LONDON FASHION WEEK COLLEZIONI FALL-WINTER ‘22/’23

God save the english fashion!

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Prima di addentrarci in tutto quello che non è successo di fashion durante la fashion week londinese è doveroso dirvi che in questo momento storico, dopo due anni di pandemia e con la guerra in Ucraina, non è semplice parlare di cose ritenute “leggere” come il fashion. Questo è il mio lavoro, che ho sempre cercato di fare al meglio, ma questo non vuol dire che il cuore di chi vi scrive non è pesante, carico di preoccupazioni, sia per le vite umane perse, sia per gli scenari economici che ci aspettano e che inevitabilmente toccheranno la vita di tutti noi, sotto tutti i punti di vista: psichico, economico e sociale. Dopo due anni di pandemia che ci ha rubato anni, minuti e secondi della nostra vita, quando si cominciava ad intravedere una luce in fondo al tunnel, ci si è resi conto che quella luce era il treno che ci stava per travolgere: una guerra nel cuore dell’Europa. Il fashion system non si ferma ed è giusto così, perché dopo due anni di pandemia dove il sistema moda si è annullato, paralizzato dalle chiusure, ripartire è un imperativo categorico. In questi giorni così difficili la visibilità mediatica data al fashion system sarà inevitabilmente ridotta, ma credetemi oltre alle sfilate e alle ruches c’è davvero molto di più, c’è il lavoro di migliaia di persone che purtroppo non vedranno riconosciuto il loro lavoro. Detto questo nel pieno della fashion week meneghina, di cui vi parlerò dettagliatamente la settimana prossima, ritornare al nulla delle collezioni viste durante la fashion show londinese non è facile. Sempre più Milano si riconferma, sempre aspettando Parigi, un faro del fashion system a livello internazionale spazzando via New York e Londra. La fashion week londinese è stata, da sempre, considerata il porto franco dove sperimentare senza limiti e pregiudizi, dove essere liberamente creativi ed irriverenti, ma quello che abbiamo visto sfilare quest’anno è stato solo il cattivo gusto, il trash più becero, il genderless più ridicolo e controproducente alla causa, un’inclusione surreale. Da quasi tutte le passerelle il cut-out resta protagonista declinato su abiti, jumpsuit, blazer, top, gonne, pantaloni, ha sfilato una forte voglia di knitwear, di gambe scoperte, di vita bassa, di mood gotico anni ’90, di tanto mood Y2K. La corrente fashion Y2K asce tra la fine degli anni ’90 e il 2001 e predilige outfit monocrome, lucenti, dai tessuti tecnici, sexy, outfit, il più vicino possibile, al mood new-dark. L’assenza dei big del made in England, come è stato per la fashion week newyorkese, non è bastata per far emergere i nuovi talenti, talenti che hanno fatto poco e male per accreditarsi nel fashion system. L’assenza della maison Burberry, che ha posticipato il suo fashion show al prossimo marzo, l’assenza di Victoria Beckham, che non ha reso ancora noto quando, come e se presenterà la sua collezione, la scelta di sfilare in versione digitale della irriverente designer, Vivienne Westwood sono state la pietra tombale sulla fashion week londinese.

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L’atteso debutto di Poster Girl è stato l’esempio lampante, con la sua collezione, dell’amore esplicito per gli anni 2000 e per il mood Y2K. La collezione è un tripudio di jumpsuit second skin, pantaloni a zampa, cut-out, vita bassa, minigonne e una palette colori spiccatamente fluo.

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Un altro designer emergente, ma già abbastanza noto a Londra è Nensi Dojaka, designer fortemente supportata dal designer Alessandro Dell’Acqua, ha portato in passerella molti dei suoi codici stilistici che stanno già conquistando i millennials della City: il tailleur, il velluto, il knitwear, le paillettes effetto wet, il cut-out minimal-chic, una palette colori che si affida al total black e alle nuance neutre come il tortora, il beige, il marrone.

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Halpern porta in passerella una demi-couture sperimentale fatta di outfit che sembrano un atto incompiuto e una curiosa mescolanza di anni’20 e ’70 che nel codice fashion è una dicotomia stilistica. Una mescolanza ardua e che non è riuscita appieno, dando vita ad una collezione confusa e stilisticamente poco originale. Mi preme sottolineare il bustier sopra l’abito che è stato un trend visto anche su molte passerelle milanesi, in particolare su camicie per un risultato very cool, e che si presta ad essere un trend alert del prossimo autunno-inverno.

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La collezione di Richard Queen si rifà agli anni d’oro dell’haute couture parigina con abiti sfarzosi, maxi stampe floreali dal gusto retrò, volumi over, silhouette sexy, tessuti preziosi, strascichi, grandi cappelli, guanti e una palette colori cromaticamente molto satura. A rompere la magia e sotterrare il buon gusto ci pensano gli outfit in latex che diventano una nota stonata in una collezione molto nello stile Richard Queen, per le maxi stampe floreali e per i volumi esasperati.

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La maison Erdem si ispira al gotico anni ’90, ma ripensato con una visione romantica e bon ton. La silhouette è asciutta, androgina che lascia poco spazio alla leziosità, una visione austera del glamour in sintonia con i tempi duri che stiamo vivendo, una visione austera che si riflette anche attraverso una palette colori cupa, pronta ad “assorbire” gli urti della vita quotidiana.

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Anche la collezione di Simone Rocha ha come fil rouge il mood gotico in versione romantica e bon ton caratterizzato da volumi over, pizzi, maxi fiocchi, tulle, paillettes, vinile, stampe a rilievo.

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A chiudere, senza il botto, questa desolante fashion week londinese è stata la designer Vivienne Westwood con un fashion show in versione digitale, a suo dire, per minimizzare l’impatto ambientale dal nome “Wild beauty”. La collezione, che ha preso ispirazione da una sua collezione del 2001, è un omaggio all’anno cinese della tigre e tutta incentrata sul mood di una bellezza selvaggia metropolitana. Molte delle stampe, dipinte a mano, sono ispirate ad alcuni quadri di Matisse, non sono mancate le iconiche stampe tartan ed animalier, ma anche di inedite che richiamano disegni e ricami cinesi.

T. Velvet

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