LA FALSA ARCHITETTURA DELLE SCELTE DI FACEBOOK

La sua mania di controllo

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cms_24710/1.jpgLa consapevolezza di come operino alcune piattaforme social nell’indirizzare le nostre scelte potrebbe essere d’aiuto a molti utenti nel valutare attentamente cosa dire e pubblicare sul proprio profilo o a sviare i tentativi subdoli degli algoritmi nel dettare le nostre azioni presenti e future. Dietro la parvenza di autonomia delle scelte che Facebook sembra dare ai propri utenti, vi è un più generale interesse al controllo di tutti colori che abitano lo spazio social della piattaforma di Zuckerberg. Il senso di autonomia che per esempio Facebook sembra dare ai propri utenti, in realtà si basa intorno a una rete di controllo di ciò che noi facciamo. Le modalità con cui Facebook opera in questo senso sono di natura dicotomica, ovvero si basano su dei cosiddetti “pungoli” indotti, relativi uno a promuovere un certo attivismo e un altro a sollecitare invece passività, per cui l’utente viene manovrato dalla piattaforma ad assumere una data modalità senza che l’utente stesso ne abbia contezza. Ciò avviene, per esempio, nel condurre l’individuo a un’inerzia comportamentale che permette di rispondere a determinate domande relative alla propria privacy con un sì o con un no, senza lasciare spazio a commenti, dubbi, incertezze, inducendo così alla passività l’utente. Vi sono poi i pungoli opposti, ovvero quelli che stimolano l’attivismo dell’utente, e sono le funzionalità e gli strumenti offerti dalla piattaforma stessa come “condividi, commenta, mi piace, aggiungi agli amici, segui, tagga, ecc.”, i quali facilitano l’utilizzo della piattaforma, suscitando l’idea nell’utente di autonomia e controllo delle proprie azioni.

cms_24710/2_1644125212.jpgÈ solo però una sensazione perché l’utente è pungolato all’utilizzo di strumenti proposti dalla piattaforma stessa perpetuando la formula base su cui si regge Facebook e non solo, ovvero mantenere uno stimolo attentivo costante nell’utente attraverso l’utilizzo del pungolo dell’attività indotta, cosicché rimanga più tempo possibile all’interno della piattaforma. Indurre l’individuo a reagire costantemente è semplice perché si basa sulla facilità di influenza che altri esseri umani hanno sui loro simili, pertanto la continua sollecitazione provocata dalle notifiche induce l’utente a reagire perché pungolato socialmente e sappiamo bene che se non si fa parte di un circuito come un social network significa non esistere. Sono infatti i più giovani a esibire un profilo su più social per testimoniare il possesso di un fondamentale documento d’identità per il riconoscimento sociale. Facebook però non si accontenta di una semplice induzione ad agire per indurre l’utente a provare timore dell’isolamento, ma usa tecniche ancor più infallibili per personalizzare sempre più i contenuti e pungolare a stimolare le persone, come per esempio, a conoscerne altre (“persone che potresti conoscere”) attraverso un algoritmo che mette in connessione amici e semplici conoscenti basandosi su interessi comuni e attività indotta da Facebook (numero di like, condivisioni, ecc.). Facebook, come esempio di social generalista e maggiormente abitato, esercita un controllo sia sui contenuti ugc (User Generated Content), sia su quelli che una volta pubblicati scompaiono dalle nostre bacheche (per nostra scelta eliminando i tag per esempio), ma rimangono poi in memoria nei database di Zuckerberg.

cms_24710/3.jpgProseguendo vi è poi la spinosa questione della privacy che, come spesso accade, viene accettata passivamente e non è negoziabile, in quanto l’utente può solo accettarla così com’è. Del resto la colpa di tale comportamento è spessissimo di noi individui che preferiamo accettare passivamente i termini della privacy proposti, piuttosto che informarci (induzione alla passività). L’obiettivo diventa dunque quello di stimolare l’utente affinché riempia la piattaforma di informazioni utili a terzi, portando a credere che sia lui a detenere il controllo delle sue azioni quando invece è la piattaforma, deus ex machina dell’architettura delle nostre decisioni, a esercitare un controllo sugli utenti. Facebook e i suoi accoliti, oltre alle altre piattaforme dell’universo social, sono luoghi di scelta che influenzano le nostre decisioni fornendo all’utente l’apparenza di averne il controllo d’azione. Su questa base a influenzare molte delle nostre scelte operano i cosiddetti bias cognitivi causati sì dalla pigrizia mentale dell’utente social, ma anche dalla proliferazione di stereotipi e preconcetti che rendono la realtà ben poco oggettiva. Non ci rimane altro che assumere un atteggiamento critico nei confronti delle piattaforme in cui mettiamo in mostra dati e informazioni personali, azione fondamentale per detenere il controllo di siti, i social, da considerare non come neutri e semplici luoghi di aggregazione, ma anche come agenti plasmanti e forgianti dell’identità, dei pensieri e delle nostre scelte.

Andrea Alessandrino

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