DA DOVE VIENE E DOVE VA L’EDUCAZIONE (II^ PARTE)

Educazione e formazione

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“Senza un mondo in cui gli uomini nascono e muoiono non ci sarebbe che eterno ritorno senza mutamenti, la durata sempiterna della specie umana come di tutte le altre specie animali” (Arendt, 1994)

L’educazione come trasmissione

Le immagini impiegate nel corso dei secoli per avvicinarsi al concetto di educazione sono numerose. Una di queste appare in modo ricorrente nella teoria dell’educazione ed è quella dell’educazione intesa come trasmissione (Darling 1982; Taylor W. 1984; Naval 2007).

cms_30004/1.jpgPrendendo come punto di partenza la metafora presente nell’opera di Luigi Giussani, Il rischio educativo è duplice.

In primo luogo l’azione educativa si è caratterizzata come trasmissione, basata fondamentalmente sulla prassi che il buon educatore utilizza per stimolare l’educando in diversi modi. Questa nozione di trasmissione non si limita a una semplice passaggio di nozioni e comportamenti. Anzi, una trasmissione opportunamente intesa non è semplice ripetizione, bensì apertura alla creatività.

In secondo luogo, leggere Giussani può aiutarci a capire meglio l’azione educativa come prassi, con il rischio che questa comporta, considerato che è in gioco la libertà. Questo è il rischio che presuppone l’educazione: l’agire libero, immanente, che l’educazione promuove e presuppone.

Alla base della riflessione educativa di Giussani stanno diversi concetti quali, la tradizione, l’incontro, la dimensione comunitaria, l’esperienza e la libertà. Nella dimensione comunitaria, l’educazione si intende come azione reciproca di aiuto per il progresso e lo sviluppo dell’essere umano, orientata alla trasmissione di conoscenze, a predisporre l’azione e l’allenamento nelle abilità o nei talenti, che riguarda tutte le dimensioni dell’essere umano: quella fisica, estetica, affettiva, morale, intellettuale e sociale.

La formazione

La formazione consiste in un salto qualitativo della conoscenza, che si organizza permettendoci di capire noi stessi e il mondo che ci circonda. In tal modo, qualsiasi obiettivo educativo presuppone “un modo di procedere attento, intelligente e informato”. (Peters 1982)

cms_30004/2_1680737293.jpgAlcuni autori includono tra gli elementi cardine del concetto di formazione la capacità di riflessione, la capacità di valutazione critica e la sensibilità verso i valori estetici (Kriekemans 1977; Menze 1981): l’alunno non solo deve arrivare a “sapere”, ma deve imparare anche il modo di esaminare la realtà, di valutare criticamente quanto ha imparato e di trarne profitto.

Quando Meirieu (1998) pensa all’educazione, rivela la dimensione di trasmissione che l’educazione possiede: nessuno può dare la vita a se stesso, così nessuno può attribuirsi la propria identità.

Esiste un mondo del quale facciamo parte, grazie al quale in un certo modo siamo quello che siamo, un mondo che ci dà forma e a cui noi stessi a nostra volta diamo forma.

cms_30004/3.jpgNe siamo parte e in esso dobbiamo integrarci; ecco perché è necessario imparare le regole del gioco, a patto che queste non offendano la dignità umana.

Come segnala Hameline (1973): “Non si è mai verificato il caso in cui un essere umano abbia raggiunto lo status di adulto senza l’intervento, nella sua vita, di altri esseri umani, degli adulti stessi”. O, detto in altre parole, questo “è il prezzo da pagare per diventare membro della comunità”. (Meirieu 1998)

L’educazione come trasmissione culturale

Nel corso della nostra vita siamo immersi in un determinato contesto culturale, ma, specialmente durante i primi anni, abbiamo bisogno di familiarizzarci con una molteplicità di segni, di accedere a una lingua, di imparare a identificare e rispettare riti, abitudini e valori che il contesto dapprima semplicemente trasferisce, poi si limita a proporre. Giunge così, per ogni essere umano, il momento in cui si devono scegliere i propri criteri di giudizio, di valutazione, tanto nell’ambito morale quanto in quello sociale e politico.

Tale ingresso dell’essere umano nel mondo richiede l’accompagnamento dell’educazione: il bambino ha bisogno in primo luogo di essere accolto per essere capace, in seguito, di assumere la novità e accogliere gli altri. Il bambino ha bisogno della cura che l’adulto gli assicura. Questo intervento educativo è importante e come tale lo riconoscono il senso comune, la pedagogia, l’antropologia, la psicologia, la sociologia e così via. L’inserimento del bambino in una determinata realtà lo conduce a chiedersi: di chi sono figlia o figlio? a che popolo appartengo? di quale storia sono erede? La storia e la tradizione conferiscono un peso necessario a mantenere la stabilità propria di una persona matura (Giussani 1977; MacIntyre 1981/1992, Naval 2000).

Educare significa dunque entrare in un universo culturale, e la vita umana è tensione tra quanto è stato dato e ciò che si sta per raggiungere, insomma tra tradizione e creatività. Non può partecipare alla comunità umana colui che “non ha incontrato lungo il cammino le speranze e i timori, gli slanci e le inquietudini di chi lo ha preceduto: tracce lasciate dai predecessori che, attraverso quelle stesse tracce, manifestano se stessi ed il loro tempo”. (Meireu 1998)

cms_30004/4.jpgIn questo universo culturale nel quale ci introduce l’educazione, in cui gli esseri umani tentano di addomesticare la sofferenza e la morte, senza l’azione educativa, ci troveremmo sprovvisti della capacità di pensiero, di memoria o di linguaggio. Come afferma Hannah Arendt, la nascita e la morte presuppongono un mondo in costante movimento, la cui durevolezza, la cui relativa permanenza, rende possibile apparire e scomparire, un mondo che esisteva prima dell’arrivo dell’individuo e che gli sopravviverà.

Il problema del nostro tempo è che viviamo nella frenesia di un tempo che scorre veloce e a un livello di individualismo e di indifferenza realmente preoccupante. Questo è il motivo per cui la trasmissione di idee, valori e modelli di condotta che in altri momenti si realizzava con naturalezza, ora manifesta notevoli difficoltà.

Trasmissione e tradizione

“Solo in chi è prima capace di ascoltare e di comprendere si alimenta una maturità personale che lo rende poi capace di giudicare e di affrontare, fino – eventualmente – ad abbandonare ciò che lo ha alimentato”. (Giussani 1977)

“Per un educatore è evidente che la personalità non è il mero risultato di una spontaneità evolutiva, senza che occorra alcuna... guida oltre se stessi”. (Giussani 1977)

La nostra condizione sociale è immersa in una storia che si svela a noi attraverso la trasmissione di una cultura. Si potrebbe dire con Giussani che soltanto un’epoca di discepoli può dare un’epoca di geni. Non è certo facile trovare quel sano equilibrio tra tradizione e creatività, tra tradizione e critica. Tuttavia, sembra chiaro che “solo in chi è prima capace di ascoltare e di comprendere si alimenta una maturità personale che lo rende poi capace di giudicare e di affrontare, fino – eventualmente – ad abbandonare ciò che lo ha alimentato”. (Giussani 1977)

Si ha bisogno di qualcosa in più per imparare ad affrontare la vita, la realtà che ci tocca vivere. Ecco perché quando questo aiuto non viene offerto – per esempio in seno alla famiglia o nell’ambito scolastico – il bambino o l’adolescente si trovano a vivere nell’indecisione, nell’incertezza o nel vuoto dovuto all’omissione educativa.

In questo contesto, possiamo domandarci con Steiner (2004): che cosa significa trasmettere? da chi a chi è legittima tale trasmissione? com’è possibile l’insegnamento?

Si tratta di edificare una comunità sulla base della comunicazione. Pertanto, fiducia, offerta e accettazione occupano un posto privilegiato. Non vi è comunità, disciplina o arte senza maestri e discepoli, come ricorda Steiner. La conoscenza poggia sulla trasmissione; ragione per cui nel progresso, nell’innovazione, è presente il passato. I maestri proteggono e propongono in questo modo la memoria. I discepoli elevano, disseminano o tradiscono l’eredità che conforma la loro identità. Questa dinamica è logicamente interattiva. L’idea di un maestro che non comunichi, che non sia capace di trasmettere, di condividere la propria cultura, è possibile, ma si configura come un’aperta contraddizione.

Ma non tutto è trasmissione nel processo educativo, né trasmettere significa semplicemente riprodurre; ciò che viene richiesto è un modo di trasmettere che schiuda alla capacità di pensare per conto proprio. Qualche decennio orsono era in voga una sociologia di taglio deterministico che suggeriva una scuola somigliante a una macchina progettata per la riproduzione sistematica delle diseguaglianze sociali, mentre l’educazione puo’ rappresentare anche quell’ascensore sociale, cui aspirano con buon diritto le classi meno privilegiate. (Meirieu 1998; Duru-Bellat e Henriot-van Zanten 1992).

Trasmissione di cultura e comunità

cms_30004/5.jpgA partire dalla critica comunitarista al liberalismo è stata sottolineata – come Peters aveva già rilevato nel 1982 – la necessità dell’educazione come iniziazione in una comunità, considerando l’essenza dell’io, situato storicamente e culturalmente in una comunità concreta. Su questa linea di pensiero si delineano tre concetti chiave per l’azione educativa, presenti in qualche modo nell’opera di Giussani: la tradizione, la comunità di apprendimento e l’unità della vita in quanto unità narrativa.

Una comunità autentica non è costituita da una semplice aggregazione o somma di individui. I suoi membri condividono fini comuni legati a valori ed esperienze unificanti; li unisce un bene che è comune a tutti, al quale tutti partecipano e della cui promozione sono responsabili, il cui conseguimento permette l’arricchimento di ognuno dei suoi membri.

cms_30004/6.jpgLa comunità costituisce perciò un bene intrinseco per tutti coloro che ne fanno parte, sia a livello psicologico – gli esseri umani hanno la necessità di sentirsi parte di una comunità – sia normativo in quanto la comunità è un bene oggettivo per gli esseri umani (Mangaberia 1975, Walzer 1983). Giussani ritiene che la comunità, proprio perché è convivenza essenziale, sia una dimensione interiore, un modo di avvicinarsi a tutte le cose. Nella nozione di educazione come trasmissione occupano un posto privilegiato le idee di riconoscimento e di partecipazione (Taylor 1992; Barber 1984).

Il maestro è quindi un mediatore di cultura, “senza la quale colui che vi arriva vagherebbe alla disperata ricerca delle proprie origini, delle parole con cui pensare le emozioni e guarire le ferite, degli strumenti per capire il mondo e dare senso agli eventi in cui s’imbatte, dei concetti per accedere alla comprensione di ciò che accade e di quanto succede ai suoi simili”.(Meirieu 1998)

(Continua)

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La prima parte al link:

https://www.internationalwebpost.org/contents/DA_DOVE_VIENE_E_DOVE_VA_L%E2%80%99EDUCAZIONE_(PRIMA_PARTE)_29916.html#.ZC1UcHZByUk

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Gabriella Bianco

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