SPIRITUALITÀ DAL BASSO XVII^- ultima parte

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Concludiamo oggi il percorso sulla spiritualità “dal basso”, facendo una sorta di sintesi delle tappe che abbiamo affrontato.

Mi preme innanzitutto dire che, in queste note, non vi è nulla di esaustivo né tantomeno di dogmatico: ripeterò fino alla sfinimento che ognuno ha la propria strada e che, per conoscerla, bisogna ascoltare il cuore.

Ci sono delle “regole” base, certo, come ad esempio: il silenzio, l’umiltà, l’ascesi. Ma tutte queste cose hanno diverse facce, tante quante sono quelle degli uomini che le praticano.

San Tommaso D’Aquino, il grande Dottore della Chiesa, diceva che occorre un minimo di piacere per praticare la virtù. È quindi importante iniziare il proprio cammino spirituale scoprendo ciò che ci dà gioia, serenità e piacere. Per alcuni più essere la lettura, per altri la contemplazione della natura, per altri ancora la pratica delle arti. Qualunque cosa va bene, purché produca l’effetto di farci calare nella nostra realtà più profonda.

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Diversamente da ciò che ci è stato inculcato da una morale sterile e castrante, il piacere non è la strada che conduce alla perdizione, bensì il “luogo di Dio”, quello spazio interiore in cui dimorano - spesso sopiti - la pace e la serenità. Lì le nostre passioni non attecchiscono perché vi abitano soltanto il silenzio e la luce di Dio.

Il “grosso” del lavoro spirituale non consiste, quindi, nell’aggiungere nozioni e conoscenze, né tantomeno nel praticare l’ascesi. La spiritualità dal basso non è un aggiungere ma un togliere.

Come un tesoro seppellito dal tempo e dalle sovrastrutture umane, così è la nostra anima. Per recuperarla dobbiamo semplicemente scavare e togliere tutto ciò che vi si è depositato sopra, che si tratti di convinzioni, pregiudizi, status symbol, sovrastrutture religiose e quant’altro. In una parola, dobbiamo ritornare ad essere ciò che eravamo quando siamo venuti al mondo.

«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 18,3)

Questo versetto del Vangelo secondo Matteo è stato spesso, a mio avviso, male interpretato.

Non si parla, qui, dell’innocenza e della semplicità dei bambini, bensì della loro connessione all’Origine. I piccoli d’uomo sono ancora scevri da tutte le sovrastrutture sociali, familiari e religiose. Essi sono PURI, nel senso di NON CONTAMINATI. Glielo si legge negli occhi.

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Ogni essere umano che viene al mondo ha tutto ciò che gli occorre per diventare un adulto perfetto.

Così come il corpo cresce e si sviluppa fino al raggiungimento della sua piena statura, allo stesso modo l’anima possiede già il seme della futura consapevolezza. Non è raro, altresì, che i bambini possiedano capacità extrasensoriali che spesso perdono da adulti per colpa di convinzioni acquisite e sovrastrutture sociali. Come recuperarle? Ritrovando lo sguardo dell’infanzia, riallacciano il mistico cordone ombelicale con la nostra Matrice divina.

Questo è il senso dell’ascesi e di tutta la vita mistica. Non dobbiamo “diventare” santi ma tornare ad esserlo. Non dobbiamo diventare qualcuno ma ridiventare ciò che siamo sempre stati.

Essere adulti non significa lasciare il mondo dell’infanzia ma portarlo a compimento: si chiama consapevolezza.

Crescere - tanto fisicamente quanto spiritualmente - non significa diventare altro rispetto a ciò che siamo ma significa realizzare la nostra natura più profonda. L’albero e il seme da cui si sviluppa, non sono due cose distinte: cambia la forma ma la scintilla vitale è la stessa.

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Ecco quindi che il cammino spirituale non è altro se non un percorso di vita.

Se ne parla tanto, troppo direi, e lo si rende talmente complicato che molte persone rinunciano ancor prima di iniziare. Eppure, è la cosa più naturale del mondo. Il solo fatto di esistere è già muovere i primi passi su questa strada. Ci siamo noi e c’è la strada: ci viene chiesto solo di decidere se camminare o meno.

Non c’è una formula uguale per tutti, ognuno ha la propria. Così come non esistono due impronte digitali identiche, allo stesso modo non ci sono due percorsi uguali. Forse simili, ma non uguali.

Per questo motivo i santi e i saggi di questo mondo possono essere solo una fonte di ispirazione ma mai un modello da copiare. Ognuno deve essere ciò che è sempre stato. E, come ci hanno insegnato in queste settimane i Padri del Deserto, noi saliamo a Dio discendendo nella nostra stessa realtà.

Tutta la mia fatica, in queste righe, si riassume in un messaggio di ottimismo: noi non siamo vittime senza speranza delle nostre inclinazioni e della nostra educazione o status sociale. Possiamo lavorare su noi stessi e vincere, riportando alla luce il disegno originale di Dio su di noi.

Ascoltate il vostro cuore: lì troverete tutto ciò che vi occorre per essere finalmente voi stessi. Per essere finalmente felici.

Simona HeArt

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