SETTE PAROLE
Ascoltando Haydn - Die sieben letzten Worte unseres Erlösers am Kreuze (Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce)

“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc. 23, 46) – Salmo 30
Sette parole.
Una vita raccontata in un modo così breve,
tutto il tempo dedicato ad amare,
compiuto ma non finito.
Non più abbandonato,
accolto.
Sette parole che hanno spiegato la circolarità dello Spirito Santo, quella circolarità che accompagna la nostra quotidianità, che accompagna la nostra vocazione.
Se volessimo dividere per momenti temporali la nostra vita diremmo che una vocazione la cerchiamo, spesso la troviamo, stentiamo un po’ a riconoscerla ed infine la applichiamo.
Mettiamo questo schema nella vita di un credente. Mettiamolo però con quel senso che descrive Matteo nel suo Vangelo e come chiude Haydn la sua opera: un terremoto.
Secondo la propria indole si può iniziare da uno qualsiasi di questi punti, chiamiamoli: opere e contemplazione, passiamo dal voler imitare Cristo nelle sue opere al somigliare a Dio attraverso la sua contemplazione. Ma questo non è un tragitto lineare, è un vagare circolare dall’una all’altra situazione accompagnati da un’unica guida: lo Spirito Santo. Un amore che accompagna costantemente ciascuno dei due punti. Nessuno dei due è un punto di partenza, né di arrivo. È invece un transito continuo dall’ uno all’ altro.
Ci si sente in mezzo a questa circolarità e percepiamo di essere parte di un qualcosa di tanto grande, diverse allora sono le reazioni.
Ci spaventiamo e scappiamo.
Non comprendiamo e lasciamo andare.
Ci affidiamo.
Ciò che consente la circolarità di cui si parlava è certamente la terza reazione ed è lì che lo Spirito Santo comincia a tracciare le prime orme del suo cerchio.
Se svuotiamo questo cerchio del suo motore però rischiamo di rendere tutto arido e inservibile, di trovarci in quella tutta umana presa di coscienza di sentirsi realizzati solo quando si serve, quella utilità e servizio che trovano forza in loro stessi. Rischiano di diventare sempre più effimeri e trovarsi fuori da quel cerchio di vitalità infinita.
In quelle sette ultime parole c’era tutta questa circolarità. La morte non mette fine al nostro servizio, continuiamo invece ad essere servi utili nella pienezza dello Spirito Santo, le opere terrene non vanno sprecate con la morte ma trovano ancora utilità nella contemplazione di Dio e lo Spirito Santo che ne scaturisce diventa nuova carica per compiere quelle opere che ci faranno almeno tentare di imitare il modo di vivere di Cristo.
Chiesa SS.ma Annunziata a via Ardeatina, affresco abside 1500
Pare chiudersi tutto con un terremoto, ma altro non è che ritrovare all’alba del nuovo giorno quello che già veniva definito nell’ antica Roma un “homo novus”: un Cicerone, un Catone, un Sallustio.
Nel senso cristiano però era inteso come la continua rinascita nella linearità del tempo di colui che affidava la propria vita alla Fede.
Non più un tempo circolare che rende l’uomo suo schiavo, ma un uomo che nel dinamismo costante dell’azione dello Spirito Santo prosegue l’evolutiva dinamica dell’Amore, oltre la morte, fino alla resurrezione.
Lo Spirito Santo da, insomma, circolarità ad un tempo lineare e infinito. Tutto ruota intorno a Lui, nel tempo che inesorabile procede.
In quelle ultime sette parole c’è la prosecuzione della vita dopo la morte, tutto affidato all’abbraccio della Croce.
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