ALLA SCOPERTA DEI MUSEI D’ITALIA
Il Museo Nazionale Romano

Il Museo Nazionale Romano è un museo statale italiano con sede a Roma; ospita collezioni riguardanti la storia e la cultura della città in epoca antica. È di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali, che dal 2016 lo ha annoverato tra gli istituti museali dotati di autonomia speciale.[2]
Originariamente inaugurato nel 1889, il museo aveva sede nelle Terme di Diocleziano e nel contiguo monastero della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, ricavato da strutture appartenenti allo stesso complesso termale. Negli anni 1990 il museo fu oggetto di profonda riprogettazione e riallestimento, che hanno portato alla suddivisione delle opere tra la sede originaria e altre tre sedi espositive:[3][4]
- Terme di Diocleziano (sezioni epigrafica, protostorica e dei grandi monumenti pubblici e funerari)
- Palazzo Massimo (sezione di arte antica e collezione numismatica e di oreficeria)
- Palazzo Altemps (sezione del collezionismo archeologico rinascimentale)
- Crypta Balbi (sezione della storia romana medievale e archeologia urbana, esemplificata dalla cripta stessa).[5]
Terme di Diocleziano
La sede storica sorge sulle rovine delle antiche Terme di Diocleziano, costruite tra il 298 ed il 305/6 d.C. nella zona orientale della città di Roma, tra i colli Quirinale e Viminale. L’area si estendeva in origine su ben 13 ettari. Il complesso termale, una volta che furono tagliati gli approvvigionamenti degli acquedotti durante la guerra gotica (attorno al 538 d.C.), fu abbandonato e subì continue spoliazioni.[8]
All’interno delle antiche Terme sorsero, prima un monastero di Certosini sotto Papa Pio IV (dal 1561). In seguito Michelangelo Buonarroti (1561) e Luigi Vanvitelli (1749) realizzarono la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.[8]
Essa comprende attualmente sculture e materiali funerari o di arredo (giardini esterni, il "Giardino dei Cinquecento" e l’"androne", il "Chiostro di Michelangelo), la "sezione epigrafica", nelle sale precedentemente destinate ai capolavori, e la "sezione protostorica", al primo piano del chiostro. Le antiche sale termali tuttora conservate, sono utilizzate prevalentemente per esposizioni temporanee, in attesa di un definitivo allestimento per i reperti di alcuni importanti scavi urbani. Fanno parte della sede museale anche l’"Aula ottagona", riallestita nel 1991 (sculture provenienti dalle terme romane) e la contigua aula di Sant’Isidoro, ex-chiesa.
Tra i reperti e le opere esposte si possono ammirare:
- Ritratto di Vespasiano
Nella scultorea a tutto tondo romana, esistono due tipologie di ritratti dell’imperatore Tito Flavio Vespasiano: un ritratto più "veristico", quasi "volgare", nella scia del ritratto romano repubblicano, tra i quali il migliore è la testa 629 della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen; un ritratto "ufficiale", di aristocratica intellettualità, tra i quali il più significativo è la testa 330 proveniente da una statua colossale da Ostia conservata al Museo nazionale romano di Roma.La testa di Ostia faceva parte di una statua in parte pervenutaci, scoperta nel Campo della Magna Mater. L’imperatore, che aveva un viso tozzo e i tratti volgari della sua estrazione medio-bassa, è qui fortemente idealizzato, grazie al trattamento superficiale che muove e allarga le superfici conferendo notevole luminosità ed enfasi. Gli occhi, il naso e la bocca si inseriscono nel complesso originando ulteriori effetti chiaroscurali.
Ritratto di Adriano (Museo delle Terme)
L’effigie, della quale si conoscono numerose copie e riadattamenti anche postumi, faceva parte di un busto ufficiale. L’esempio del Museo Nazionale romano ha perduto le spalle, mentre il volto presenta una scheggiatura sul naso, ma per il resto è quasi intatto.
Adriano fu il primo imperatore romano a portare la barba, alla maniera dei filosofi greci, e in quest’opera ha il capo leggermente reclinato a sinistra, con una lieve torsione verso l’alto, che conferisce un tono di decisione e fermezza.
Le superfici sono trattate con grande cura, levigate e uniformi per le guance e la fronte, con passaggi senza rottore alle delicate infossature degli occhi. Anche la barba e i capelli sono trattati con ciocche mosse e striate con finezza, mentre le sopracciglia sono accennate con piccoli tratti.
Vi si possono rintracciare due influenze:
una dall’arte traianea, riguardo all’essenzialità dei tratti che superano il mero verismo e danno un tono fermo e pacato, indice di dignità e autorevolezza del leader; inoltre il ritratto è privo del pathos teatrale tipicamente ellenistico, in favore di un aspetto umano e reale.
una dal classicismo, secondo le inclinazioni filoellene del nuovo imperatore, nella levigatezza delle superfici e nell’assenza di profondi passaggi di luce nel volto.
Ritratto di Gordiano III
In questa opera si nota un abbandono del plasticismo ellenistico in favore di una forma semplificata, stereometrica, con particolari quali i capelli e la barba inseriti con l’incisione (quasi a bulino, come nel ritratto di Alessandro Severo).
Evidenti sono le caratteristiche adolescenziali del ritratto, con un ovale carnoso del volto, col mento appuntito e con fossetta, gli occhi grandi e sporgenti, il naso robusto (oggi danneggiato), le labbra piccole, la calotta dei capelli cortissimi che proseguono nella peluria sulle guance, trattata come le folte sopracciglia e i baffi che spuntano. Il ritratto è caratterizzato da un rendimento metallico, con tagli netti e incisivi (soprattutto negli occhi e nell’insolito disegno delle labbra), come se derivasse da un originale bronzeo
Ritratto di Gallieno
La testa marmorea, raffigura l’imperatore in età matura ed è particolarmente significativa delle tendenze espressive in voga a quel tempo a Roma, sotto l’influenza della singolare personalità di Gallieno. La testa è infatti ispirata all’antica testa di Alessandro Magno di Lisippo, sia nella folta capigliatura a ciocche, sia nella leggera torsione del collo, che nell’espressione rivolta al cielo, che sottintende un’ispirazione divina del sovrano e un contatto diretto, privilegiato col sacro.
Della testa, forse eseguita per il decennale di potere, si conoscono altre repliche a Roma e in Portogallo.
La barba, attributo tipico del filosofo (a differenza del soldato, che è glabro), è corta e trattata a fitti ricci aderenti, di forma globulare. La ricerca di effetti di chiaroscuro è ricca e sapiente, con i morbidi passaggi di luce del volto dominato dalle profonde cavità orbitali e con le labbra sottili e sporgenti.
Sarcofago di Iulius Achilleus
Proviene da via Cristoforo Colombo, scoperto nelle mura Aureliane, ed è un esempio della tipologia di sarcofagi del tardo III secolo con scene bucoliche e pastorali, nei quali si alludeva alla vita paradisiaca nell’aldilà.
Venere di Cirene
Nel 1913, dunque nel periodo in cui la Libia era una colonia italiana fu trasferita in Italia, nell’aula ottagona delle Terme di Diocleziano la statua della Venere di Cirene, proveniente dalla città libica.
Il 30 agosto 2008, l’Italia riconsegnò la scultura alla Libia e l’opera fu collocata allora a Bengasi. La restituzione va inserita nelle azioni che, negli ultimi anni, l’Italia ha perseguito per il ritorno di reperti archeologici esportati illegalmente. L’Italia è dunque pronta a restituire i reperti archeologici esteri conservati nei propri musei senza un riconosciuto diritto legale, ma nello stesso tempo chiede ai musei stranieri di restituire i reperti provenienti dall’Italia rubati o saccheggiati.
Purtroppo, a causa della difficile situazione politica libica, il luogo in cui era conservata, ossia i sotterranei della locale Banca Commerciale, fu depredato nel 2011 e la statua da quell’epoca è considerata dispersa.[9]
Palazzo Massimo alle Terme
Il palazzo fu ricostruito tra il 1883 e il 1886 dall’architetto Camillo Pistrucci sulla villa Montalto Peretti, come sede per il collegio per i Gesuiti.[10] Dopo varie vicende fu infine acquistato dallo Stato nel 1981 e restaurato.[3]
La sede museale è stata inaugurata nel 1995 e completata nel 1998.[11]
Ospita una "sezione di numismatica e oreficeria" sugli aspetti dell’economia romana; una "sezione di arte antica" con opere figurative di epoca tardo-repubblicana, imperiale e tardo-antica (tra cui le opere d’arte delle grandi residenze dell’ordine senatorio, con originali greci portati a Roma in epoca antica); quest’ultima sezione è integrata dalle rappresentazioni artistiche contenute nei palazzi imperiali, presenti in parte nell’Antiquarium del Palatino.[3]
Piano terra
Il pianterreno ospita capolavori dell’arte romana, dalla tarda età repubblicana (con opere appartenute alle classi dirigenti del II-I secolo a.C.), all’epoca della dinastia Giulio-Claudia. Subito dopo la biglietteria si incontra una colossale statua di divinità femminile seduta. Essa proviene dalle pendici dell’Aventino ed è composta da numerose tipologie di marmi colorati antichi, secondo una tecnica molto apprezzata dagli scultori romani.[12]
Questa statua è di età augustea ed è stata restaurata come Minerva, dove il viso è stato rifatto in gesso con le sembianze di dell’Atena Carpegna. Secondo recenti studi sembra però che la statua raffigurasse Magna Mater-Cibele, un’antica divinità anatolica, il cui centro principale del suo culto era Pessinunte in Frigia e che, a partire dalla seconda guerra punica, iniziò a proteggere i Romani.[12]
Secondo gli oracoli dei Libri Sibillini, l’introduzione del culto della Magna Mater fu una condizione indispensabile per raggiungere finalmente la cacciata del nemico cartaginese dall’Italia. Nell’aprile 204 a.C. la pietra nera di Pessinunte giunse a Ostia e venne consegnata a Publio Cornelio Scipione Nasica, cugino di Publio Scipione e figlio di Gneo Scipione.[13]
Piano primo
Al primo piano sono esposte in alcune nicchie le statue (copie o rielaborazioni da originali greci) delle più importanti divinità della religione romano-greca di provenienza dalle ville laziali: Giove, Apollo, Dionisio e Atena.[14]
Sono esposti i capolavori della statuaria romana, dall’età dei Flavi alla tarda antichità, oltre a numerosi sarcofagi, pagani e cristiani, tra cui ricordiamo il sarcofago di Portonaccio. In un grande salone è riproposto l’antico "salone dei capolavori" del "Museo delle Terme", in cui sono esposte alcune importanti opere sulla scultura "ideale", utilizzata come prezioso arredo di ville dell’aristocrazia romana, come l’Afrodite accovacciata, due copie del Discobolo e alcuni originali greci (tra cui la Fanciulla di Anzio).
Piano secondo
Il secondo piano ospita gli affreschi del ninfeo sotterraneo della villa di Livia imperatrice moglie di Augusto
Nelle altre sale vi sono una serie di mosaici, parietali e pavimentali, megalografie tardo-imperiali, i pannelli con pompa circensis e "Ila rapito dalle ninfe" provenienti dalla cosiddetta basilica di Giunio Basso, gli affreschi provenienti dal "porto fluviale di San Paolo" e la sezione degli affreschi ritrovati nei locali ipogei della "villa o casa della Farnesina" (poiché ubicata in quelli che erano i giardini della villa Farnesina costruita da Baldassarre Peruzzi per Agostino Chigi e successivamente sbancati, a fine Ottocento, per permettere l’apertura del Lungotevere). Gli ambienti affrescati sono stati recentemente restaurati, riallestiti e inaugurati il 30 giugno 2010.[15]
Presso la sede di Palazzo Massimo alle Terme, al terzo piano è conservato un pavimento a mosaico di epoca romana la cui datazione è collocabile fra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C.. Al centro è presente un motivo geometrico con un cesto di frutta, tra cui spicca chiaramente un ananas, con il tipico colore, la caratteristica infiorescenza a spiga e le scaglie. Ad incuriosire è proprio la presenza di questo frutto originario dell’America tropicale, giunto in Europa solo dopo i viaggi di Cristoforo Colombo.[senza fonte]
Piano interrato
Presenta una sezione dedicata all’oreficeria e una ricca collezione di numismatica, una volta appartenuta a Vittorio Emanuele III di Savoia.
Vi si conserva inoltre la mummia di una bambina di circa otto anni, la cosiddetta mummia di Grottarossa,
Palazzo Altemps
Il palazzo, costruito nel XV secolo Ospita la sezione di "storia del collezionismo" (sculture delle collezioni Boncompagni-Ludovisi, Mattei, Altemps e Del Drago) e la "raccolta egizia" con opere provenienti dai santuari delle divinità orientali.[3]
Il palazzo comprende anche l’antico teatro privato, attualmente spazio adibito ad esposizioni temporanee, e la chiesa di Sant’Aniceto. Negli spazi aperti al pubblico sono evidenziate anche le tracce dell’evoluzione architettonica e decorativa del palazzo.
Opere principali
- Galata suicida
Il Galata Ludovisi venne ritrovato negli scavi di Villa Ludovisi. Mostra un guerriero colto nell’atto di suicidarsi conficcandosi una spada corta tra le clavicole. La punta della spada è già entrata nel corpo. È ben sorretto dalle gambe poste divaricatamente che, insieme al busto, sono protese verso destra, mentre la testa è fieramente rivolta all’indietro. Il corpo nudo, coperto solo sulla schiena da un mantello che vola dinamicamente, mostra la dettagliata muscolatura del guerriero. L’immagine è incentrata sulla parte dove, con la mano destra, si trova ad impugnare la spada già penetrata tra le clavicole. La moglie è abbandonata sulle ginocchia, ormai a un passo dal suo "sonno eterno".
La scultura evoca profonde sensazioni di eroismo e pateticità, a evidenziare il valore dei vinti e quindi, di riflesso, anche quello dei vincitori.
La statua raffigura, con grande realismo, i tratti somatici del guerriero celtico, con gli zigomi alti, l’acconciatura dei capelli, dalle folte e lunghe ciocche e i baffi (si notano solo col viso visto frontalmente). In tale gusto si nota un accento sulla particolare erudizione che circolava alla corte di Pergamo. Probabilmente la figura stante si trovava al centro del donario, per questo è fatta per essere apprezzata da molteplici punti di vista, sviluppandosi nello spazio che la circonda.
- Trono Ludovisi
L’opera fu rinvenuta a Roma nel 1887 durante i lavori di lottizzazione della Villa Ludovisi nell’area corrispondente agli antichi Horti Sallustiani, nei pressi del tempio della Venere Erycina.
Opera singolare, priva di riferimenti simili, è stata molto discussa fin dal momento del suo rinvenimento a causa della forma inconsueta e della tipologia del suo rilievo. La frattura della parte superiore non permette infatti di stabilire con certezza la sua forma originaria e dunque la sua funzione. Alcuni pensano facesse parte del trono di una statua colossale di divinità, forse Venere Erycina. Altri ritengono costituisse la balaustra di una scala, o ancora la parte superiore di un’edicola o di un tempio
- Sarcofago Ludovisi
La cassa, tratta ad altorilievo, è decorata da una grandiosa scena di battaglia tra Romani e barbari (forse i Daci, a giudicare dall’abbigliamento). La convulsa scena è organizzata su quattro piani: i due inferiori sono occupati da barbari a cavallo o a piedi, feriti, morenti o morti; i due superiori da soldati o cavalieri romani impegnati a finire gli avversari o a combattere i nemici residui.
- Acrolito Ludovisi
Fu rinvenuta nei pressi del Tempio di Venere Erycina al Quirinale. La grande testa femminile potrebbe rappresentare quello che rimane della grande statua di culto[2], alta circa tre metri. Si ritiene fosse opera originale della Magna Grecia (databile forse attorno al 480 a.C.) prelevata, insieme al Trono Ludovisi, dal Tempio ionico di Afrodite di Locri Epizefiri, in Calabria[3] e collocata nel santuario appositamente costruito a Roma come nuova casa per la divinità
- Era Ludovisi
La testa è di dimensioni colossali e l’accolito al quale apparteneva doveva raggiungere, se la raffigurava in piedi, un’altezza di oltre 5 metri e mezzo. I lineamenti del viso sono idealizzati e poco personalizzati e il volto guarda direttamente l’osservatore.
Il capo è coperto da un diadema decorato con palmette. La ricca acconciatura raccoglie i capelli sulla nuca, mentre delle ciocche di riccioli ricadono sulle spalle mescolandosi a delle bende sacerdotali.
- Ares Ludovisi
Ares/Marte è ritratto giovane, senza barba e seduto sulle armi deposte, mentre Eros gioca ai suoi piedi, focalizzando l’attenzione sul fatto che, in un momento di riposo, il dio della guerra è presentato come oggetto di amore. Nel XVIII secolo l’archeologo e storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann, teorico della nobile semplicità e quieta grandezza, quando si stava occupando della collezione Ludovisi ritenne che l’Ares Ludovisi fosse la miglior rappresentazione di Marte dell’antichità.
Riscoperta nel 1622, la scultura era, con molta probabilità, originariamente parte del tempio di Marte (eretto nel 132 a.C. nella parte meridionale del Campo Marzio[2]), del quale non restano che poche tracce; a tal proposito, la statua fu riscoperta nei pressi della chiesa di San Salvatore in Campo. Pietro Santi Bartoli scrisse che l’opera fu trovata nei pressi del Palazzo Santacroce mentre si stava scavando uno scarico.
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