L’ETICA IN UN MONDO IN CERCA DI CERTEZZE

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“Agisci considerando l’umanità, sia per te stesso che per gli altri, non solo come semplice mezzoma sempre anche come nobile fine”. (Kant)

“L’unico e solo principio di tutte le leggi morali e dei doveri a essi corrispondenti, è l’autonomia della volontà. Al contrario, qualsiasi eteronomia del volere non solo non può costituire il fondamento di alcuna obbligazione, ma è anzi contraria al principio stesso di questo, e alla moralità della volontà”. (Kant, Critica della Ragion Pratica, 1787)

"La possibilità dell’apocalisse è opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo". (Anders)

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Pensare eticamente, dotarsi di una morale condivisa e condivisibile, è oggi ancora possibile? Una riflessione sul tema etico non può configurarsi come un puro esercizio teorico, ma esige il concreto riferimento a una rete di problemi interconnessi, che implicano un coordinamento con settori e ambiti del sapere diversi: da questi possono derivare possibili soluzioni per le molte incognite poste alla riflessione. "Nel contesto attuale - afferma Bauman - c’è la tendenza generale a deregolamentare strutture una volta solide e durature".

Nel vuoto etico in cui viviamo, ciò che oggi è temibile è la nascita di un nichilismo nel quale il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi. Con il crollo delle vecchie ideologie e con la conseguente perdita di valori e certezze, su cosa si può fondare, oggi, un’etica?

Viviamo in tempi incerti e mutevoli, caratterizzati da una sorta di privatizzazione globale che spinge a coltivare i propri ristretti interessi nel disinteresse di quelli comuni. Per affrontarli, è necessario riscoprire le connessioni profonde tra gli interessi della comunità e quella dei singoli individui, tra la prosperità delle istituzioni che si occupano del bene comune e quella di milioni di esseri umani sempre più soli e spaesati, evitando di esacerbare le antinomie tra un’etica prettamente politica e una economica, tra una morale individuale e una collettiva.

In questi tempi di decadenza morale e spirituale la responsabilità e la scelta individuale diventano centrali rispetto ai comportamenti che si adeguano all’ordine sociale e hanno origine dal rifiuto istintivo di fare del male a un altro, facendo leva sul meglio che abita ognuno di noi. La scelta morale presuppone uno sforzo di immaginazione e un investimento di energie creative che, andando oltre i confini di emozione e ragione, corpo e mente, permettono di superare i limiti e le incertezze dell’etica contemporanea.

Per immaginare ci vuole coraggio e ci vuole audacia per rilanciare una visione dell’etica per la quale il bene, la libertà, la giustizia devono tradursi in atti, gesti, giudizi singolari e concreti: l’amicizia, l’amore, la fedeltà, la sincerità, la pazienza, il perdono. Se l’imperativo categorico kantiano propone di superare l’impasse di un vivere senza idee, il recupero della spiritualità e della prospettiva redentiva tiene sempre aperto il senso della possibilità, lasciando apparire il mondo in tutte le sue crepe e le sue fratture.

Nel tentativo di andare alle radici filosofiche del problema della responsabilità, che non concerne soltanto la sopravvivenza, ma l’unità della specie e la dignità della sua esistenza, incuneato tra il “principio speranza” di Ernst Bloch e il “principio disperazione” di Günther Anders, il “principio responsabilità” di Hans Jonas tenta di coniugare in un modello unitario, etica universalistica e realismo politico.

Analizzando il drammatico momento che coinvolge l’umanità e il pianeta, Jonas con il principio “responsabilità” e Bloch con il principio “speranza”, affermano che c’è ancora spazio per un’inversione di rotta; Anders, invece, teorizza il principio “disperazione”, secondo il quale, ormai, non è più lecito nemmeno sperare, in quanto la condizione a cui l’uomo oggi è arrivato è sostanzialmente irrecuperabile.

Avvicinandoci alle parole-chiave di questi pensatori - principio-speranza, principio-responsabilità e principio-disperazione - Bloch sogna una natura completamente al servizio dell’uomo, una totale trasformazione del mondo in patria - Umbau der Welt zur Heimat -, senza avvedersi che il potere scientifico-tecnologico accumulato dalla nostra civiltà soddisfa la nostra volontà di potenza, al costo di mettere in pericolo le basi stesse di ogni forma di vita nel pianeta Terra.

Da questo punto di vista le critiche mosse al filosofo da Hans Jonas nel suo Das Prinzip Verantwortung (1979) colgono nel segno. In altri termini, lo Umbau der Welt zur Heimat sperato da Bloch, oggi non può non fare i conti con quel senso del limite e della misura che – se viene sottovalutato e ignorato – rischia di trasformare il mondo in un inferno e in un deserto, per il modello di sviluppo economico dominante che è responsabile del degrado ambientale planetario.

Non solo il Prinzip-Hoffnung deve fare i conti con il Prinzip-Verantwortung e con il Prinzip-Verzweiflung, ma lo stesso Prinzip-Verantwortung rischia di esser messo fuori causa dal Prinzip-Verzweiflung. Incuneati tra il “principio speranza” (Ernst Bloch), il “principio realtà” (Helmut Schelsky) e il “principio responsabilità” (Hans Jonas), possiamo stabilire una stimolante riflessione in relazione al “principio-disperazione” di Anders, che per molti versi ne costituisce l’antitesi. Il pensiero di Anders si radica profondamente nella cultura nel ‘900, la sua filosofia è volta a stabilire le cause che hanno portato l’uomo a creare una società in cui l’unico protagonista è l’apparato tecnico.

La sua opera è dominata da una retorica dell’intransigenza che pone il suo radicalismo al servizio del “principio disperazione”. La sua filosofia della tecnica ci fornisce l’estrema versione nichilistica delle tesi marxiane sulla reificazione.

Ma l’impazienza moralistica che la pervade ha fatto di lui una figura simbolo del pacifismo militante, di cui ha, forse più lucidamente di ogni altro, esibito le sfide, i limiti e le contraddizioni. Anders, per il suo modo estremamente critico di intendere le cose, può essere accostato a filosofi del 900 come Adorno e Marcuse, ma anche ad altri come Heidegger, Levinas, Hans Küng.

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Parole-chiave del nostro tempo, il principio-speranza, principio-responsabilità e principio-disperazione mettono sotto accusa il modello di sviluppo economico dominante, responsabile delle terribili diseguaglianze economico-sociali del nostro tempo e che necessita di un radicale ripensamento. I problemi dell’umanità non si possono risolvere senza l’aiuto della scienza, ma neppure solo con la scienza. Va recuperata una coscienza umanista, la coscienza per la quale, a partire da certi livelli di conoscenza e di azione, niente di tutto quello che facciamo è indifferente per l’altro, che non siamo soli nel nostro sapere e agire. Se sapere di più significa potere di più, è necessario diventare coscienti della responsabilità etica che questo comporta. In questo senso possiamo accettare la tesi di Nozick secondo cui la filosofia morale definisce lo sfondo più ampio e traccia i limiti per la filosofia politica.

Esplorando le tante prospettive sull’etica, uno dei temi che emergono è quello della capacità di trattare condotte, principi, linguaggi normativi e quindi di rivedere o di respingere del tutto convinzioni e condotte diffuse e acquisite. In questo senso l’etica è riflessiva, capace di riflettere su ciò che giustifica convinzioni e comportamenti. Un’etica che non sia riflessiva è incompleta, sosteneva già John Dewey. Il carattere riflessivo dell’etica ci aiuta a mettere in luce come il pensiero morale e la stessa vita morale non sono ambiti omogenei, ma sono attraversati da varie fratture tutte ugualmente importanti.

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La morale è chiamata a confrontarsi con i cambiamenti e le rivendicazioni del nostro tempo, come la giustizia sociale e l’emergenza ambientale, ma se i cambiamenti costituiscono una sfida, la ricerca etica può e deve rispondere con i suoi strumenti. La mente morale si trova a dover riorganizzare le proprie analisi. La ricerca etica nella sua lunga storia ha accumulato strumenti e vie di soluzione. L’etica non è solo ricerca teorica, è anche una particolare forma di vita, che tende a proporre soluzioni ai problemi che ci investono.

Nel discorso pubblico l’etica è trattata il più delle volte richiamandosi al senso comune anziché alla discussione razionale e alla ricerca teorica. Il discorso pubblico non è molto attrezzato alle discussioni etiche. Prevale l’idea che l’etica sia una questione meramente personale e privata oppure religiosa. E tuttavia, l’etica è diventata importante nelle nostre società. Si sono estese le libertà personali che consentono scelte negli ambiti più disparati della vita, come nelle questioni della bioetica, della sessualità, dell’ambiente e degli animali. La ricerca etica procede e consegue risultati importanti e nuovi, così come accade con gli altri saperi scientifici e tecnologici.

Società democratiche sufficientemente ricche e libere hanno aperto le scelte quotidiane alla dimensione del pensiero morale, su cosa è giusto fare e su quale tipo di vita condurre. Anche le questioni tradizionalmente politiche hanno assunto un peso etico indiscutibile. I temi delle migrazioni, della disuguaglianza crescente nelle società democratiche e dei diritti umani, richiedono un pensiero morale che va al di là delle scelte politiche e istituzionali.

Il linguaggio delle carte internazionali e dei documenti delle Nazioni Unite negli ultimi decenni sono un esempio importante di come sia l’etica a offrire l’intelaiatura teorica di fondo, su cui si costruiscono discorsi che hanno un rilievo regolatorio e giuridico, come ad esempio l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

I disastri ambientali e sociali in corso ci fanno già vedere, e in parte vivere, le forme che potrebbe assumere l’estinzione della vita umana sulla Terra. Bisogna forse aspettare un collasso del sistema? Collassi del genere sono diventati la condizione stessa di esistenza del sistema. È una deriva sotto i nostri occhi anche a causa della pandemia.

Nei fatti, l’ecologia ha messo in discussione l’impianto produttivista, sviluppista e antiecologico del sostema capitalista. Cadute le ideologie politiche e le grandi narrazioni che hanno dominato il Novecento, le ragioni che si offrono per difendere una linea di azione e un orientamento nella vita, dalle scelte personali a quelle pubbliche, sono impostate nei termini caratteristici dell’etica.

Nel rapporto tra le tante sofferenze umane – soprattutto dell’umanità più sfruttata ed emarginata – e quelle del mondo della natura, l’ecologia integrale – che fa coincidere la lotta per la giustizia sociale e la lotta per la salvaguardia della Terra – fa leva sul rovesciamento radicale del sistema che non cerca più solo in nuovi “rapporti di produzione” il rimedio alle ferite inferte dal capitalismo alla vita e all’integrità degli ecosistemi.

Una poli­tica razionale diretta alla tute­la dei beni ecologici richiede oggi una lotta contro il tempo: dalle altre cata­strofi, anche le più terribili – dalle guerre mondiali ai genocidi – la ragione giuridica e politica ha tratto lezioni, formulando, contro il loro ripetersi, nuovi pat­ti costituzionali. Di­versamente da tutte le altre catastrofi pas­sate del­la storia umana, la ca­tastrofe ecologica è, in larga par­te, ir­rime­diabile.

Per la prima volta nella storia c’è la necessità di acquistare la consapevolezza di cambiare strada e di stipulare un nuovo patto prima che sia troppo tardi. Ma possiamo anche dire che l’emergenza ambientale può offrire l’occasione per costringere la popolazione del pianeta a mettere da parte i tanti conflitti e interessi per unificarla intorno a una battaglia comune, contro una minaccia comune, per una causa comune, mettendo al centro “la cura”, cioè attività liberamente scelte che includano, accanto alla produzione di beni essenziali, tutti gli impegni legati alla riproduzione sia della vita che delle relazioni su cui si fonda una comunità e il suo rapporto con un territorio.

Bernard de Mandeville nel XVII secolo affermava: “Non esiste amore che non implichi la cura di conservare la cosa amata”.

Se le condizioni della vita sono cambiate nella realtà, nel lavoro, nelle relazioni, nel modo di fare esperienza attraverso le tecnologie informatiche esse sono all’origine di straniamento, disillusione e di un senso di perdita. Ci sono problemi globali che si fanno strada con difficoltà nell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità: il salvataggio del pianeta dal riscaldamento climatico, i pericoli di conflitti nucleari, la crescita delle disuguaglianze e la morte ogni anno di milioni di persone per mancanza di alimentazione di base e di farmaci salva-vita, come di vaccini contro la diffusione globale del virus covid-19, il dramma di centinaia di migliaia di migranti ciascuno dei quali fugge da uno di questi problemi irrisolti.

Tuttavia, la consapevolezza della globalità dei problemi e delle loro possibili soluzioni, nell’interesse di tutti, grazie all’espansione a livello globale del paradigma garantista e costi­tu­zio­nale, consentirebbe una nota di speranza: all’attuale deriva esiste un’alternativa possibile, pur se ostacolata da interessi e pregiudizi, tanto potenti quanto miopi.

L’alternativa è oggi radicale: o si sviluppa un processo costituente di carattere sovranazionale, dapprima europeo e poi globale, cioè la costruzione di una sfera pubblica planetaria in grado di porre limiti alla sovranità selvaggia dei mercati e degli Stati più potenti a garanzia dei diritti e dei beni vitali di tutti, oppure sono in pericolo non soltanto le nostre democrazie, ma anche la pace e la vivibilità del pianeta.

Oggi la vera utopia è opporsi a che le ricche demo­crazie e i tenori di vita dei paesi sviluppati si basino sulla fame e la mi­seria del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente in­soste­nibile del­le nostre economie: dobbiamo opporci alla rassegnata accettazione dell’esistente. “Senza la speranza di tempi migliori, scrisse Kant, un serio desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano”.

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La speranza del progresso sostenibile e di un modello umanistico di implementarlo, forma il presupposto sia dell’impegno morale che di quello politico. L’adozione dei metodi dell’etica fondati sulla razionalità e sull’immaginazione, sulla dimensione scientifica e razionale e su quella umanistica, ci consentono di trattare le nuove condizioni in modo plausibile e costruttivo, verso un’idea etica di capitalismo umanistico.

Infine, non è vero che, come troppo spesso si ripete, non ci siano alternative. Le alternative ci sono e si realizzerebbero, se solo ci fosse la volontà politica di attuarle e a tale volontà non si opponessero potenti interessi privati e stati nazionali antidemocratici. I problemi non sono affatto di carattere teorico o tecnico ma soprattutto di carattere politico, legati all’indisponibili­tà dei poteri più forti – le superpotenze militari, le grandi imprese multinaziona­li e i mercati finanziari – a implementare il diritto e rispettare i diritti.

Bisogna tener conto che nell’o­dierno mon­do globalizzato, la costru­zione di una sfera pub­blica internazio­nale garante della pace e dei diritti può rappresentare - non di­versamente dalla formazione degli stati nazionali alle ori­gini del capitalismo - la sola alternativa razionale a un futuro di guerre e di violenze in grado di travolgere gli interes­si di tutti.

Gabriella Bianco

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