RILEGGENDO POESIA : GIANCARLO PONTIGGIA
Cerco nomi felici…

Giancarlo Pontiggia (ri)appare su POESIA nel luglio/agosto 1992 (anno V) con I fuochi, nella rubrica Inediti, pur avendo già collaborato più volte, nel quinquennio precedente, col nostro mensile. Giancarlo Pontiggia è nato a Seregno, in provincia di Milano, nel 1952.
Ha studiato Lettere all’Università degli Studi di Milano, laureandosi sulla poesia di Attilio Bertolucci. Ha pubblicato le raccolte: Con parole remote (Guanda, 1998, Premio Montale) Bosco del tempo (Guanda, 2005), poi confluite in Origini (Interlinea, 2015), Il moto delle cose (Mondadori, 2017). Per il teatro, ha scritto: Stazioni (2010), Ades. Tetralogia del sottosuolo (2017).
Saggi di poetica e riflessioni sulla letteratura si trovano nei volumi: Contro il Romanticismo (2002), Lo stadio di Nemea (2013) e Undici dialoghi sulla poesia (2014). Dal francese ha tradotto, tra l’altro, La nouvelle Justine di Sade, le Bagatelle per un massacro di Céline, le tre versioni del Fauno di Mallarmé, La bambina dell’oceano di Supervielle, Charmes e Il mio Faust di Paul Valéry. (https://www.italian-poetry.org/giancarlo-pontiggia/, sito – segnaliamo – molto ben fatto). Poeta, traduttore (dal francesce e dai classici), saggista, redattore, collabora con puntoacapo Editrice dirigendo “Ancilia”, una collana di poesia che pubblica tre-quattro titoli l’anno, tutti – a nostro parere – validissimi e molto curati. Ha quindi pubblicato cinque raccolte di poesie, con un ricco elenco di riconoscimenti, tutti di altissimo livello. Leggiamo quanto proposto da Andrea Temporelli su https://www.andreatemporelli.com/2017/03/06/poeti-contemporanei-giancarlo-pontiggia/: la poesia di Pontiggia è rimasta fedele al soffio di una memoria archetipica, mai circoscritta intorno all’ego del poeta e ai suoi furori, eppure volutamente ispirata, visionaria e rituale fino alla più pura reiterazioni dei miti naturali, accordandosi a una pietas protocristiana, se non addirittura pagana, che non poteva non essere sottoscritta da Giuseppe Conte, che firma la fiammante presentazione di copertina del libro con cui l’autore si è recentemente riproposto sulla scena poetica.
In effetti, nonostante Con parole remote si presenti in qualità di primo libro ufficiale (dopo esordi praticamente rinnegati), di Pontiggia si possono rintracciare, nell’arco di questi vent’anni, misurate ma costanti apparizioni sulla scena letteraria, a testimonianza di una severa disciplina di ascolto e culto della parola, sempre lontano dai frastuoni mondani. Il risultato è un’opera rastremata, spoglia, dall’aspetto inconfondibile, tale da tentare con disarmante candore la melodia orante dell’invocazione, il canto delle forze che governano l’avvicendarsi dei tempi, l’appello frontale al lettore e per giunta con parole remote, con una dedizione totale alla tradizione, privilegiando anzi gli interlocutori della classicità a scapito di una tradizione del moderno certamente non rinnegata, ma ricongiunta alle sue stesse fonti prime (e si veda, sulla genesi di quest’opera, il racconto che ne fa l’autore in Storia vera del mio libro, nella raccolta di saggi Contro il Romanticismo).
Persona educatissima, dalla voce flebile e dai modi garbati, ha un dettato poetico limpido, del cui valore non si può dubitare. Fa parte della giuria del Concorso nazionale di poesia e narrativa Guido Gozzano – Augusto Monti nella sezione “libro edito di poesie”, mentre chi scrive è nella sezione “poesia singola inedita”. Si potrebbe dedurre, data la contiguità dei rispettivi impegni nell’ambito dello stesso concorso, una maggior conoscenza interpersonale e una frequentazione più assidua.
Ma una certa tendenza al mutismo da parte di chi scrive – che talvolta è pigrizia, talaltra ritrosia – non facilita quegli scambi, talora proficui, altre volte un po’ forzati, che spesso intercorrono fra autori che, legittimamente, hanno il dovere di parlare delle loro pubblicazioni e di proporle. Nonostante ciò, i rapporti sono più che rispettosi e cordiali.
Cerco nomi felici: “oro” ripeto
Cerco nomi felici:
oro, ripeto,
cieli, meriggio, sole alto. Varco
i tuoi, tempo, fiammanti cancelli;
m’inoltro in un’aria tiepida, fra
anse e canneti, in una
verde corrente,
per rive docili, ombrose,
con voi, numi-custodi, fratelli
di un argine più remoto,
in una rada di frondoso sonno,
in un salvo fuoco.
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