A PROPOSITO DI SCHMIDT E MORTE DI MARAT
Arte e cinema

Quando penso che il connubio tra arte e cinema ad un certo punto possa in qualche modo esaurirsi, ecco che invece trovo nuovi indizi e nuove informazioni da approfondire. Tutta la ricerca inizia sempre e comunque dalla curiosità e dalla voglia di mettere insieme tutte notizie raccolte dal web o dai libri di testo. Ed oggi voglio proprio coinvolgervi in un nuovo connubio tra arte e cinema: Il film del 2002 del regista Alexander Payne A proposito di Schmidt e il quadro del Morte di Marat dipinto dal grande Jacques Louis David del 1793.
La trama a primo impatto può sembrare assolutamente banale ma fa riflettere sul significato ed il valore della vita, del senso da darle nel corso del tempo, della possibilità di lasciare una "traccia" nel mondo terreno, qualcosa di importante e di cui ci si possa ricordare di noi : dopo aver lavorato per trent’anni in una compagnia di assicurazioni, il neo pensionato Warren Schmidt interpretato dal grande Jack Nicholson si ritrova a passare le sue intere giornate davanti alla tv e a lamentarsi continuamente con la moglie Helen. Convinto da quest’ultima a comprare un camper, nell’intenzione di godersi gli ultimi anni di vita girovagando insieme per gli Stati Uniti, Warren all’improvviso perde la moglie a causa di un ictus.
Completamente solo dopo quarantadue anni di matrimonio, Warren è un uomo amareggiato dai tanti sacrifici e dalle poche soddisfazioni. Un giorno, vedendo una pubblicità televisiva su un programma per l’affidamento di bambini africani, decide di adottarne uno a distanza. Presto riceve un pacchetto informativo con una foto del suo figlio adottivo, un piccolo tanzaniano di nome Ndugu Umbo.
Vano è il tentativo di aggrapparsi alla figlia Jeannie, giunta in città per il funerale della madre. La ragazza, che è in procinto di sposarsi, gli dice che non lo vuole tra i piedi fino al giorno del matrimonio.
Solo con se stesso, realizza che deve assolutamente reagire per non spegnersi. Così l’unico scopo della sua vita diventa quello di impedire le nozze della figlia, parte quindi con il camper e attraversa le sconfinate pianure del Nebraska fino a Denver, dove si svolgerà il matrimonio.
Durante il viaggio affida i suoi pensieri e la descrizione delle sue avventure alle lettere che spedisce a Ndugu. Purtroppo, il viaggio sarà pieno d’incontri al limite del surreale e contribuirà a rattristarlo ulteriormente così come il matrimonio della figlia, che nonostante i suoi tentativi di dissuaderla, deciderà comunque di sposarsi.
Sulla via del ritorno, Schmidt scrive a Ndugu una lettera piena di tristezza e dispiacere, in cui sostiene che la sua vita non ha fatto alcuna differenza per nessuno e che alla fine sarà come se non fosse mai esistito
A cavallo tra la commedia e il drammatico il film è una riflessione profonda sulla vita e sulla fase discendente della vecchiaia, un’opera cinematografica a mio parere profonda, commovente ma limpida nel suo svolgersi e capace di destare sensazioni di comprensione sulla morte e sulla vita. Un continuo susseguirsi di vicende grottesche al limite dell’assurdo, marchiate dal pensiero del regista di inquadrare un mondo triste e traboccante di solitudine, prontamente velata da quell’ironia quasi nervosa che serve solamente a rendere ancora più triste il messaggio agli occhi dello spettatore. Il viaggio intrapreso dal protagonista quindi diventa una presa di posizione nei confronti del passato che ora, grazie alla commuovente lettera finale indirizzata al bambino africano, viene lasciato alle spalle a dimostrazione che la vita va avanti,seppur malinconicamente.
Il 13 luglio 1793 viene ucciso Jean-Paul Marat, un medico rivoluzionario e amico del grande pittore David.
Marat è un personaggio molto noto, Presidente del gruppo dei giacobini, responsabile insieme a Robespierre, della caduta dei girondini, insomma uno dei principali protagonisti della Rivoluzione Francese.
Il delitto ha scosso tutta l’opinione pubblica francese e in particolare David, anche per le circostanze particolarmente brutali. Marat è stato assassinato da una donna, Carlotta Corday, che l’ha accoltellato a tradimento mentre era andata da lui per farsi scrivere una lettera. Dipinge questo quadro come omaggio all’amico, ed evita di rappresentare la realtà che aveva visto e i particolari più raccapriccianti. Nel dipinto non compaiono gli elementi che caratterizzavano il luogo del delitto e avrebbero fatto apparire l’avvenimento come un ordinario fatto di cronaca ma opera una sintesi rigorosa eliminando tutto ciò che non serve o può sviare il preciso messaggio del quadro.
Tutta la scena è estremamente sobria e spoglia riportando l’impatto drammatico e violento della situazione reale ad una situazione ideale di calma e di distacco quasi sereno.
Il sangue è appena accennato, il cadavere è molto composto, la morte è indicata solo dall’abbandono del braccio e della testa appoggiata al bordo della vasca. Nelle mani Marat tiene ancora la lettera (ben leggibile e rivolta allo spettatore) e la penna. La composizione è quindi essenziale, unico elemento fuori posto della composizione è il coltello insanguinato abbandonato a terra. L’assassina è assente perché David sceglie di rappresentare il momento successivo all’omicidio proprio per non mostrare il suo volto e cancellarla simbolicamente, come per volerla dimenticare. L’opera è ricca di simboliche rinviano da un lato al tema dell’elogio funebre dall’altro ad un atto d’accusa contro un delitto efferato.
Il Confronto
In una particolare scena del film vediamo il protagonista che si addormenta nella vasca da bagno proprio mentre è intento a scrivere una lettera a un bambino africano adottato a distanza, a cui riesce ad aprire il suo cuore. Il confronto con la drammaticità del dipinto di Jacques-Louis David sembra perfetto. Anche se in un contesto differente, la ripresa dall’opera di David rende questa sequenza davvero toccante, rappresentando al meglio la solitudine del protagonista.
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