ALLA SCOPERTA DELLA CAPPELLA SISTINA (XVIII)
LA GENESI (Parte Seconda)
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Creazione di Adamo
Ricollegandomi a quanto parzialmente accennato in precedenza : ALLA SCOPERTA DELLA CAPPELLA SISTINA (XIII) La volta: La Creazione di Adamo – La Creazione di Eva International Web Post - International Web Post illustro, di seguito, ulteriori dettagli e curiosità.
La Creazione di Adamo è un affresco (280x570 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1511 circa e facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma, commissionata da Papa Giulio II. Si tratta dell’episodio più celebre e conosciuto della Sistina e una delle icone più note e celebrate dell’arte universale, oggetto di innumerevoli citazioni, omaggi e parodie.
Per l’affresco furono necessarie sedici "giornate", a partire dal gruppo dell’Eterno e degli angeli, per i quali il disegno del cartone venne trasferito con lo spolvero, tranne la tunica, oggetto di incisioni dirette. Adamo, la cui figura venne studiata con cura, venne invece riportato sull’intonaco con la sola incisione diretta.
Su uno sfondo naturale spoglio e poco caratterizzato, simboleggiante l’alba del mondo sta semidistesa la figura giovane e atletica di Adamo, che da un pendio erboso, quasi sul ciglio di un abisso, fa per sollevarsi da terra, tendendo un braccio verso l’Eterno, che si avvicina in volo entro un nimbo angelico. Dio, con la veste purpurea, è circondato, secondo la tradizione iconografica, da un gruppo d’angeli, ma al posto degli stereotipati serafini e cherubini (sebbene vengano rappresentati in modo diverso dalla Bibbia, infatti i Serafini hanno 6 ali e invece i Cherubini hanno sembianze animalesche), Michelangelo rappresentò delle figure reali, impegnate in uno sforzo come per sollevare il nimbo e composte in varie attitudini e atteggiamenti, con un trattamento differenziato in termini di illuminazione e nitidezza che amplifica, per contrasto, quelle in primo piano.
Straordinaria è l’invenzione degli indici alzati delle braccia protese, un attimo prima di entrare in contatto, come efficacissima metafora della scintilla vitale che passa dal Creatore alla creatura forgiata, di straordinaria bellezza che riflette la perfezione e la potenza divina, ridestandola. Tale gesto fu forse ispirato dalla fiorentina Annunciazione di Cestello di Sandro Botticelli. Il momento così immortalato acquistava un valore eterno e universale, sospeso in un trepidante avvicinamento che non avviene, ma è già perfettamente intellegibile. Alcuni pensano che il contatto che non avviene tra le due dita sia voluto, per sottolineare l’irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell’uomo.
Adamo, dal corpo definito con notevole perizia anatomica, poggia il braccio sul ginocchio piegato, in un perfetto effetto di risveglio: solleva lentamente il corpo e alza il dito ancora incerto verso quello assolutamente fermo di Dio. La figura del primo uomo presenta morbidi trapassi chiaroscurali, che però, tramite il ricorso a tonalità brillanti, rendono un forte risalto scultoreo. Il suo volto, di profilo e leggermente ruotato all’indietro, è quello di un adolescente, senza un’espressione definita, che si contrappone all’intenso ritratto di Dio Padre, maturo e carico d’energia, con la capigliatura grigia e una lunga barba con baffi fluttuante nell’aria. L’occhio di Adamo non è dipinto, ma è ricavato direttamente "rialzando" l’intonaco ancora fresco, così da creare un gioco di ombre.[3] Per l’Adamo, Michelangelo si ispirò, come fece per la Creazione di Eva, alla formella scolpita da Jacopo della Quercia per la Porta Magna della Basilica di San Petronio a Bologna. La posa di Adamo venne studiata in un foglio a carboncino nero e sanguigna, oggi al British Museum di Londra.
Sotto la gamba di Adamo sporge la mano di uno degli Ignudi, i giovani che siedono agli angoli dei pannelli narrativi.
Il gruppo divino è inserito in un grande manto rossastro, gonfio di vento, che abbraccia l’Eterno e gli angeli con una curva dinamica, che per alcuni studiosi ricorda la forma di un cervello umano, che sottolineerebbe il concetto di "idea" divina, per altri una conchiglia. Un gruppo di ricercatori italiani, in un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Mayo Clinic Proceedings, ha accostato la sagoma del "mantello" raffigurato nell’affresco con una sezione anatomica di utero post-partum, ottenendo una suggestiva sovrapposizione. La corrispondenza dei dettagli anatomici, sorprendente per l’esattezza, non può essere ritenuta casuale, ma si spiegherebbe solo in virtù della profonda conoscenza anatomica che Michelangelo aveva acquisito attraverso una consolidata esperienza di dissezioni su cadavere praticate durante il periodo trascorso presso la Basilica di Santo Spirito a Firenze. Già Adrian Stokes nel 1955 aveva parlato di "uterine mantle" e il Professor Andrea Tranquilli aveva intuito che il mantello fosse la rappresentazione di un organo cavo di colore rosso deputato alla "creazione"Secondo altre interpretazioni l’immagine che comprende il gruppo di Angeli con Dio al centro sarebbe una sezione anatomica dell’emisfero destro del cervello umano , tale raffigurazione anatomica potrebbe avere un significato riconducibile alle concezioni neoplatoniche concernenti l’unità dell’uomo con Dio
Creazione di Eva
Ricollegandomi a quanto parzialmente accennato in precedenza: ALLA SCOPERTA DELLA CAPPELLA SISTINA (XIII) La volta: La Creazione di Adamo – La Creazione di Eva International Web Post - International Web Post illustro, di seguito, ulteriori dettagli e curiosità
La Creazione di Eva è un affresco (170x260 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1511 circa e facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma, commissionata da Giulio II.
La scena venne dipinta dalla testa di Adamo dormiente col braccio e una parte dell’albero (prima giornata), poi il resto del suo corpo (seconda giornata), Eva e il paesaggio (terza giornata) e infine il Creatore. Michelangelo usò dei cartoni che vennero riportati con la tecnica dello spolvero.
Ascanio Condivi, nella biografia di Michelangelo (1550), la descrisse così: «della costa d’Adamo ne trahe la donna, la quale fù venendo à mani giunte, et sporte verso Iddio, inchinatasi con dolce atto, par che lo ringratie, et che egli lei benedica»[2].
La Creazione di Eva è il riquadro al centro dell’intera volta, dove per la prima volta Michelangelo dipinse la figura dell’Eterno, poi protagonista di tutte le altre scene verso l’altare. Essa fa parte del gruppo delle tre storie dei progenitori, al centro tra le tre storie della Creazione del mondo e le tre storie di Noè.
La preminenza data ad Eva dalla posizione centrale è spiegabile con la lettura simbolica delle scene come prefigurazioni del Nuovo Testamento. Essa era spesso indicata come simbolo di Maria, che a sua volta simboleggiava nella tradizione teologica la Chiesa. La creazione di Eva dal costato di Adamo era quindi paragonabile alla nascita della Chiesa dal sangue del costato di Gesù crocifisso. La centralità di questo messaggio era sottolineata anche dalla raffigurazione vicina di Ezechiele, che parlò della nascita della Vergine, della visione di un tempo contaminato dal peccato e abbandonato da Dio al quale seguirà la costruzione di un nuovo Tempio, e della Sibilla Cumana, che nella IV Egloga di Virgilio predice la venuta di un bambino che avrebbe dato origine a una nuova "Età dell’oro".
Adamo è disteso nell’angolo inferiore a sinistra, con una posizione diagonale, più o meno perpendicolare a quella del corpo di Eva che si alza, sollecitata da un gesto eloquente dell’Eterno in piedi davanti a lei (nelle altre scene invece Dio è sempre in volo). Dio, avvolto in un ampio mantello violaceo, che lascia appena scorgere la tunica violetto che indossa nelle altre scene, ha uno sguardo intenso e alza il braccio destro, che, come negli altri episodi, è il vero motore dell’azione. Il braccio alzato sembra infatti guidare Eva verso l’alto, mentre essa emerge gradualmente con le mani giunte benedicenti, da Adamo disteso addormentato. La composizione è resa particolarmente efficace da un gioco di linee perpendicolari e parallele: il corpo di Adamo è parallelo allo sporgenza rocciosa e al braccio divino, mentre quello di Eva appare come continuazione del braccio disteso di Adamo, parallelo al tronco secco. Le teste dei protagonisti sono disposte poi su un unico asse che attraversa diagonalmente l’intera scena. I corpi dei progenitori appaiono come quelli di adolescenti, diversi da quelli di atletici adulti nella scena del Peccato originale.
Da un punto di vista stilistico, la figura di Dio riprende lo spessore monumentale ed eroico delle figure di Masaccio (nella cappella Brancacci) o di Giotto (nella cappella Peruzzi). Originale è invece la capigliatura e la barba bionda del Creatore, grigia negli altri episodi. La scena della Creazione di Eva ha come precedente iconografico più vicino la formella della Porta Magna nella Basilica di San Petronio a Bologna di Jacopo della Quercia, studiata da Michelangelo anni prima e probabilmente rivista nel 1511, in cui i tre protagonisti hanno una collocazione molto simile.
Il paesaggio è spoglio e sintetico: si vede un lembo di mare sotto un cielo azzurro chiaro e un prato verde, mentre il primo piano è composto da un gruppo di rocce digradanti verso destra con un albero secco a cui è appoggiato Adamo.
Alcuni piccoli pentimenti sono stati rilevati attorno alla testa di Adamo, nei rami dell’albero secco, nei capelli e nel corpo di Eva.
Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre
Il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre è un affresco (280x570 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1510 circa e facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma, commissionata da Giulio II.
La scena venne dipinta in tredici giornate, a partire dall’angolo in alto a sinistra, dove si trovano le foglie dell’albero, create con pennellate larghe e fluide.
L’affresco è diviso in due metà dall’Albero della conoscenza del Bene e del Male, più o meno al centro. A sinistra, entro uno spazio delimitato dalle fronde dell’albero e dalla lieve diagonale creata dalle rocce sul terreno, sullo sfondo di un cielo limpido e luminoso avviene la scena del Peccato originale, in cui il serpente tentatore, qui raffigurato parzialmente trasformato in una figura femminile (sviluppando la tradizione che gli assegnava di solito una testina umana), convince Eva a prendere un frutto proibito, porgendoglielo, mentre Adamo sembra allungarsi per prenderne un altro.
I due progenitori sono nudi ed estremamente atletici, compresa Eva che ha, specialmente nelle braccia, quella muscolarità mascolina tipica delle donne michelangiolesche.
A destra invece il paesaggio muta bruscamente diventando estremamente spoglio e desolato. Qui l’angelo sta cacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, minacciandoli con la spada. I loro corpi appaiono improvvisamente rattrappiti e invecchiati, con drammatiche smorfie di dolore sui loro volti che sviluppano l’espressivismo della Cacciata dei progenitori dall’Eden di Masaccio; anche il paesaggio diventa spoglio e arido, in contrasto col giardino verde e fronzuto dell’Eden.
Notevole da un punto di vista compositivo è il gesto complementare e simmetrico del diavolo tentatore e dell’angelo, sull’asse dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
Nella lettura a ritroso degli episodi della Genesi come prefigurazione degli avvenimenti della Settimana Santa, la scena simboleggia la Crocifissione di Gesù, col Lignum vitae dell’Albero, messo non a caso al centro, che fu lo stesso, secondo la tradizione, con cui venne fatta la Vera Croce.
Particolarmente efficace è stato il restauro su questa scena, che ha ridato pieno valore ai contrasti tra toni caldi e freddi e ad altri valori pittorici, come le variazioni di modellato, ad esempio morbido e basato su lievi trapassi per Eva prima del peccato, mentre è duro e fitto nel tentatore, particolarmente evidente nelle spire della coda che hanno un effetto a squame cangianti, dal giallo al verde al rosso.
Squillante è il manto rosso dell’angelo, mentre l’incarnato dei progenitori dopo la cacciata è ottenuto tramite una base di ocra, terra d’ombra e bianco, su cui sono state applicate velature di terra d’ombra e terra nera.
Sacrificio di Noè
Il Sacrificio di Noè è un affresco (170x260 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile
Il Sacrificio di Noè fa parte delle nove Storie della Genesi, in particolare è la terz’ultima della serie, la prima delle tre Storie di Noè, sebbene esso dovrebbe seguire, e non precedere, la scena successiva del Diluvio Universale. Ciò è forse legato a motivi di lettura simbolica delle scene, ma più probabilmente fu innanzitutto legata al desiderio di riservare al Diluvio uno dei riquadri maggiori.
Queste scene andavano a comporre un mosaico delle storie dell’umanità "ante legem", prima cioè di Mosè (le cui storie si trovano nei riquadri alle pareti opera di artisti quattrocenteschi). Ciascuna di queste scene della Genesi aveva inoltre una lettura a ritroso legata alla prefigurazione della Settimana Santa, le cui solenni celebrazioni avevano luogo nella cappella e prevedevano una processione che dall’ingresso cerimoniale arrivava all’altare.
La scena mostra il sacrificio che Noè compì dopo essersi salvato con l’arca dal diluvio, riappacificandosi con Dio: si tratta di un momento fondamentale nelle storie della Salvezza, poiché dai discendenti di Noè verranno le generazioni che condurranno il popolo d’Israele fino alla liberazione dalla schiavitù e alla venuta di Cristo.
L’affresco, dalla composizione nitida e piuttosto ordinata, riprende lo schema dei rilievi antichi (Suovetaurilia), con il sacrificio al centro verso cui convergono gli inservienti con gli animali al seguito: due arieti, un toro, due cavalli, addirittura un elefante, appena visibili sullo sfondo. Il patriarca indossa la stessa tunica rossa che si vede anche nella scena di fondo dell’Ebbrezza di Noè. A destra si vede l’anziana moglie di profilo, forse opera dei collaboratori, per i contorni più rigidi e un modellato più sommario. Stesso discorso vale per la giovane a sinistra vestita di verde, che sta aiutando ad accendere il fuoco sull’ara con una torcia e si protegge il volto con una mano: si tratta di una citazione di un sarcofago romano con la storia di Melagro.
In primo piano si vedono un ragazzo che porta una fascina di legna da ardere e un giovane che, seduto nudo su un ariete appena sgozzato, sta prendendo dalle mani di un altro le interiora di un animale per vaticinare. Un altro giovane invece, pure nudo, è di spalle con la testa rivolta all’apertura col fuoco dentro l’altare, per controllarlo come se fosse una fornace e forse soffiarci per aizzarlo.
Diluvio universale
Il Diluvio Universale è un affresco (280x560 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1508-1510 circa e facente parte della serie di affreschi della volta della Cappella Sistina, nel Palazzo Apostolico del Vaticano a Roma, commissionata a Michelangelo dal papa Giulio II.
Il Diluvio fa parte delle nove Storie della Genesi, in particolare è la penultima della serie, a metà delle tre Storie di Noè degli ultimi riquadri. Queste scene andavano a comporre un mosaico delle storie dell’umanità "ante legem", prima cioè di Mosè (le cui storie si trovano nei riquadri alle pareti opera di artisti quattrocenteschi). Ciascuna di queste scene della Genesi aveva inoltre una lettura a ritroso legata alla prefigurazione della Settimana Santa, le cui solenni celebrazioni avevano luogo nella cappella e prevedevano una processione che dall’ingresso cerimoniale arrivava all’altare. In questo sistema di concordanze il Diluvio rappresentava il Battesimo di Cristo: come l’acqua del battesimo cancella i peccati, così l’acqua del diluvio purificò il mondo dai peccatori. L’Arca di Noè era poi simbolo della Chiesa stessa: essa è di legno, come il legno della Croce, e analogamente ad esso è un mezzo di salvezza.
A differenza delle scene successive, vi sono raffigurate circa sessanta figure, relativamente piccole. I personaggi spesso nudi, sono, raggruppati e distribuiti lungo direttrici diagonali che accentuano la profondità prospettica. Secondo l’interpretazione dell’episodio fornita da Ugo da San Vittore, l’umanità si divise in tre gruppi umani, ciascuno visibile nell’affresco michelangiolesco. I giusti trovano posto nell’arca (quindi nella Chiesa) e vi trovano la Salvezza; i reprobi tentano di assalirla; il resto delle persone, pur non essendo malvagie, sono perduti per via del loro attaccamento alle cose del mondo, che causeranno la loro fine. Questi ultimi sono la schiera di persone in primo piano che cerca rifugio sulla terra ferma, portando vistosamente i propri beni: alcuni cercano di salire sugli alberi, altri hanno sulle spalle o i propri figli o i familiari. Di essi fanno parte anche le figure sull’isolotto di destra, dove spicca il commovente gruppo dell’anziano genitore che con forza titanica e grande fatica porta in braccio il corpo stremato del figlio. In generale sembra che quest’ultima tipologia di figure abbia la consapevolezza della loro sorte, accettandola dolorosamente ma con rassegnazione, cercando piuttosto di aiutare i più deboli, per quanto possibile.
I reprobi invece sono visibili anche sulla barchetta al centro, mentre litigano l’uno contro l’altro per impedire ad altri di imbarcarsi e rischiando l’affondamento; un altro gruppo cerca di dare assalto all’arca, con una scala o con un’accetta per fare a pezzi lo scafo. Ma niente sembra turbare la grandiosa imbarcazione, simile a una cittadella, sulla quale è già discesa la colomba dello Spirito Santo e Noè vi si affaccia, a sinistra, per vedere il segno divino di un raggio di sole, al centro del cielo come un disco dorato.
Le prime cinque "giornate" (su un totale di ventinove) riguardarono le figure sull’isolotto a destra, che sono condotte a secco (i due personaggi in primo piano a destra del barilotto) o comunque non a "buon fresco" (il giovane nudo sdraiato al centro). Dopodiché dovettero aver luogo i contrasti con gli assistenti, che vennero licenziati, e l’artista dovette procedere da solo, a "buon fresco". Tra queste parti alcune hanno una maggiore freschezza, eseguite dal maestro, mentre altre sono più impacciate, legate alla preoccupazione di seguire attentamente il disegno del cartone, con un modellato più debole e una minore ricchezza nelle pennellate.
Nonostante gli scarti qualitativi, essi non sono sufficienti ad attenuare l’effetto della grandiosa invenzione compositiva.
Ebbrezza di Noè
L’Ebbrezza di Noè è un affresco (170x260 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1508-1510 circa e facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma, commissionata da Giulio II.
L’Ebbrezza di Noè fa parte delle nove Storie della Genesi, in particolare è l’ultima della serie, che conclude anche le tre Storie di Noè degli ultimi riquadri. Queste scene andavano a comporre un mosaico delle storie dell’umanità "ante legem", prima cioè di Mosè (le cui storie si trovano nei riquadri alle pareti opera di artisti quattrocenteschi). Ciascuna di queste scene della Genesi aveva inoltre una lettura a ritroso legata alla prefigurazione della Settimana Santa, le cui solenni celebrazioni avevano luogo nella cappella e prevedevano una processione che dall’ingresso cerimoniale arrivava all’altare. L’Ebbrezza di Noè era infatti letta, fin da sant’Agostino, come immagine profetica del Cristo deriso, inoltre la piantagione della vigna, visibile nella parte sinistra, era un simbolo dell’Incarnazione.
Il racconto biblico racconta come Cam vide il padre Noè ebbro per i frutti della vite, che giaceva nudo e scomposto, avvisandone i fratelli. Sem e Iafet allora giunsero per coprirlo usando un mantello e camminando a ritroso per non essere costretti a vedere le sue nudità. Michelangelo ambientò la scena in una capanna di legno, col corpo del patriarca, ebbro e assopito, in posizione distesa su un giaciglio leggermente rialzato da assi lungo il margine inferiore. Vicino a lui si trovano due citazioni del quotidiano, una brocca e una ciotola. La metà destra è occupata dai suoi figli che si accorgono dell’accaduto e fanno per coprirlo, nonostante essi stessi siano nudi. Al centro, sotto la capanna, campeggia un grosso tino. Per il gesto di derisione compiuto da Cam, che lo indica col dito, Noè, al suo risveglio, ne maledirà la stirpe: questa condizione di reprobo è legata anche all’aspetto molliccio e arrotondato del suo corpo, mentre i suoi due fratelli hanno corpi atletici e intonati a gesti eroici.
All’esterno, sulla sinistra, ha luogo la scena precedente, dove si vede Noè di nuovo al lavoro per dissodare la terra dove pianterà la vigna. La sua figura, nell’episodio sullo sfondo, ha una tunica rosso sangue, che venne dipinta nell’ultima delle "giornate" e di getto, senza ricorso al cartone, con il ricorso a leggerissime velature di colore.
(Fine)
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