PER UNA NUOVA VISIONE DELLA SOGGETTIVITA’ FEMMINILE (II^PARTE)
L’opinione del filosofo
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E’ a Parigi che Braidotti incontra Gilles Deleuze: una figura che risulta essere fondamentale nel suo percorso filosofico, in particolare per quanto riguarda la teorizzazione dell’etica del soggetto nomade, che la Braidotti innesta nella più ampia riflessione sul femminismo e sulla postmodernità.
Rosi Braidotti si sofferma sulla costituzione del soggetto contemporaneo in relazione al concetto di differenza.
Il nomadismo di Braidotti si inserisce in un preciso contesto socio-economico e storico, ovvero quello della globalizzazione, della postmodernità e del capitalismo, che hanno prodotto una migrazione capitalistica che ha messo in dubbio strutture sociali e simboliche radicate, come l’autorità maschile, lo Stato e la famiglia.
Le evoluzioni tecnologiche ed informatiche, influenzando I sistemi capitalistici e di produzione, sono policentrici e multiformi, messi in moto grazie alla proliferazione di una moltitudine di differenze flessibili: le merci, i marchi, le fonti di profitto, in un rapido dipanarsi dei cambiamenti che si susseguono all’interno del sistema delle società avanzate.
Il fenomeno della globalizzazione intacca inevitabilmente l’individualità dei soggetti umani che vivono in questo spazio dematerializzato, non più capace di generare bisogni e valori. Persino il soggetto si trasforma in un’etichetta finalizzata al funzionamento del sistema capitalistico.
La soggettività si è spezzettata in dati, tramite gli algoritmi che sono diventati il modello della coscienza. L’individualità soggettiva si trasforma in “un io additivo e non narrativo che rimanda a una temporalità morta e si espone a progetti di manipolazione”. Poiché questo contesto decisamente schizofrenico è in netta contraddizione con gli schemi di pensiero monolitici e binari tradizionali, diventa necessario pensare ad una resistenza collocata nella postmodernità.
Collocazione è da intendersi come un “luogo spaziale, temporale e materialista di coproduzione del soggetto”. Rosi Braidotti propone un’etica trasformativa che si innesta sul radicale rimescolamento dei codici della tradizione, che segna i confini delle responsabilità individuali per ricercare delle soluzioni etiche alla frammentarietà del tempo, capaci di far risuonare la differenza come elemento positivo.
Lo spazio che ne deriva è terreno impegnato, creativo, responsabile, necessariamente radicato ma non legato alla razionalità strumentale, e l’esperienza “rivela una posizione contemplativa e creativa, rispettosa delle complessità visibili e nascoste degli stessi fenomeni”.
Le figurazioni che ne scaturiscono sono degli strumenti di navigazione capaci di creare nuovi segnali e nuove strategie di resistenza attuabili nella nostra epoca schizofrenica. Il soggetto nomade è “un viaggiatore “spaziale” che, di volta in volta, costruisce e smantella gli spazi in cui vive prima di procedere nel viaggio”. Gli assi di differenziazione, cioè la razza, l’etnia, il genere, l’età, la classe sociale costituiscono, interagendo tra di loro simultaneamente, la soggettività nomade: un’entità complessa ai livelli più profondi.
Ne consegue che le affinità e le differenze che intercorrono tra i vari soggetti sono il risultato di un processo graduale, di un percorso itinerante che si compie all’interno del soggetto e che l’affettività è l’energia trasformatrice di cui si avvale il soggetto nomade per aprirsi verso l’esterno.
Il soggetto nomade. Riappropriarsi della differenza
Nella società contemporanea, il soggetto diviene tale attraverso processi e divieti circoscritti in un contesto di potere. L’individuo nomade trova il proprio spazio di interazione e di azione concreta all’interno della politica istituzionale, come forza politica di opposizione alla concezione della soggettività egemonica e fondata sul valore di esclusività. Diviene un terreno di opposizione fecondo di idee contro concetti come l’etnocentrismo e il fallo-logo-centrismo.
Rosi Braidotti individua nella teoria femminista il luogo di trasfigurazione fertile per la concretizzazione del pensiero nomade, che deve necessariamente configurarsi come un’area creativa, scevra da ogni gravità oppressiva e dalle norme tradizionali.
Quello femminile è sempre stato il luogo dell’universo capitalista neoliberale, che ormai ha catturato tutte le specie negli ingranaggi dell’economia globale e sotto l’imperativo del mercato. C’è tutta una tradizione nel femminismo che si interroga su come la scienza e la tecnologia manipolano, sfruttano e in un certo senso distruggono e danneggiano i corpi, la materia, il femminile, il materno. Questa tradizione fa parte dell’ecofemminismo da sempre
La società civile patriarcale riduce il valore del femminile, considerandolo un corrispettivo scarno: il non-maschile. La donna, lo speculum dell’uomo, il secondo sesso – nella definizione di Simone de Beauvoir – è subordinata al potere centrale maschile e patriarcale, qualificandolo secondo i paradigmi che considera universali: la stessa cultura egemonica si riduce ad un polo unico di identità sessuata, specificatamente maschile. Si afferma, perciò, il bisogno di strappare la nozione fallace di uguaglianza dai paradigmi fallocentrici, e rivendicare la differenza in senso positivo.
Per definire la propria soggettività nomade e femminista, la donna deve riappropriarsi della propria differenza. La differenza, deve essere disancorata dal significato che la associa all’inferiorità, ponendo chi rientra nella categoria “dell’altro” in un rapporto di assoggettamento e asservimento. La differenza è il perno su cui fondare un’etica in cui l’individuo “altro” sia valutato in modo affermativo e positivo.
La necessità delle donne di porsi come entità fortemente incarnate e sessuate, e di rivendicare la propria spazialità e temporalità in virtù dell’incarnazione del loro corpo, è da intendersi come un’affermazione positiva del femminile, che coincide con l’esigenza di aprire varchi per un’etica del divenire sostenibile.
Per la cultura occidentale, il soggetto incarnato e sessuato assume un valore primario all’interno dei complessi rapporti di potere che inscrivono il soggetto in una struttura di norme discorsive e materiali: il soggetto è un’entità sessuale funzionale, socializzata, un’individualità dotata di parola inscritta nel linguaggio.
Partendo dall’incarnazione del proprio corpo, assimilare i valori di una politica della collocazione, collocarsi e incarnarsi nella propria corporalità significa analizzare la complessità – definita attraverso gli assi differenziali che la compongono, come il sesso, la razza, la classe sociale, la cultura, etc. Il corpo è un luogo di intersezioni, “un punto di sovrapposizione del fisico, del simbolico e del sociologico”. La componente della sessualità è cardinale in un contesto in cui riveste importanza la corporeità: la differenza sessuale si impone come il motore di una trasformazione strutturale del pensiero tradizionale, un luogo di potenziamento che mette al centro il desiderio delle donne, ed è capace di ridefinire e rimodulare gli schemi generali del pensiero.
L’obiettivo non è la progettazione di una teoria in cui la donna è il soggetto, o l’oggetto, bensì, frenando la teorizzazione del potere, esso si concepisce come un luogo creato da una rete di effetti che circolano e si relazionano tra loro, costante e pervasivo su ogni livello, in cui ogni unità sessuata è legata all’altra, formando una collettività attiva e ricettiva.
Il soggetto, in questo luogo, deve valutare le sue fondamenta partendo dalla complessità, “aprire più bassi i sotterranei che reggevano l’edificio della sua definizione, scavare di più le cavità sopra le quali sta il monumento della sua identificazione, onde puntellare più solidamente la sua “dimora”, […] il luogo chiuso delle sue autorappresentazioni, dove abita nel suo esilio solitario il soggetto”. (Luce Irigaray, Speculum (1989), trad. di L. Muraro, Feltrinelli, Milano). L’universale sessuato, come territorio di intersecazione dei vari livelli di differenza, coincide con la non riducibilità del femminile al maschile e all’indistruttibilità dell’umano incarnato del legame con l’altro.
La volontà di Rosi Braidotti di collocare la differenza sessuale come punto principale di un progetto di ridefinizione del soggetto nomade trova le proprie ragioni all’interno della definizione stessa di differenza sessuale, consolidata nella struttura fondativa del sistema sociale in cui viviamo, attraverso condizioni materiali, simboliche e semiotiche.
L’asimmetria tra i due sessi è strutturale: è necessario riconoscere come una verità storica e fattuale il fatto che non vi sia una simmetria, proprio perché siamo disposti in un regime fallo-logo-centrico. Lo scarto a questa configurazione sociale imprescindibile risulta essere proprio la rivendicazione della differenza sessuale, che deve essere scardinata dal pensiero dualistico secondo il quale il femminile è ridotto in una posizione “altra” svalutata e oppositiva, per essere rovesciata in termini affermativi e positivi.
Il progetto del nomadismo femminista
La teoria femminista opera su due livelli: ad un livello storico, inglobando i vari processi di acquisizione e rivendicazione di diritti sociali e politici, e ad un livello identitario, varcando confini più profondi della coscienza di ognuna, sfiorando le sfere del desiderio.
Riprendendo il concetto di desiderio di cui parlava Deleuze, come moto interiore e fecondo dell’individualità, il femminismo è da considerarsi come un’affermazione del desiderio di libertà, di giustizia, di autorealizzazione delle donne, che si innesta su un più profondo livello di positività affermativa.
Braidotti insiste sulla necessità di elaborare delle forme alternative dell’individualità femminile in un’ottica affermativa che concepisce positivamente la differenza sessuale, senza rischiare di cadere nel relativismo. Reimpossessarsi della propria memoria storica è la forma di resistenza contro la riduzione e il relativismo della complessità umana. Questo progetto che si basa sulla differenza sessuale è politicamente urgente e il femminismo è da considerarsi come un progetto che evidenzia i vari strati di rappresentazione della donna.
Braidotti articola il progetto del nomadismo femminista in tre fasi, non collegate tra loro, in un rapporto cronologico e gerarchico, che possono trovarsi simultaneamente presenti, difficilmente distinguibili, a formare una mappa che cerca di interpretare i vari livelli della complessità della differenza sessuale in un costante flusso di sequenze temporali, di strati di significazione e di esperienze.
Bisogna mirare ad una rappresentazione che possa legittimare la molteplicità: la parola donna deve essere riconosciuta come un gruppo semantico che contiene vari livelli di esperienza, varie identità che contemplano, al loro interno, sfumature diverse, diversi tempi di trasformazione, di resistenza e di politica.
Nel trattare la differenza tra donne, è necessario ridefinire i confini del femminismo, che è il movimento che combatte affinché si modifichi ciò che è stato attribuito alle donne e alla loro rappresentazione nel corso di tutta la storia patriarcale e, al contempo, che opera anche all’interno di ogni donna.
La differenza sessuale tra donne e la complessità dell’incarnazione strutturale del soggetto, intese come prassi interpretative della soggettività femminile, sono il fulcro del progetto filosofico di Rosi Braidotti. Nel formulare una “mappa cognitiva politicamente aggiornata che legga il presente in termini di situazione radicata individuale”, e’ possibile creare un luogo in cui si possa attuare una re-invenzione delle donne in un progetto trasformativo al di là delle modalità di pensiero storicamente istituite, adottando una strategia transdisciplinare ed efficace: “Il soggetto femminista è nomade perché è intensivo, multiplo, incarnato e quindi perfettamente culturale”. (Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi)
L’identità si crea a partire dalla commistione di aspetti multipli e frammentari del sé, in relazione con i legami con l’”altro”, di immagini interiorizzate e inconsce che rendono impossibile la coincidenza dell’identità stessa con la coscienza – che, invece, si identifica con la soggettività politica, intesa come posizione volontaria e conscia. Ciò implica che ciascuno ha un rapporto specifico con la storia che ha assorbito dentro sé, per far germogliare qualcosa di autentico e perfettamente collocato nella struttura spaziale e temporale della contemporaneità.
Operando sulle immagini, sui concetti e sulle rappresentazioni delle donne così come sono state codificate dalla cultura in cui viviamo, giungiamo a tener conto e rispettare la molteplicità che attraversa ogni donna. È necessario mettere a punto una ridefinizione della soggettività femminile, fondata su una nuova modalità di pensiero che teorizza l’identità della donna come luogo di differenze, multiplo, aperto e interconnesso.
(Continua)
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