“THE FABELMANS”: È SOLO UN BUON FILM!

Vi spiego perché l’ultimo lavoro di Spielberg non è un capolavoro della cinematografia

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cms_29140/FABELMANS-scaled.jpgAncora oggi, ad un mese dalla prima uscita nelle sale cinematografiche, continuiamo a leggere recensioni più che entusiastiche sull’ultimo film di Steven Spielberg, The Fabelmans. Per chi non lo avesse ancora visto, si tratta di un “quasi biopic” sulla vita di un adolescente Spielberg, portato sullo schermo dal giovane Gabriel LaBelle alias Sammi Fabelman.

Quest’opera ultima del regista di ET e Jurassic Park, "quasi" biografica in quanto riferita a persone di non provata esistenza e ad alcuni fatti verosimilmente accaduti ma romanzati, ripercorre gli anni dalla pubertà alla maggiore età, durante i quali si vede il giovane Fabelman, crescere con la passione per il Cinema in un ambiente familiare all’apparenza sereno a cui fa però da sfondo un contesto sociale caratterizzato da razzismo e bullismo.

Costantemente al centro della contrapposizione tra l’educazione stimolante della mamma Mitzi (interpretata dalla brava Michelle Williams), una mancata pianista di talento e quella pragmatica del padre Burt (interpretato da Paul Dano), molto preso dalla propria carriera di ingegnere elettronico, Sammi cresce con la convinzione che solo la cinepresa può aiutarlo ad esorcizzare le proprie paure facendogli vedere, come attraverso una lente di ingrandimento, com’è davvero la realtà che lo circonda.

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Superata con fatica la prima ora di film, alquanto noiosa e caratterizzata da inutili riprese, il resto della pellicola si concentra sul fragile e falsamente stabile rapporto tra i genitori, minato dalla relazione tra Mitzi e Benny, amico fraterno del padre Burt. In tutto questo, nella trama, viene concesso un po’ di spazio agli episodi di emarginazione e vessazione subiti da parte dei propri coetanei, superati proprio attraverso l’uso sapiente della cinepresa; alcuni riferimenti ai momenti in cui muove i primi passi per delle produzioni cinematografiche amatoriali, che vorrebbero richiamare alla mente film come Indiana Jones - l’Ultima Crociata e Salvate il Soldato Ryan, non consentono di comprendere, ma neanche intravedere come Spielberg sia diventato il regista che conosciamo e apprezziamo. Alquanto patetica la scena, sul finale delle quasi due ore di pellicola, dell’incontro con il regista John Ford che sembra allargare la visuale artistica dell’enfant prodige di Hollywood con uno scambio di battute di pochi minuti.

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Care lettrici e cari lettori, credetemi, questo non basta a definire The Fabelmans un capolavoro e a metterlo sulla strada della conquista degli Oscar grazie alla recente assegnazione di un Golden Globe per la Miglior Regia e uno per il Miglior Film Drammatico. Di film incentrati su tradimenti affettivi, malesseri adolescenziali, razzismo e bullismo, ne hanno girati tanti e continueranno a girarne; anche la regia non è paragonabile a veri capolavori come, per esempio, Shindlers List. Tutto sommato, The Fabelman, è un buon film, godibile, ma manca di spessore; infatti né anima né corpo caratterizzano l’unico registro narrativo su cui si dipana la storia. Uno di quelli che non ti lascia niente se non il ricordo che a co-sceneggiarlo, co-produrlo e dirigerlo, è stato uno tra i più grandi e prolifici registi dei nostri tempi. Come dico sempre, bisogna provare per credere e per chi non lo avesse fatto ancora, consiglio di vederlo, se non fosse altro, perché la Cultura va sempre sostenuta trascorrendo del tempo anche tra le mura di una sala cinematografica.

Umberto De Giosa

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