SEMPLICEMENTE GENTILI
Luogo: Stazione Termini di Roma, ore 7,45

Orario di arrivi frenetici. Un flusso continuo di persone si avvia verso i luoghi di lavoro o di studio.
Vedo un uomo fermarsi, tirare su da terra una bicicletta incatenata a un pilone e caduta probabilmente per una spinta. Riaccostatala con attenzione al palo, quel signore riprende la sua strada. Tutto qua. Nessun gesto eroico, nessuna frase altisonante, il destino del mondo non ha subito interferenze. Eppure…eppure, quando ci ho ripensato, un sorriso mi è affiorato spontaneamente, gli spigoli della mia giornata per un momento mi sono sembrati meno acuminati.
Non mi faccio illusioni che il vivere urbano possa riconquistare, come per un colpo di bacchetta magica, calore e disponibilità spontanea all’aiuto reciproco.
Mi pare però che, nel suo peso infinitesimale, l’episodio cui ho assistito, ribadisca che la qualità del nostro vivere assieme è frutto certamente delle grandi scelte politiche e amministrative, dell’urbanistica e della sicurezza garantita dalle forze dell’ordine, ma questi ingredienti possono guadagnare piena efficacia solo se confortati dalla disponibilità interiore di ciascuno di noi.
Non può esistere una città a misura d’uomo se quell’uomo non si sente a sua volta coinvolto, parte solidale e amichevole nei confronti di quanti altri con lui condividono lo spazio urbano.
Se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che la gentilezza, in tutta la sua estensione orizzontale, è quasi diventata un tabù, un’attitudine per nulla all’altezza dei tempi.
Diciamolo pure: un’inclinazione ritenuta noiosa, da fessi, una virtù da deboli di spirito o da falliti. La gentilezza confina con la generosità, ed è anzitutto una virtù gratuita: che gesto gentile sarebbe quello che si aspettasse in cambio un compenso? I giovani volontari che nei mesi più drammatici dell’esplosione dell’attuale pandemia hanno provveduto al recapito di generi di prima necessità presso le abitazioni di persone anziane e sole, si sono attivati con qualche pretesa di guadagno?
Lo psicanalista inglese Donald Winnicott considerava la benevolenza e l’altruismo indicatori di salute mentale. Se ne può dedurre che non stiamo tanto bene.
Spesso la gentilezza viene identificata in nient’altro che in un gesto occasionale e autogratificante per chi lo compie, non una “forma mentis” ma qualcosa che si avvicina all’ipocrisia e che somiglia alla beneficienza che lasciamo distrattamente cadere sul piatto del mendicante un giorno sì e cento no. Del resto, qualcuno sostiene che l’elemosina è un atto inutile se non dannoso.
La gentilezza ha perso l’alone aristocratico del tempo che fu, per diventare l’esatto opposto dell’aggressività “virile”: si potrebbe ritenere addirittura che si tratti di una barriera protettiva della propria vulnerabilità, una difesa preventiva contro l’aggressività altrui. Più una virtù da santi che da gente comune, capace di stare al mondo.
Daniel Defoe, scrittore inglese, si avvicina all’accezione moderna: per il padre di Robinson Crusoe, il gentiluomo era il borghese sobrio, contrario alla sopraffazione e all’attività mercantilistica.
Sta di fatto che se in passato era definibile a occhi chiusi come “status symbol,” la gentilezza ha finito per occupare un campo impervio, sdrucciolevole, ambiguo: persino Hitler potè apparire “gentile” alla sua segretaria, ma si trattava evidentemente di un errore ottico per eccesso di vicinanza (la gentilezza va valutata da lontano).
Se invece è la negazione della prepotenza, dell’iracondia e dell’indifferenza, e se la si intende non solo nella sua manifestazione esteriore, deve avere qualcosa a che fare anche con la mitezza, di cui Norberto Bobbio scrisse un memorabile elogio: per il filosofo si tratta di una qualità morale, che coinvolge il rapporto con le altre persone, un’empatia suscettibile di essere coltivata e affinata con impegno dall’individuo e dalla comunità.
Una ferma mitezza suona come un ossimoro. Una ferma gentilezza un po’ meno, ma ambedue richiedono una buona dose di umiltà personale, di benevolenza, di comprensione per l’altro, ma anche, come sostiene Bobbio, di intransigenza a difesa della propria e altrui dignità. Eccolo lì il suo anacronismo: la gentilezza è una resistenza (personale ma soprattutto sociale) al peggio che oggi rischia di sommergerci, come i rifiuti sommergono molte città. Una resistenza democratica. E per questo, alla fine, non va disprezzata nemmeno quando la si intenda semplicemente (ma non proprio semplicemente) come buona educazione.
Gratificante, perché no, per l’individuo e per la società.
E’ triste constatare come spesso curiamo fin quasi all’ossessione gli spazi privati, la casa soprattutto, mentre disprezziamo viceversa tutto ciò che è pubblico, nella gradazione che va dal gettare a terra cicche, cartacce, gomme americane, pacchetti di sigarette, bottiglie o lattine, ed ora, “dulcis in fundo”, mascherine – o più propriamente dispositivi di protezione individuale - per arrivare agli “insidiosi” escrementi di cane non raccolti, fino agli atti vandalici che danneggiano spazi e strutture di uso comune.
Se cresce il numero di quanti non si limitano a non commettere azioni sgradevoli, ma agiscono con gesti di rispetto civico, proprio come “quel signore”, o anche soltanto fanno percepire la loro riprovazione nei confronti degli atti negativi a cui prima accennavo, qualcosa può iniziare a cambiare.
Piccoli gesti di convivenza, piccoli gesti di cortesia.
Essere cortesi è un’arte che deriva da un forte impegno a usare l’intelligenza per capire le circostanze sociali e, in particolare, gli stati d’animo degli altri. Questo impegno, a volte faticoso e dall’esito incerto, può realizzarsi solo quando è sostenuto dalla motivazione di prendersi cura dei sentimenti altrui.
La persona cortese ha un’anima gentile, sensibile alla sofferenza umana e con un senso di obbligo a fare del suo meglio per alleggerire la fatica del vivere. Questo senso di obbligo, tuttavia, non è pesante, noioso o pericoloso, non sceglie i grandi gesti, i violenti sacrifici o le prediche sublimi.
La persona cortese e gentile usa con leggerezza, ma con costanza, i mezzi naturali in possesso di tutti gli esseri umani: un po’ di attenzione, un minimo di riflessione, una scelta di parole.
Per gli esseri umani, la cortesia e la gentilezza sono facili, facili come sorridere.
E a proposito di sorriso, accoglienza gentile e frequentazione di locali, non citerò contesti urbani noti per la ruvidezza delle relazioni umane… Dirò solo ad esempio che odio quei negozi nei quali il gestore, o un commesso male addestrato, mi accoglie con un richiamo strascinato: “Dicaaa!...”. Invece di dire alcunché, ho subito voglia di uscire.
(foto interne di Marina Tarozzi)
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