RILEGGENDO POESIA - ENRICO TESTA

Non ci diremo addio…

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cms_26886/POESIA.jpgAvviso ai lettori: il docente, saggista e poeta Enrico Testa non va confuso col forse più famoso Enrico (Chicco), dirigente d’azienda, dirigente pubblico ed ex politico, sebbene siano nati entrambi negli anni ’50: ma questa è forse l’unica cosa che li accomuna, omonimia a parte. Andrea Cortellessa, presentandolo nel gennaio 2002 (n. 157), citava subito Caproni.

“È raro, anzi rarissimo che un dottore in poesia riesca ad essere anche poeta”. Così Giorgio Caproni esordiva, con una piega di sorriso, nel presentare i primi versi di Enrico Testa (Le faticose attese, 1988) – salvo tranquillizzare subito il presentato, e con lui gl’imminenti lettori, conferendo alle sue la patente, prestigiosa nella sua apoditticità, di “poesie-poesie” (nel senso di Sbarbaro). Andrea Cortellessa si riferiva soprattutto a Lo stile semplice, un saggio fondamentale dello stesso autore. In ogni caso Caproni evidenziava nei versi del giovane discepolo genovese “delicati estri ritmici e timbrici raggiunti – parrebbe – con la più elementare naturalezza e invece frutto di sapiente calcolo”.

Conosciamo dunque meglio Enrico Testa, consultando il blog di Antonio Bux (https://antoniobux.wordpress.com/2018/04/16/enrico-testa-5-poesie/).

cms_26886/Enrico_Testa.jpgEnrico Testaè nato nel 1956 a Genova, dove insegna Storia della lingua italiana all’università. DopoLe faticose attese (San Marco dei Giustiniani 1988), ha pubblicato da Einaudi le raccolte poetiche In controtempo (1994), La sostituzione (2001), Pasqua di neve (2008), Ablativo(2013) e Cairn(2018). Sempre per Einaudi ha curato Finestre alte di Philip Larkin, il Quaderno di traduzioni di Giorgio Caproni (1998), l’antologia Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (2005) e L’esistenza. Tutte le poesie 1980 – 1992 di Alberto Vigevani (2010). Tra i suoi saggi: Lo stile semplice. Discorso e romanzo (Einaudi 1997), Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento (Bulzoni 1999), Montale (Einaudi 2000), Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo (Einaudi 2009), Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di Sanguineti (Interlinea 2012), L’italiano nascosto. Una storia linguistica e culturale (Einaudi 2014). È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015). Tra i tanti riconoscimenti, ha ottenuto il premio Viareggio, il premio Pisa e il premio Pascoli. Ha tradotto dall’inglese - aggiungiamo noi - High Windows di Philip Larkin. È stato inoltre visiting professor all’Università di Aarhus in Danimarca e membro della commissione dei dottorati di ricerca presso l’Università Sorbonne Nouvelle di Parigi.

I suoi campi di ricerca sono legati allo studio del parlato in evoluzione storica, ai rifacimenti letterari a partire dalla lingua comune, all’analisi della lingua poetica e della narrativa del Novecento italiano, soprattutto su questioni di stile e in studi sul personaggio.

Leggiamo infine quanto pubblicato da https://www.pangea.news/teologi-festival-poeti-tracotanti-augusti-filosofi-verbigeranti-lultima-sepolcrale-raccolta-poetica-enrico-testa/ a commento della silloge Cairn, pubblicata, come abbiamo appena appreso, nel 2018: “Non ci diremo addio./ Non sappiamo come dirlo,/ e non vale la pena impararlo”. Si apre così l’ultima raccolta di Enrico Testa, Cairn (pp.136, euro 11,00, Einaudi, 2018). Tre versi semplici, parole che si dedicherebbero volentieri a chi abbiamo vicino, qualcuno che ci è caro, nella speranza di non doverlo mai perdere. Alla morte e alla nascita non c’è però rimedio, come a certe vicissitudini, così che anche imparare a dire addio diventa un’utile necessità. L’opera in questione nega questa evidenza, avanzando una speranza dall’infantile bellezza: imparare a dire addio non vale la pena e rovescia la prospettiva con cui comunemente guardiamo ogni fine. La raccolta scorre tra immagini sommesse, ponendosi in uno spazio marginale, microscopico, che elude i grandi temi solitamente consacrati dalla poesia. L’obiettivo mette a fuoco gli angoli nascosti, talvolta sporchi, dell’uomo e dello spazio che esso abita. Facendo capolino dentro la casa, il luogo primo, salta agli occhi il filo scuro di polvere che corre lungo i mobili trascurati, lontani dall’uso quotidiano. Tutte le ombre care, che non vogliamo o non possiamo lasciar andare, sono conservate dall’autore, che se ne prende cura, in un’atmosfera dolce e al tempo stesso densa di oscurità.

Non ci diremo addio.
Non sappiamo come dirlo,
e non vale la pena di impararlo

«Non possiamo ricominciare ancora.
Soltanto possiamo ancora finire».
«Ma non abbiamo mai finito».
«Oh sì, non crederlo.
Abbiamo finito molte e molte volte.
Non una volta sola.
E ora possiamo finire di nuovo.
E ancora e ancora.
Senza un nuovo inizio»

Raffaele Floris

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