STORIA DI STORIE DIVERSE - XLXXI

Insegnanti di sostegno allo specchio: la disabilità tra difficoltà e gratificazione

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cms_22864/Foto_1.jpg“Storia di storie diverse”, ovvero storie di alunni disabili, persone con caratteristiche speciali, con limitazioni visibili ed innegabili potenzialità.

Il loro percorso scolastico, le difficoltà incontrate e quanto sia ancora difficile oggi parlare di integrazione nella scuola italiana.

Negli articoli della rubrica si affronteranno anche le problematiche più generali del sistema scolastico, con una visuale privilegiata, quella di chi lavora al suo interno.

In pochi giorni sono arrivate, tra l’altro a ridosso del mio compleanno, notizie importanti, che attendevo da tempo e per cui ho lavorato a lungo. Notizie belle, entusiasmanti, che rinnoveranno sia il mio modo di lavorare che la mia vita in generale.

Tra pochi giorni, agli inizi di settembre, cambierò lavoro; non mi occuperò più dei bambini disabili ma insegnerò agli adulti. Non lavorerò più in una scuola primaria ma in un Cpia, ovvero in un Centro Provinciale di Istruzione degli Adulti.

Insegnerò la lingua italiana agli immigrati che, per poter ottenere il permesso di soggiorno, devono presentare una certificazione di conoscenza della lingua – livello A2 - e dimostrare di saper utilizzare frasi di uso comune tese a soddisfare bisogni di tipo concreto.

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Il colorato mondo del C.P.I.A.

Insegnerò in una città lontana dalla mia, non mi sentirò pendolare ma curiosa di conoscere nuovi luoghi e persone. Finalmente, dopo vent’anni, non lavorerò più in un ambiente in cui il servizio è femminilizzato. Un collega, nella scuola dell’infanzia o primaria, è una mosca bianca: ricordo di averne avuto uno o due in vent’anni. Con loro il clima era più scherzoso: credo che la presenza “mista” tenda ad alleggerire le situazioni, aumentando la produttività e la capacità di fare squadra senza quel forte spirito competitivo che spesso si scatena tra sole donne. Ciò è un bene, perché l’organizzazione del lavoro scolastico funziona attraverso un lavoro comune, il cosiddetto team-teaching.

Ora non ci saranno più tanti insegnanti in classe ma solo io, in una scuola vuota, di pomeriggio. Mi sento onorata di ricoprire questo nuovo ruolo. Non sono intimorita dagli immigrati, conosco la lingua in cui si esprimono. Sono stata in Africa più volte e mi sono confusa con piacere tra gli abitanti di questo continente assumendone le abitudini: ho stretto amicizie fraterne, sono stata ospitata nelle loro case.

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Non sento di avere pregiudizi e credo di essere provvista della necessaria umiltà per poter interagire positivamente con queste persone e condurle ad un livello più alto di conoscenza della lingua e della cultura italiana.

L’altra bellissima notizia è che sono diventata giornalista pubblicista. È stato un traguardo al massimo agognato e difficile da raggiungere. Si sono frapposti ostacoli di ogni genere e persone hanno deliberatamente tramato affinché io non potessi proseguire il percorso.

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In questo caso, rispolverando il mio spirito di attivista, ho lottato, scritto e denunciato per non dover subire ingiustizie; sono arrivata in alto, ai vertici del mondo giornalistico ed ho protestato per come, in generale, è organizzato l’apprendistato e per il modo in cui alcuni direttori approfittano degli apprendisti.

Ovviamente una volta approdata nella Redazione di questo giornale ho constatato sia il rispetto del lavoro dell’apprendista che delle regole per intraprendere questo percorso, che non solo insegna a scrivere egregiamente, attraverso l’esercizio, ma consente di approcciarsi a nuove tematiche e nuovi universi.

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Essere giornalisti, anche quando non si scrive, è un’attitudine, significa poter lanciare il proprio sguardo sul mondo al fine di comprendere ciò che accade. Io mantengo la mia curiosità cogliendo ogni spunto, anche casuale. L’attitudine al voler sapere si tramuta alla lunga in ricchezza conoscitiva poi riversata nella scrittura degli articoli.

Vincenza Amato

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