GLI INQUINANTI UBIQUITARI

La portata devastante dei farmaci sull’ambiante e la ’pharmaceutical education’

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L’esposizione ambientale ai Principi Attivi Farmaceutici (API) ha effetti negativi sulla salute degli ecosistemi e degli esseri umani rappresentando una minaccia per la salute ambientale e globale". Lo afferma un recentissimo e massiccio studio, condotto su scala globale, dell’Università di York in collaborazione con altri 85 Istituti mondiali, pubblicato dalla rivista scientifica statunitense PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) - reperibile su https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2113947119.

Lo studio ha monitorato 1.052 siti di campionamento lungo 258 fiumi in 104 Paesi di tutti i continenti, rappresentando così l’impronta farmaceutica di 471,4 milioni di persone, includendo anche 36 Paesi che, sulla base della banca dati UBA dei farmaci nell’ambiente, non erano mai stati monitorati in precedenza per le API.

La ricerca effettuata sul campo dai gruppi di campionamento ha rivelato che le concentrazioni di API più elevate sono state osservate in: siti di campionamento che ricevono input dalla produzione farmaceutica (ad es. Barisal, Bangladesh e Lagos, Nigeria); siti che ricevono lo scarico di acque reflue non trattate (ad es. Tunisi, Tunisia e Nablus, Palestina); località in climi particolarmente aridi (ad es. Madrid, Spagna) e siti che ricevono le emissioni di camion di scarico delle acque reflue e discariche di rifiuti (ad es. Nairobi, Kenya e Accra, Ghana). I siti con le concentrazioni di API più basse erano tipicamente caratterizzati da: influenza antropica limitata (ad esempio, le Regioni alpine delle Montagne Rocciose e del fiume Ellidaár in Islanda); uso limitato della medicina moderna (ad esempio, un remoto villaggio di Yanonamei in Venezuela); sofisticate infrastrutture per il trattamento delle acque reflue (es. Basilea, Svizzera).

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La maggiore concentrazione su tutti i continenti è relativa a composti legati allo stile di vita o API da banco: caffeina e nicotina (stimolanti e composti per lo stile di vita), paracetamolo (analgesico), cotinina (metabolita di un composto stimolante e lifestyle); naprossene (antinfiammatorio); metronidazolo (antimicrobico); gabapentin (anticonvulsivante) e lidocaina (anestetico).

L’accesso “facilitato” e l’economicità dei farmaci nei Paesi a reddito medio-basso rispetto a quelli a basso reddito, insieme ad infrastrutture limitate per il trattamento delle acque reflue, porta alle più alte concentrazioni di API nei fiumi a livello globale. Le Regioni con un accesso ai farmaci meno regolamentato (ad es., le Regioni in cui gli antibiotici sono disponibili allo sportello) hanno generalmente rivelato una maggiore variabilità e gamma di concentrazioni di API. Questa tendenza è stata particolarmente notevole per i farmaci antibiotici nei paesi africani, che hanno mostrato sia la più alta variabilità (quattro ordini di grandezza) che le concentrazioni (tre volte superiori in media rispetto al continente più vicino) a livello mondiale. Ed infatti, i fiumi in Pakistan, Bolivia ed Etiopia sono tra i più inquinati, con il Rio Seke in Bolivia che si aggiudica il primo posto. Quelli più puliti invece sono in Islanda, Norvegia e nella foresta amazzonica.

cms_25122/2_1646792865.jpgLa portata devastante del massiccio utilizzo dei farmaci, ancorchè ordinariamente preordinato alla cura della persona, è data dal loro essere “inquinanti ubiquitari”, avendo fonti di emissioni diverse, parallele e congiunte nell’ambiente, prima tra tutti, secondo AIFA, “l’escrezione di farmaci dopo l’uso terapeutico umano e veterinario è la porta principale d’ingresso degli stessi nell’ambiente ed è una conseguenza inevitabile del consumo di medicinali e pertanto molto più difficile da controllare”. A ciò si aggiunga, secondo un’indagine della Commissione Europea

(https://ec.europa.eu/transparency/documents-register/detailref=COM(2019)128&lang=it),

lo smaltimento domestico ed industriale, lo spandimento degli effluenti di allevamento; acquacoltura nell’ambito della quale i farmaci vengono spesso somministrati insieme ai mangimi.

Quali dunque i possibili interventi nell’immediato? Certamente, la salvaguardia della salute passa attraverso la salvaguardia dell’ambiente e le modificazioni climatiche sono, senza ombra di dubbio, la principale e più grave emergenza ambientale e sanitaria della nostra era, anche detta “antropocene”, per sottolineare il ruolo dell’essere umano di generare alterazioni tali da compromettere l’esistenza stessa della specie.

Ed allora, la prevenzione primaria deve essere considerata il principale strumento da utilizzare per evitare o limitare danni sanitari e sociali di ampia portata, quanto meno nei Paesi in cui il livello di alfabetizzazione ed il contesto socio-economico lo consentono.

Punto di partenza è l’educazione “civico-farmaceutica”, con l’implementazione anche di quelle buone pratiche già presenti in Europa. Ed infatti, in Svezia, già dal 2003, l’Environmental Department of the Stockholm County Council, ha iniziato a classificare i medicinali in base alla loro capacità ecotossicologica divulgando, a partire “dal basso” ed in modalità “elementare”, le relative risultanze, con la consegna, a tutti i medici prescrittori, di un semplice e schematico opuscolo raggruppato secondo le categorie classiche (antinfiammatori, dermatologici, cardiologici, ecc...), ed a cui vengono associati indici che ne designano l’impatto sugli ecosistemi: ad esempio l’Environmental risk, che associa ai principi farmaceutici il rischio per gli ambienti acquatici. Ai medici svedesi viene anche raccomandato di prescrivere, a parità di efficacia e costi, il prodotto meno inquinante e di informare i pazienti sulle migliori modalità di utilizzo dei farmaci pre e post utilizzo, una sorta di decalogo del buon padre di famiglia (ad es. restituire i prodotti non utilizzati al farmacista, evitare di gettare farmaci nello scarico domestico, portare sempre i contenitori vuoti o scaduti nei punti di raccolta, ecc).

cms_25122/3.jpgBuone pratiche più che conosciute in Italia ma che, giusto per rimanere in tema, noi italiani siamo “stitici” nell’utilizzo e, rispetto alle quali, andrebbe prescritta, in questo caso sì, una massiccia e tripla dose di lassativo educativo che aumenti la capacità di formulare una scala di priorità volta alla tutela del bene comune, alla sostenibilità ed alla garanzia di sopravvivenza per questa e per le future generazioni.

Mirella Rosaria Guida

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