LA RADIOESTESIA

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La radioestesia - o radiestesia -, contrariamente alla credenza di molti, non ha nulla di misterioso o esoterico. Non è uno strumento divinatorio che serve a predire il futuro o a parlare con i defunti ma è la capacità, insita in ogni essere umano, di ascoltare se stesso e l’ambiente in cui vive.

Etimologicamente, RADIOESTESIA deriva dal greco radius (raggio, radiazione) e dal latino aistetis (sensibilità o percezione); possiamo quindi tradurlo come "percezione di radiazioni". Benché il termine sia stato coniato nei primi anni ’20 del XX secolo, la radioestesia ha origini antiche e si è evoluta - nelle sue forme e utilizzi - attraverso i secoli. Orientativamente le prime tracce risalgono al 2500 a .C., in Oriente, particolarmente in Cina e nell’antico Egitto.

All’inizio - da qui l’equivoco - aveva finalità divinatorie e veniva praticata per conoscere la volontà degli dèi, predire il futuro e determinare lo stato di innocenza o colpevolezza di un condannato durante il processo. Quest’ultimo utilizzo, tra l’altro, fu proibito soltanto nel 1701 dal Tribunale dell’Inquisizione.

Nel Medioevo, la radioestesia fu poi assimilata alle pratiche demoniache per cui coloro che ne facevano uso venivano perseguitati con l’accusa di tenere contatti con le forze oscure.

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La radioestesia, così come la conosciamo oggi, risale alla Germania del XV secolo: il fine era quello di localizzare sorgenti d’acqua o filoni di minerali attraverso l’ausilio di bacchette o altra strumentazione. Questo metodo è chiamato ancora oggi RABDOMANZIA, termine coniato nel XIX secolo che significa "ricerca di informazioni mediante pratiche religiose": dal greco rábdos (bacchetta) e mantéia (divinazione).

Ma anche l’utilizzo delle bacchette fu ritenuto superstizioso - per non dire peggio - dai Gesuiti: siamo nel 1662. Malgrado ciò Gaspar Schott, fisico, matematico e filosofo naturale vissuto in quello stesso periodo, sosteneva di non essere tanto sicuro che a muovere la bacchetta fosse sempre il demonio.

Facciamo un salto ed arriviamo ai giorni nostri. Alla fine degli anni Sessanta, durante la guerra in Vietnam i Marines fecero uso della radioestesia per localizzare armi , nascondigli e quant’altro. In che modo? Individuando la presenza di un oggetto grazie, da un lato alle capacità extrasensoriali del radioestesista e, dall’altra all’emissione di energie da parte dell’oggetto cercato. Tutto questo attraverso una bacchetta che capta tali energie e vibra per effetto di “risonanza”.

Come quasi sempre accade, queste pratiche hanno origini antichissime e hanno espletato egregiamente le loro funzione. Finché l’uomo è rimasto connesso a se stesso e alla natura, erano considerate assolutamente naturali e non vi era nulla di magico o nefasto in esse. Con l’andare del tempo, il mentale ha preso il sopravvento sul buon senso, producendo una distorsione della consapevolezza: ciò che prima era naturale è diventato magico, se non addirittura demoniaco, perdendo la propria iniziale identità.

Oggi, se pur con prudenza, l’umanità si sta riavvicinando alla saggezza antica e ne sta riscoprendo il valore. La Scienza moderna fatica ancora a comprenderla appieno ma vi arriverà nella misura in cui la mente dei ricercatori si aprirà ad altro rispetto al conosciuto.

Il ritorno alle radici è la strada da seguire.

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Siamo esseri multidimensionali e, in quanto tali, siamo legati in ugual misura alla materia come all’energia: solo riunendo entrambe le dimensioni l’uomo acquisirà - o meglio, ritroverà - la propria identità e la pienezza della salute.

La radioestesia si inserisce perfettamente in questa visione.

Se vogliamo definirla, possiamo dire che si tratta di un’indagine olistica su cose o persone, al fine migliorare il discernimento o di prevenire disturbi e patologie.

L’abate Alexis Mermet (1866-1937) affermò di aver praticato con successo la radioestesia nella diagnosi delle malattie. Partendo dalla credenza medievale che le malattie avessero in qualche modo origine da flussi sotterranei di "energia demoniaca” rintracciabili attraverso l’uso delle bacchette, ribattezzò questa pratica appunto RADIOESTESIA e ne diede molte dimostrazioni pratiche negli ospedali francesi. Malgrado ciò, la medicina moderna occidentale non riconosce tale pratica dal punto di vista diagnostico ma l’uso si diffonde comunque sempre di più. Faccio notare che il personaggio in questione era un monaco.

“Il fenomeno radiestesico consiste in una interazione tra le radiazioni emesse dall’oggetto in studio e particolari centri recettori esistenti nell’organismo dell’operatore. Lo stimolo fisico, prodotto da queste radiazioni sulla cute e sugli organi di senso, tradotto in stimolo elettrico dall’apparato nervoso, agisce sui centri cerebrali, i quali, a loro volta, agiscono sui muscoli dell’operatore. Costui inconsciamente aziona il pendolo, che funge così da rilevatore della microattività neuromuscolare.” (Prof. Dott. Fernando Bortone, “La radiestesia applicata alla medicina” edizioni Vannini).

Ecco una sintetica ma chiara descrizione del fenomeno riadioestesico.

Viene qui menzionato un altro strumento d’uso comune in questa pratica: il pendolo.

Oltre alla classica bacchetta, che sia a forma di bastoncino, di ipsilon o simile a un’antenna - generalmente di materiale legnoso o ferroso - lo strumento radioestesico più conosciuto è il pendolo, blocco di metallo o di altro materiale di svariate forme, tenuto sospeso ad un filo.

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La radioestesia permette di percepire le energie invisibili che ci circondano: queste energie vengono “captate” dal nostro subconscio e poi trasmesse alla sfera conscia attraverso il movimento del pendolo. Quest’ultimo non ha poteri propri ma è un amplificatore meccanico dei micromovimenti della mano e del braccio, ovvero delle reazioni neuromuscolari del radiestesista mentre interroga la sua sensibilità.

Questo movimento inconscio muscolare non è certo una novità perché già da tempo viene usato nell’ipnosi.

Tra le altre cose, dagli esperimenti condotti negli Stati Uniti, si è scoperto che sottoponendo ad encefalogrammi i radioestesisti mentre praticano, questi utilizzano tutte le onde cerebrali conosciute in vario grado (alfa, theta, delta, ecc). Ciò accade perché il radiestesista sviluppa diverse funzioni mentre pratica la disciplina: se da un lato deve lasciarsi guidare dall’intuito, dall’altra deve porsi delle domande, riflettere, collegare le risposte.

Niente di straordinario, né di mistico, né men che meno di esoterico: la radioestesia fa parte del nostro “corredo” sensoriale sin dai tempi della venuta dell’uomo sulla terra.

Nessuna paura, quindi, la pratica radioestesica è assolutamente naturale e innocua. Può inoltre essere utilizzata per indagare tutto ciò che fa parte della nostra vita, che si tratti della salute, di una scelta da compiere, di un ambiente in cui vivere e molto altro.

Ma la radioestesia non è solo analisi, è anche azione. Ad esempio può essere utilizzata per informare l’acqua, per modificare le energie o per fare “pulizia energetica”: in quest’ultimo caso ci troviamo di fronte a un tipo di radioestesia detta “sciamanica”.

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Esistono molte applicazioni della radioestesia, che vanno dall’aspetto fisico a quello spirituale, passando per quello energetico: l’essere umano è UNO, quindi non esistono divisioni o chiusure in questo senso.

La radiestesia è una delle meraviglie del subconscio, e consiste di due aspetti. Il primo è che il subconscio può allenare i “muscoli” in modo tale che il pendolo, o la bacchetta, reagiscano con delle oscillazioni. Il secondo aspetto è che il subconscio accetta una serie di simboli, ponendo una domanda al pendolo, e può trovare una risposta a questa domanda per la sua natura multidimensionale; la distanza, lo ricordiamo, non esiste a questo livello. In questo modo il subconscio può “guardare sotto la pelle” e scoprire, ad esempio, un tumore cerebrale, anche qualora il paziente si trovi in quel momento dall’altra parte del mondo; per chi utilizza il pendolo non c’è nessuna differenza. Si può illustrare il concetto della sparizione della distanza con due semplici analogie. Prendete un foglio di carta, disegnate un cerchio e ponetegli un oggetto dentro. Un “essere” che abita nelle due dimensioni del foglio (o fuori del cerchio), non può osservare l’oggetto, poiché è nascosto dal contorno del cerchio. L’oggetto è percepibile solo da una terza dimensione. Ugualmente, disegnate su di un foglio due croci, distanti una dall’altra. Nella terza dimensione, possiamo piegare il foglio in modo che le croci si tocchino : la distanza è sparita. Una dimensione in più e la distanza scompare.” (Bob Brands, inventore del Sistema di Guarigione Computerizzato ETRE)

Ecco che, grazie alla radioestesia, ci riappropriamo non solo del nostro corpo ma anche dello spazio e del tempo. Grazie ad essa ci riconnettiamo alla nostra vera ed originaria dimensione e possiamo accedere ad una consapevolezza diversa che cambierà in meglio la nostra qualità di vita.

Impareremo a conoscerci meglio, più a fondo e, grazie a ciò, ad effettuare scelte di vita sane di cui saremo i primi beneficiari.

Insomma, la radioestesia è una pratica semplice e naturale per conoscere noi stessi e vivere al meglio la nostra vita quotidiana.

Simona HeArt

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GRAZIA M.

Pratico la radioestesia da molti anni, e ho apprezzato molto l’articolo. Finalmente viene chiarito che la radioestesia non riguarda il mondo esoterico ma è una capacità presente in ciascuno di noi e può essere sviluppata con impegno e costanza. Compllimenti. Grazia Martinoli...
Commento del 09:20 13/02/2024 | Leggi articolo...



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