ALLA SCOPERTA DEI MUSEI D’ITALIA

La Galleria Borghese

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cms_24918/1.jpgLa Galleria Borghese è un museo statale italiano, con sede nella villa Borghese Pinciana a Roma. Ospita tuttora gran parte della collezione d’arte iniziata da Scipione Borghese, cardinal-nipote di Paolo V, cui si deve anche la costruzione della villa stessa.

Vi sono esposte opere di Gian Lorenzo Bernini, Agnolo Bronzino, Antonio Canova, Caravaggio, Raffaello, Perugino, Lorenzo Lotto, Antonello da Messina, Cranach, Annibale Carracci, Pieter Paul Rubens, Bellini, Tiziano. Si può considerare unica al mondo per quel che riguarda il numero e l’importanza delle sculture del Bernini e delle tele del Caravaggio.[2].

È di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali, che dal 2014 l’ha annoverata tra gli istituti museali dotati di autonomia speciale.[3]

La villa

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Alla fine del XVI secolo i Borghese, una ricca famiglia di Siena, acquisirono un terreno a nord di Roma, fuori Porta Pinciana, per creare gradualmente un immenso parco. Nello stesso periodo la famiglia Borghese estese la sua influenza nell’aristocrazia romana, soprattutto quando Camillo Borghese fu eletto Papa nel 1605 con il nome di Paolo V. La famiglia cominciò allora a costruire una villa nel suo parco del Pincio[4].

Il progetto iniziò nel 1607 e fu affidato all’architetto Flaminio Ponzio, che aveva già lavorato per i Borghese nel loro palazzo urbano sulla sponda sinistra del Tevere. L’architetto Giovanni Vasanzio fu incaricato di completare i lavori dopo la morte di Ponzio, avvenuta nel 1613, mentre i lavori dei giardini, opera di Carlo Rainaldi, continuarono fino al 1620. Già nel marzo 1613 opere della importante collezione raccolta dal Cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, vennero trasferite dal palazzo Dal Borgo, dove vissero i fratelli del papa, alla villa del Pincio[5][6]. Lo stile architettonico trae ispirazione da Villa Medici e dalla Villa della Farnesina, con un portico che si apre sui giardini. Villa Borghese fu poi decorata nello stile del XVI secolo. L’intera facciata fu impreziosita da 144 bassorilievi e da 70 busti. Le finestre numerose e la distribuzione delle stanze sono state progettate per favorire una buona visione delle opere. Lodovico Cigoli dipinse alcuni affreschi, tra cui la Storia di Psiche.

Nel 1770 Marcantonio IV Borghese, desiderando rinnovare l’interno della villa come è tuttora, ne incaricò Antonio Asprucci che ingaggiò maestranze per eseguire affreschi, stucchi e decorazioni in marmo policromo. La maggior parte dei dipinti rappresenta la storia della famiglia: dal mitico eroe romano Marcus Furius Camillus ai Borghese dell’epoca.

La Villa all’interno della quale è ospitata la Galleria Borghese è composta di un piano terra in cui, dal salone d’ingresso Mariano Rossi (dal nome del pittore che ne ha decorato la splendida volta), sarete condotti attraverso le altre 8 sale, ciascuna con un nome e un tema specifico. Salendo al primo piano troverete altre 12 sale e un vestibolo, e infine all’ultimo piano ci sono i Depositi, una vera e propria "seconda pinacoteca" all’interno del museo: qui sono conservati i circa 260 dipinti disposti su due livelli, il quale conservano alcune grandi tele di ambito raffaellesco come la Madonna con Bambino di Scipione Pulzone che, non hanno trovato la giusta collocazione all’interno della ristrutturazione settecentesca dell’architetto Antonio Vesprucci. Il salone centrale è dominato dalla grande tela di Lavinia Fontana raffigurante Minerva in atto di abbigliarsi. Lungo le pareti vi sono quadri cinquecenteschi e seicenteschi, e, al piano superiore, tra gli altri, il Cristo flagellato di Giovanni Baglione, il biografo del Caravaggio. Attenzione però perché le visite dei Depositi seguono turni differenti rispetto alle collezioni della Galleria.

Naturalmente non si può non visitare il grande giardino intorno alla Villa che è il parco più famoso di Roma, e l’Uccelliera, una struttura adiacente risalente alle prime costruzioni del complesso. Il padiglione è stato realizzato tra il 1617 e il 1619 eportato a termine sotto la guida dell’architetto Giovanni Vasanzio, il fiammingo Jan Van Santen. I locali dell’Uccelliera, così come gli spazi dell’adiacente giardino segreto di Tramontana, ospitano, in alcuni periodi dell’anno.

Le opere sono esposte nelle 20 sale affrescate che, insieme con il portico e il Salone di ingresso, costituiscono gli ambienti del Museo aperti al pubblico. Oltre 260 dipinti sono custoditi nei Depositi della Galleria Borghese.

Il museo

Nel 1891 tutti i dipinti conservati nelle dodici sale della quadreria di Palazzo Borghese in Via Ripetta[7] vennero portati al piano nobile della Villa Borghese Pinciana[8]. Nel 1902 venne trasformata in museo, a seguito dell’acquisizione da parte dello Stato italiano delle raccolte facenti parte del Fidecommisso Borghese. Primo direttore della Galleria Borghese fu Giovanni Piancastelli (1845-1926)[9] a cui succedette nel 1906 Giulio Cantalamessa, già direttore delle gallerie dell’Accademia di Venezia[10].

Chiusa nel 1983, la galleria ha subito un restauro completo durato quattordici anni, ripristinando l’aspetto originale dell’esterno dell’edificio con gli intonaci, le statue e la scalinata con due rampe.

La galleria è stata riaperta nel giugno 1997.

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Nell’entrare (dall’ingresso originale) si viene immediatamente travolti dalla maestosità della sala d’ingresso dipinta da Mariano Rossi, tanto da pensare che tutto il museo sia cosi imponente.
Ma nel corso della visita si scopre che le altre sale pur bellissime e ricchissime sono molto più intimi e discrete perfette per metterci a nostro agio durante la visita. Infatti solo la prima sala aveva lo scopo di glorificare i fasti del casato dove i suoi componenti sono raffigurati nello splendido affresco epico nel soffitto.
In essa vi si trovano tante opere d’arte da Augusto primo imperatore, agli antichi mosaici raffiguranti la vita dei gladiatori romani.
Ma l’opera più significativa è il Marco Curzio a cavallo. Il Cardinale Scipione venuto in possesso di una statua romana raffigurante un cavallo privo di testa e di gambe, incaricò lo scultore Pietro Bernini del suo restauro.
Lo scultore non solo la restaurò ma vi aggiunse la figura dell’eroe Romano Marco Curzio nella sua groppa.
Il lavoro fu talmente ben riuscito che nessuno anche oggi saprebbe riconoscere le parti antiche e quelle moderne.

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Oltrepassata la sala ci si trova in quella chiamata sala degli enigmi e delle prove in quanto chi entra appunto viene messo alla prova delle sue capacità di capire e di distinguere un insieme di opere d’arte talmente diverse tra loro da non avere nessun nesso logico, all’apparenza tutto sembra al proprio posto, ma subito ci si immerge in un profilo di statue, busti, basso rilievi, che ci portano nel mondo antico, ma è un inganno, le cose che sembrano antiche sono moderne e le cose che sembrano moderne sono in realtà antiche.

Chi entra viene subito ammaliato dalla bellezza di Paolina Borghese sorella di Napoleone scolpita dal grande artista del 700 Antonio Canova. Essa è raffigurata nelle sembianze di Venere vincitrice, con la mela, simbolo del trionfo, in mano. Tutti restano affascinati dalla sua bellezza e nessuno nota uno dei più grandi capolavori di suoi tempi: l’Erma di Bacco di Luigi Valadier. Opera in bronzo e marmi preziosi.

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Da qui si passa nella sala del David del Bernini del 1624. Questo è un suo autoritratto, non solo perché ha il suo viso, ma anche perché il suo autore come il David è pronto alle sfide del mondo, contratto orgoglioso coraggioso proprio come il David nell’ attimo in cui scaglia la pietra sul gigante Golia. Nella sala si trova un’altra opera d’arte eccelsa l’antico sarcofago romano del 2° secolo dopo Cristo, diviso in due sezioni con la rappresentazione delle fatiche di Ercole.

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Lasciata la sala del David si passa a quella di un altro capolavoro del Bernini: Apollo che afferra la ninfa Dafne nell’istante in cui essa per sfuggirgli si trasforma in un albero di alloro. Tutto il gruppo statuario è imperniato da un senso assoluto di leggerezza che si contrappone alla pesantezza della materia e del marmo stesso.

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Nella stanza vi è un’altra versione della storia, nel quadro di Dosso Dossi del 1520, in versione pittorica che è completamente differente da quello del Bernini. Apollo è lontanissimo dalla ninfa è la guarda con sguardo sognante con in mano uno strumento musicale, opera più improntata ai valori romantici che a quelli dell’età classica.

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Nella parete opposta, un altro quadro dell’artista del 500: La maga Circe che guardi verso l’alto, verso la volta dove vi è un ulteriore versione della storia.

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Dopo aver ammirato queste bellissime opere si passa alla sala degli imperatori, una vera e propia enciclopedia dell’età classica con tanti personaggi dagli imperatori avvolti in marmi preziosi, agli altorilievi che raccontano le gesta degli dei dell’olimpo alle pareti e sul soffitto la storia di Galatea e Polifemo.

Al centro della galleria si trova con tutta la sua magnificenza il gruppo statuario del ratto di Proserpina con la sua forza espressiva e la delicata potenza dei corpi, dei muscoli e della morbida pelle, scolpiti in maniera eccelsa. Fantastiche le delicatissime e morbide carni di Proserpina che affondano tra le dita possenti di Plutone. Un gruppo statuario in cui la prospettiva cambia continuamente dalla posizione da cui si osserva e il cane Cerbero con le sue tre teste sembra darci la dimensione dello spazio e con esso il modo esatto da cui osservarla.

Da questa magnifica sala si passa in una più piccola dove ci accoglie una copia della famosissima statua del 2° secolo l’Ermafrodita, Il quale a sua volta non è l’originale della collezione Borghese, essendo stata venduta nel 1807 insieme ad altre 153 statue,160 busti da Camillo Borghese a Napoleone suo cognato e ora si trovano tutte al museo del Louvre a Parigi.

Lasciata la sala si passa ad ammirare un altro gruppo marmoreo del Bernini:
Enea che fugge da Troia con il padre Anchise e figlio Ascanio
Allegoria delle tre età dell’uomo: giovinezza, maturità e vecchiaia.

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Nella sala si trova anche Il Vassoio coi puttini del 600 che nonostante sia un opera di una bellezza e delicatezza estrema, nulla ci è pervenuto della sua storia e del suo autore.

Da qui si passa nella sala egizia con i suoi geroglifici e le sue pitture, con al centro il gruppo marmoreo del satiro con delfino, statua greca antica con testa del 500.

Dopo la sala egizia troviamo quella del saturo danzante di epoca romana, ma alle pareti vi sono ovunque riferimenti alle vicissitudini del dio Bacco, questo perché in origine qui si trovava la statua del Sileno e Bacco poi finita anch’essa al Louvre.

E’questa la sala del Caravaggio. Qui sono esposte le sei opere più importanti dell’artista. La sua opera giovanile: Il ragazzo col canestro di frutta e nella stessa parete il San Gerolamo e Il San Giovanni. Ma le più famose sono La Madonna dei palafrenieri e il Davide con la testa di Golia, suo ultimo autoritratto. I Palafrenieri del Papa vollero sostituire un vecchio quadro della loro altare in San Pietro, e commissionarono l’opera al Caravaggio. Il quale in questo quadro rappresenta la Vergine che sostiene il figlio Gesù mentre insieme schiacciano la testa del serpente simbolo del peccato originale sotto lo sguardo vigile di santa Marta sua madre, mentre nell’altro famosissimo quadro, c’è l’ultimo autoritratto prima della sua tragica morte, infatti la testa di Golia non è altra che la sua testa da offrire al papa nella speranza del suo perdono dalla condanna a morte, egli non fece in tempo a consegnare il quadro in quanto mori nelle spiagge laziali mentre tornava a Roma.

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Al 2° piano della villa sorge la Pinacoteca,
al centro della quale c’è una bellissima statua di marmo nero Il Sonno dello scultore Algardi rivale all’epoca del Bernini. Vicino si trova il primo lavoro del Bernini: Giove con la capra Almantea che nutri il dio quando venne confinato in un isola deserta per sfuggire al padre Cronos , che lo avrebbe divorato. Il Bernini è ancora presente in tre autoritratti della giovinezza della maturità e della vecchiaia, posti tra due busti praticamente identici del padrone di casa, il Cardinale Scipione Borghese. Sulla volta è raffigurata l’incoronazione di Giove mente alle pareti, tra splendidi altorilievi di marmo giallo degli Dei greci, si possono ammirare una miriade di capolavori dell’arte. Tra la fuga di Enea da Troia di Federico Barocci, il poeta delle luci, considerato l’ultimo quadro del 1500 e la caccia di Diana. Dove una ragazzina guarda insistentemente chi osserva. Un quadro che guarda lo spettatore! Oltre la galleria si trova la stanza di due capolavori di Tiziano: la Venere che benda Amore e L’Amore sacro e l’Amor profano.

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Ci troviamo nel mezzo di una battuta di caccia e il rosso che domina la scena è il colore del sangue. Ma tutto si placca di nuovo con la rassicurante presenza di un gregge che pascola tranquillo col suo pastorello che non si preoccupa della scena di caccia, addirittura gli volge le spalle, ma non solo; egli è indifferente anche alla scena amorosa che si svolge vicino, sicuramente egli conosce sia i cacciatori che gli amanti, conosce tutti e non se ne cura. Inoltre si trova nel bel mezzo della vita (gli amanti) e la morte (la scena di caccia). Al centro del quadro appare un bimbo anch’esso nudo e come tutti in questo quadro indifferente a ciò che lo circonda ma assorto nel suo gioco, come già gli amanti, il pastore e i cacciatori. Il suo interesse è solo nel giocare con l’acqua nel scuoterla muoverla, da ciò si capisce che le lastre di marmo sono i bordi di una vasca. Il bambino è alato, quindi esso è un ambasciatore d’amore, è l’amore che agita l’acqua, acqua che è essenza di vita, quindi è l’amore che da forma alla vita.
Spostando ancora lo sguardo appare una mano racchiusa da un guanto, e ancora più in la una candida veste ci porta al cospetto di una donna completamente vestita che ha fatto dei suoi vestiti un dovere, una necessità, Essa lega la sua nudità alla sfera dell’intimo, proteggendola con le sue candide vesti e tutti gli accessori femminili che la rendono una qualità preziosa da preservare, eccola quindi cinta da lacci merletti e diademi . Ma la storia continua e sulla parte sinistra un cavaliere sul suo cavallo bianco a fretta di arrivare, porta sicuramente un messaggio, si avvicina al borgo con una grande torre, torre imponente, di difesa,
È un borgo poco illuminato da una luce che arriva dal basso, quasi ad indicare che diversamente da quello visto in precedenza, solare e luminoso, questo ha conosciuto la disgrazia, il dolore.
Qui il sole deve ancora sorgere, mentre sull’altro stava dolcemente tramontando. C’è un senso di sventura di dolore nei suoi abitanti mesti, tristi, immobili, sicuramente hanno conosciuto la sofferenza dell’invasione nemica, ma essi non sono spaventati alla vista dello straniero, elegantemente vestito che avanza.
Egli è diverso dai due cacciatori. Questo triste borgo ci dà un profondo senso di sventura, di dolore, accentuato se possibile dalla posa della donna elegantemente vestita. La risposta a tutto questo affanno ci appare al centro del quadro stesso, nel basso rilievo, dove la violenza, solo accennata nei cacciatori esplode.

Grazia De Marco

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