IL BRASILE AFFONDA IN MARE UNA PROPRIA VETUSTA PORTAEREI
L’ammiraglia “San Paolo” era carica di amianto e di numerosissime altre sostanze nocive. L’ira delle associazioni ambientaliste

Il disarmo delle navi militari, che cessano il proprio esercizio, segue delle regole precise che, tra l’altro, mirano al recupero – anche economico – del materiale ferroso e persino di ogni suppellettile. Probabilmente, però, il conto economico che avrebbe dovuto affrontare il Brasile, per lo smaltimento di una portaerei molto vecchia, ha fatto prendere al governo la decisione peggiore, nonché quella più semplice: liberarsene mediante affondamento al largo dell’Oceano. Suscitando le ire delle associazioni ambientaliste che parlano di disastro ambientale.
La portaerei “San Paolo” risale agli anni ’50 ed originariamente apparteneva alla Marina Militare francese. Fu acquistata nel 2000 dal competente ministero brasiliano ma ormai, la sua vetustà e le conseguenze di un brutto incendio scoppiato a bordo nel 2005, avevano reso il mezzo inservibile. Il tentativo di vendita, per il recupero dei materiali, era stato intentato nel 2021, allorquando un cantiere turco si mostrò interessato all’acquisto, salvo rinunciare al contratto quando ormai la nave era giunta allo stretto di Gibilterra, a causa delle proteste delle autorità ambientali di Ankara. A questo punto, di fronte al degrado irrecuperabile dello scafo, che, secondo il ministero di Brasilia, avrebbe comportato gravi rischi per una qualsivoglia operazione di recupero e/o modernizzazione, si è deciso di procedere con un c.d. affondamento controllato. Non che il pubblico ministero federale del Brasile non abbia tentato di bloccare le operazioni, ma tutti i ricorsi presentati sono stati respinti perché, pur considerata oggettivamente una soluzione “tragica”, la stessa era inevitabile proprio perché ogni operazione di rimorchio avrebbe messo a repentaglio il personale e perché, in ogni caso, la nave sarebbe comunque affondata date le condizioni irreparabili dello scafo.
Si parla di 9,6 tonnellate di amianto, nonché 644 tonnellate di inchiostri e altri materiali dannosi: le associazioni ambientaliste parlano di “danni incalcolabili sulla vita marina e per le comunità costiere”. Greenpeace, Sea Shepherd e Basel Action Network affermano essere stati violati ben tre trattati internazionali, con questa scellerata operazione.
“Il naufragio pianificato e controllato è stato realizzato a fine giornata”, si legge in un comunicato della Marina brasiliana che si riferisce al giorno 3 febbraio, in una zona dell’Oceano Atlantico, distante 350 chilometri dalle coste, profonda cinquemila metri.
Vi erano certamente altre “misure ambientalmente responsabili, ma ancora una volta l’importanza di proteggere gli oceani, vitali per la vita del pianeta, è stata considerata con negligenza”, ha affermato Leandro Ramos, di Greenpeace Brasile.
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