modo che la realtà cambia: non certo all’improvviso, ma passo dopo passo, non con un semplice battito di mani, ma attraverso le scelte che facciamo.
Spesso crediamo che siano le imprese rivoluzionarie a creare i grandi sconvolgimenti, invece altrettanto spesso il grande gesto, l’atto coraggioso non si improvvisa, ma è coltivato lentamente da una serie di piccole decisioni quotidiane che plasmano i nostri giorni…
Ognuno di noi sa e può trovare quelle mille piccole e impercettibili cose che non solo costruiscono le sue giornate e possono dare il tono della gioia o della tristezza, della passione o dell’indifferenza ma, soprattutto, inducono a valutare con obiettività i problemi che ci affliggono.
E’ importante che facciamo sempre quello che riteniamo giusto, costantemente, perché solo così cambieremo il mondo, magari solo un centimetro ogni cinque anni, ma inesorabilmente.
Prima di tutto cambieremo noi stessi, la nostra vita, il nostro spirito.
E’ vero infatti che spesso non possiamo avere il controllo su tutto ciò che ci capita, ma possiamo sempre decidere “di non farci tenere al guinzaglio dalle emozioni più negative”; possiamo sempre decidere che gesto compiere, che pensiero avere, cosa leggere, cosa guardare, cosa e, soprattutto, chi ascoltare.
Ricordiamo sempre a noi stessi: “Anche nelle piccole cose fa quello che è giusto, perché l’anima raramente si vende in un’unica grande asta, piuttosto si smercia in migliaia di piccoli affari, un po’ alla volta…”
E così, fermarsi, di tanto in tanto, alla sera di ogni giornata o al sorgere della luce fra gli scuri di una finestra, permette non solo di riconoscere quanto la vita offre, ma di ritrovare quel filo sottile che accompagna e lega insieme tutto, ogni singolo istante, qualsiasi accadimento e provarne gioia. Una gioia sorniona che sa dare senso, piacere, stupore.
(foto interne dell’autore)
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