ALASDAIR MACINTYRE, O L’ETICA DELLA VIRTU’ (II^ parte)
L’opinione del filosofo
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La tradizione
Per “tradizione” MacIntyre intende un insieme di ricerche filosofiche, legate ciascuna a specifiche circostanze storiche e sociali, tra le quali sia possibile tracciare una linea di continuità, basandosi sul fatto che gli autori appartenenti a una medesima tradizione condividono una specifica idea di che cosa significhi realizzare un ragionamento pratico corretto ossia, individuare correttamente le premesse e le conseguenze di un’azione. La forma accettata di ragionamento pratico, naturalmente, presuppone specifiche concezioni su che cosa è bene, poiché è sempre ciò che è ritenuto bene a fungere da scopo dell’azione e quindi da premessa del ragionamento pratico.
Ma una tradizione non è un corpo stabile di dottrine: ciascun momento storico pone delle sfide pratiche a quanto sostenuto in sede teorica dai suoi membri, che dovranno tentare di rispondere a queste sfide per dimostrare che la tradizione cui essi si riferiscono è ancora viva, capace di avere un significato per i contemporanei. Inoltre, una tradizione dovrà fronteggiare le obiezioni e i tentativi di confutazione avanzati da appartenenti a storie rivali e, infine, dovrà fronteggiare problemi interni al proprio bagaglio storico-concettuale e risolvere apparenti contraddizioni.
Ma come nasce una tradizione? Interpretando gli scritti di MacIntyre possiamo affermare che ogni filosofia nasce come ideologia, cioè come espressione di specifiche strutture sociali. Su questo punto MacIntyre si mantiene fedele a Marx e gli affianca quello di Collingwood.
Ogni ideologia ha tre caratteristiche:
1. individua certi aspetti della natura o della società che servono a spiegare la condizione presente ma che sono ritenute essere valide come leggi generali: un esempio è lo stesso materialismo dialettico di Marx.
2. afferma che il mondo è fatto in un certo modo e che quindi bisogna agire in un certo modo. Di conseguenza, l’ideologia implica delle considerazioni sullo statuto da assegnare ad affermazioni morali e valutative, nonché sulla forma del corretto ragionamento pratico. Perciò l’ideologia si sovrappone parzialmente al terreno della filosofia.
3. un’ideologia non solo è ritenuta vera dai membri di un determinato gruppo sociale, ma definisce la loro stessa esistenza all’interno del mondo. Così, l’ideologia copre anche parte del territorio della sociologia. La filosofia deve essere sempre consapevole di questa sua origine particolare - così come la storia della filosofia deve essere condotta tenendo conto di questi fondamentali aspetti-, ma al contempo essa implica una pretesa di verità e pertanto il suo sforzo costante deve essere quello di emanciparsi dalla particolarità per poter valere universalmente.
Da questo punto di vista MacIntyre è un avversario del relativismo.
La motivazione più elementare per rifiutarlo è che esso non è creduto vero da nessuno tra i sostenitori di posizioni rivali, i quali, se credessero alla verità del relativismo, non avrebbero più alcuna ragione per sostenere le loro posizioni e il dibattito con gli avversari, ma il relativismo non puo’ evidentemente pretendere per sé la nozione di verità che nega agli altri.
Se ogni tradizione nasce in uno specifico contesto sociale e ha carattere di ideologia, ciò significa che il contesto sociale è determinante e che le strutture sociali possono essere ritenute vere soltanto se riescono a dimostrare la loro validità indipendentemente dalla genesi particolare. Per esempio, lo Stato liberale e l’economia di libero mercato sono specifiche strutture sociali che determinano o sono legittimate dalla prevalenza dell’idea che il bene sia ciò che ciascun individuo ritiene tale, entro i limiti della giustizia.
Questo è infatti il modello dell’economia politica, per cui ciascun individuo è libero di scegliere le merci disponibili sul mercato, di stipulare liberi contratti di lavoro, di perseguire obiettivi diversi per giungere a posizioni sociali differenti. Una siffatta concezione del bene, come frutto della scelta individuale, si basa su un ragionamento pratico che serve a individuare i mezzi adeguati al raggiungimento di un fine scelto in base alla preferenza soggettiva secondo la seguente forma: “Voglio che accada questo e questo. Non vi è nessun altro modo che mi consenta ciò che preferisco. Fare la tal cosa non frustrerà nessuna preferenza che sia tanto forte quanto questa o più forte di questa”.
In base a queste premesse, la giustizia sarà ciò che permette a ogni individuo di svolgere questo ragionamento e quindi non potrà implicare una specifica concezione di bene, perché così facendo inficerebbe una delle premesse del ragionamento pratico. E tuttavia, la forma accettata di ragionamento pratico presuppone specifiche concezioni su che cosa è bene, poiché è sempre ciò che è ritenuto bene a fungere da scopo dell’azione e quindi da premessa del ragionamento pratico.
Se la tradizione liberale nasce dalla “forza”, in cui vince chi è in grado, tramite i media, di manipolare l’opinione altrui, di convincerlo tramite un discorso persuasivo, sofistico e non veritiero – vince chi ha più denaro, chi è più scaltro, chi è più fortunato -, allora il fallimento della tradizione liberale su fonda proprio su questi modelli di ragionamento pratico.
(continua)
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