RICERCA DELLA FELICITÀ
Il contributo delle neuroscienze

Si perdono nella notte dei tempi i molteplici tentativi di definizioni di questa emozione così complessa, considerate le tante sfaccettature che può assumere secondo le prospettive di indagine con cui ci si approccia alla riflessione, da quella spirituale a quella filosofica, da quella psicologica a quella genetica, passando per quella antropologia e poetica.
Per alcuni la felicità è questione di neurotrasmettitori che durano pochi istanti, nel cui ricordo risiede la formula dello stato di benessere che si protrae nei giorni successivi. Per altri può coincidere con il soddisfacimento di un bisogno impellente e di una necessità biologica e fisiologica. C’è poi chi vede nella felicità un obiettivo a lungo termine perché orientato verso uno scopo che orienta l’agire quotidiano.

Nella storia non c’è stato uomo dal più saggio al più umile pensatore che non si sia soffermato su questo tema disperdendo molte energie nella speranza di classificare ciò che, di fatto, non può essere etichettato rigidamente, essendo un’esperienza fortemente caratterizzata dalla dimensione soggettiva e distinguendosi proprio per la vaghezza e impalpabilità da cui è animata.
Nel tempo si è assistito da un continuo oscillare dalla considerazione che l’assenza di problemi sia il presupposto della felicità ad una visione più intima, che chiama in causa la responsabilità di ciascuno delle emozioni provate. Facile individuare, nei due filoni di pensiero, quello che fa risiedere la felicità nelle circostanze esterne e quello che la radica dentro se stessi perché artefici dei propri stati d’animo.
Certo non esiste una formula precisa e brevettata per essere felici, come non c’è un percorso che porta alla felicità che sia garantito e perseguibile da tutti, altrimenti avremmo nelle mani la panacea per guarire da tutte le preoccupazioni del vivere moderno.
In ogni caso negli ultimi decenni le neuroscienze, cioè l’insieme delle scienze che si occupano della funzione, dello sviluppo, della biochimica e della fisiologia del sistema nervoso centrale e periferico, hanno svelato i complessi meccanismi neurologici che sottendono le manifestazioni del comportamento umano, migliorandone la qualità. I metodi neuroscientifici si sono intrecciati con le scienze cognitive, generando un ampio ventaglio di conoscenze empiricamente fondate. In parole più semplici e concrete, lo studio biologico del cervello che ha coinvolto molti livelli, da quello molecolare e cellulare a quello dei sistemi neurali più complessi, ha dimostrato con una serie di dati empirici che la mente acquisisce una condizione di felicità se riesce a vivere in uno stato di certezza e di stabilità emotiva che si basa sui pensieri positivi.
La felicità è diventata una materia di studio da quando gli psicologi hanno approfondito l’analisi delle emozioni positive connesse a un buon funzionamento cerebrale e le connessioni tra malfunzionamenti e pensieri negativi e ossessivi. Questi contributi hanno reso più misurabile qualcosa che aveva una cornice di significato soprattutto nell’ambito delle speculazioni filosofiche, esplicitando le variabili che possono funzionare nel processo di costruzione della felicità personale.
È molto interessante come esordisce lo psicologo cognitivo Shimon Edelman nel suo libro “La Felicità della Ricerca. Le Neuroscienze per stare bene”, sostenendo per l’appunto che non siamo nati per soffrire ma siamo portati a ricercare e perseguire ciò che ci procura gioia e la ricerca può essere persino più soddisfacente che ottenere il risultato. In fondo, l’euforia iniziale per motivi di sopravvivenza tende a svanire. Lo slogan che spesso l’autore ascoltava nell’Unione Sovietica, sua terra natale, secondo cui l’uomo è nato per la felicità come l’uccello è nato per il volo, non è sembrato più soltanto una propaganda alla luce degli studi delle neuroscienze su questo aspetto, che ha fatto approdare all’attuale conoscenza scientifica sulla felicità.
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